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§ Argomenti di cultura. Il movimento e il fine. È possibile mantenere un movimento senza che si abbia una previsione del fine? Il principio di Bernstein secondo cui il movimento è tutto e il fine è nulla, sotto un’apparenza di interpretazione «ortodossa» della dialettica, nasconde una concezione puramente meccanicistica del movimento, per cui le forze umane sono considerate come passive e non consapevoli, come elementi non dissimili dalle cose materiali. Ciò è interessante notare perché il Bernstein ha cercato le sue armi nel revisionismo idealistico, che avrebbe dovuto portarlo invece a valutate l’intervento degli uomini come decisivo nello svolgimento storico. Ma se si analizza a fondo, si vede che nel Bernstein l’intervento umano è valutato, sia pure implicitamente, ma in modo unilaterale, poiché è considerato come «tesi» ma non come «antitesi»; efficiente come tesi, ossia nel momento della resistenza e della conservazione, è rigettato come antitesi, ossia come iniziativa e come spinta progressiva. Possono esistere «fini» per la resistenza e la conservazione, non per il progresso e l’iniziativa. La passività è la conseguenza di tale concezione, poiché invece proprio l’antitesi (che presuppone il risveglio di forze ancora latenti e addormentate) ha bisogno di fini, immediati e mediati, per il movimento. Senza la prospettiva dei fini concreti, non si riesce a mantenere il movimento.