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NOTE SUL RISORGIMENTO ITALIANO.

§ Due lavori: uno sull’Età del Risorgimento e uno di Introduzione al Risorgimento.

L’Introduzione dovrebbe essere una raccolta di saggi sulle epoche della storia mondiale nei loro riflessi italiani, dopo la caduta dell’Impero Romano: Medio Evo (o età dei Comuni o epoca della formazione molecolare dei nuovi gruppi sociali cittadini); Età del Mercantilismo e delle Monarchie assolute (o epoca in cui questi nuovi gruppi si inseriscono potentemente nella struttura statale, ricreando questa struttura e introducendo un nuovo equilibrio di forze che permette il loro sviluppo rapidamente progressivo) precedente all’Età del Risorgimento. Un saggio anche sul periodo di storia romana in quanto crea la cornice culturale della futura nazione italiana (diversi significati della parola «Italia» secondo il noto saggio di Carlo Cipolla).

Questi saggi devono essere concepiti per un pubblico determinato, col fine di distruggere in esso concezioni antiquate e retoriche formatesi empiricamente e passivamente per la penetrazione delle idee diffuse in un dato ambiente di cultura popolaresca e per suscitare interesse scientifico per le quistioni stesse trattate, che saranno perciò presentate come viventi e operanti anche nel presente, come forze in movimento sempre attuali.

1. Età del Risorgimento. L’opera dell’Omodeo mi pare fallita nel suo complesso. Mantiene molto del manuale scolastico, cioè la descrizione dei fatti è pura enunziazione da catalogo, senza nessi di necessità storica; lo stile è pessimo, urtante. Per ciò che riguarda l’Italia, l’intenzione dell’Omodeo pare avrebbe dovuto essere quella di mostrare che il Risorgimento è fatto essenzialmente italiano, le cui origini devono trovarsi in Italia e non solo o prevalentemente nelle conseguenze della Rivoluzione francese e dell’invasione francese. Ma questa intenzione non è attuata altro che nel dare inizio alla narrazione dal 1740 e non dal 1789 o dal 1799. Il periodo delle monarchie illuminate non è in Italia un fatto autoctono e non è «originale» italiano il movimento di pensiero connesso (Giannone e regalisti). La monarchia illuminata, mi pare, è la prima derivazione politica dell’età del mercantilismo che annunzia i tempi nuovi, la civiltà moderna; ma in Italia c’è stata un’età del mercantilismo come fenomeno nazionale? Il mercantilismo avrebbe, se organicamente sviluppato, reso ancora più profonde, e forse definitive, le divisioni in Stati regionali.

Mi pare poi che nella conversione del suo lavoro da manuale scolastico a libro di coltura generale col titolo di Età del Risorgimento l’Omodeo avrebbe dovuto mutarne tutta l’economia, riducendo la parte europea e dilatando la parte italiana. Dal punto di vista europeo, l’età è quella della «Rivoluzione francese» e non del Risorgimento italiano, del «liberalismo» come concezione generale della vita e come nuova civiltà e non solo di una sua frazione, del «liberalismo nazionale» cioè. È certo possibile parlare di un’età del Risorgimento, ma allora occorre restringere la prospettiva e mettere al fuoco l’Italia e non l’Europa, trattando della storia europea e mondiale quei nessi che modificano la struttura generale dei rapporti di forza internazionale che si opponevano alla formazione di un grande Stato unitario nella penisola, mortificandone le iniziative in questo senso e soffocandole in sul nascere, e quelle correnti che invece dal mondo internazionale influivano in Italia, incoraggiandone le forze autonome e locali della stessa natura e rendendole più valide. Esiste cioè un’Età del Risorgimento nella storia della penisola italiana, non esiste nella storia dell’Europa e del mondo; in questa corrisponde l’Età della Rivoluzione francese e del liberalismo (come è stata trattata dal Croce, in modo manchevole, perché nel quadro del Croce manca la premessa, la rivoluzione in Francia e le guerre di Napoleone, e sono presentate le derivazioni storiche come fatto a sé, autonomo, che ha in sé le proprie ragioni di essere e non come parte di uno stesso nesso storico con la rivoluzione e le guerre napoleoniche).

Sullo sviluppo autonomo di una nuova vita civile e statale in Italia prima del Risorgimento sta preparando un lavoro Raffaele Ciasca. Ne è stata pubblicata l’introduzione: Raffaele Ciasca, Germogli di vita nuova nel 700 italiano (negli «Annali della Facoltà di Filosofia e Lettere della R. Università di Cagliari», 1930-31), in 8°, pp. 21. Il Ciasca studia la «trasformazione che nel corso del secolo XVIII e specialmente nella seconda metà di esso si va compiendo nella vita di quasi tutte le regioni d’Italia, e che non si limita a riforme frammentarie imposte da principi illuminati e poco sentite dalla popolazione, ma investe tutta la costituzione statale, tutta la struttura economica del paese, tutti i rapporti fra le classi e si manifesta nelle correnti predominanti nel pensiero politico, sociale ed economico» («Nuova Rivista Storica», 1931, p. 577). Le riforme amministrative e finanziarie, la politica ecclesiastica, la storia del pensiero erano già state studiate; il Ciasca porta un contributo nuovo per lo studio della vita economica del tempo.

2. Interpretazioni del Risorgimento italiano. Ne esiste un bel mucchio e il loro studio non è privo di interesse e di significato. Il loro valore è di carattere politico e ideologico, non storico, la portata nazionale è scarsa, sia per la troppa tendenziosità, sia per l’assenza di ogni apporto costruttivo, sia per il carattere troppo astratto, spesso bizzarro e romanzato. Si può vedere che queste interpretazioni fioriscono nei periodi più caratteristici di crisi politico-sociale e sono conati per determinare una riorganizzazione delle forze politiche esistenti, per suscitare nuove correnti intellettuali nei vecchi organismi di partito, o per esalare sospiri e gemiti di disperazione e di nero pessimismo. Mi pare che tale letteratura possa dividersi provvisoriamente in due grandi gruppi: 1. Quello delle interpretazioni propriamente dette, come sarebbe quella contenuta nella Lotta politica in Italia e negli altri scritti di polemica politica di Alfredo Oriani, che ne ha determinato altre attraverso le opere di Mario Missiroli, come quella di Gobetti e di Guido Dorso. Accanto ad esse le interpretazioni di Curzio Malaparte (sull’Italia barbara; lotta contro la Riforma protestante ecc.); e di Carlo Curcio (L’eredità del Risorgimento, Firenze, La Nuova Italia, 1931, pp. 114, L. 12). Bisogna ricordare gli scritti di F. Montefredini (vedi saggio del Croce in proposito nella Letteratura della nuova Italia) per le «bizzarrie» e quelli di Aldo Ferrari (nella «Nuova Rivista Storica» e in volumi e volumetti) come «bizzarrie» e romanzo nel tempo stesso.

2. Un altro gruppo è rappresentato dal libro di Gaetano Mosca, Teorica dei governi e governo parlamentare pubblicato la prima volta nel 1883 e ristampato nel 1925 (Milano, Soc. An. Istituto Editoriale Scientifico, in 8°, pp. 301, L. 25); dal libro di Pasquale Turiello, Governo e governati; di Leone Carpi, L’Italia vivente; di Luigi Zini, Dei criteri e dei modi di governo; Giorgio Arcoleo, Governo di Gabinetto; Marco Minghetti, I partiti politici e la loro influenza nella giustizia e nell’amministrazione; libri di stranieri come quello del Laveleye, Lettere d’Italia; di von Loher, La nuova Italia, e anche del Brachet, L’Italie qu’on voit et l’Italie qu’on ne voit pas; oltre ad articoli della «Nuova Antologia» (e della «Rassegna settimanale» di Sonnino ecc.), di P. Villari, di R. Bonghi, del Palma, ecc. (fino all’articolo del Sonnino Torniamo allo Statulo!). Questa letteratura è una conseguenza della caduta della Destra, dell’avvento al potere della Sinistra e delle innovazioni «di fatto» introdotte nel regime parlamentare. In gran parte sono lamentele, recriminazioni, giudizi pessimistici e catastrofici sulla situazione italiana. Di questo fenomeno parla il Croce nei primi capitoli della sua Storia d’Italia dal 71 al 1915. Ad essa fa pendant la letteratura degli epigoni del Partito d’Azione (tipico il libro di Luigi Anelli stampato recentemente da Arcangelo Ghisleri) sia in volumi, che in opuscoli e in articoli di riviste.

Si può osservare questo nesso tra le varie epoche di tale attività pseudo critica: 1) letteratura dovuta a elementi conservatori, furiosi per la caduta della Destra e della Consorteria (cioè per la diminuita importanza nella vita statale dei grandi proprietari terrieri e dell’aristocrazia, ché di una sostituzione di classe non si può parlare), fegatosa, biliosa, acrimoniosa, senza elementi costruttivi, perché nel passato non esiste nessun punto di riferimento reazionario che possa proporsi di restaurare con un certo pudore e qualche dignità; nel passato ci sono i vecchi regimi regionali, l’influenza del Papa e dell’Austria. L’accusa che il regime parlamentare è «copiato» da altre nazioni, non è italiano, ecc., rimane una vuota recriminazione senza costrutto: il riferimento a una «tradizione» italiana di governo è necessariamente vago e astratto, poiché questa tradizione non ha prospettive storicamente apprezzabili: in tutto il passato non è esistita mai una unità territoriale-statale italiana, la prospettiva dell’egemonia papale (propria del Medio Evo e fino al periodo dei domini stranieri) è già stata travolta col neoguelfismo. (Vediamo infatti che infine questa prospettiva sarà trovata nell’epoca romana, con ondeggiamenti, secondo i partiti, tra la Roma repubblicana e la Roma cesarea, ma il fatto avrà un nuovo significato e sarà caratteristico di nuovi indirizzi delle ideologie popolari).

Questa letteratura precede quella del gruppo Oriani-Missiroli, che ha un significato più popolare-nazionale e questa precede quella del gruppo Gobetti-Dorso che ha ancora un altro significato più attuale. In ogni modo anche queste due nuove tendenze mantengono un carattere astratto e letterario: uno dei punti più interessanti è il problema della mancanza di una riforma protestante o religiosa in Italia, che è visto in modo meccanico ed esteriore e ripete uno dei canoni storici del Masaryk nei suoi studi di storia della Russia.

Tutta questa letteratura ha una importanza «documentaria» per i tempi in cui è apparsa. I libri dei «destri» dipingono la corruzione politica e morale nel periodo della sinistra ma la letteratura degli epigoni del Partito d’Azione non presenta come molto migliore il periodo del governo della destra. Risulta che non c’è stato nessun cambiamento essenziale nel passaggio dalla Destra alla Sinistra: il marasma in cui si trova il paese non è dovuto al regime parlamentare (che forse rende solo pubblico ciò che prima rimaneva nascosto o quasi) ma alla debolezza generale della classe dirigente, e alla grande miseria del paese. Politicamente la situazione è assurda: a destra stanno i clericali, il partito del Sillabo, che negano in tronco tutta la civiltà moderna e boicottano lo Stato, impedendo che si costituisca un vasto partito conservatore; nel centro stanno tutte le gamme liberali, dai moderati ai repubblicani, sui quali operano tutti i ricordi degli odi dei tempi delle lotte e che si dilaniano implacabilmente; a sinistra il paese misero, arretrato, ignorante, esprime sia pure in forma sporadica una serie di tendenze sovversive anarcoidi, senza consistenza e indirizzo politico, che mantengono uno stato febbrile senza avvenire costruttivo. Non esiste un «partito economico», ma dei gruppi di ideologi declassés di tutte le classi: galli che annunziano un sole che mai non sorgerà.

I libri del gruppo Mosca-Turiello incominciavano a essere rimessi in voga negli anni precedenti alla guerra (si può vedere nella «Voce» il richiamo continuo al Turiello) e il libro di Mosca fu ristampato nel 1925 con qualche nota dell’autore per ricordare che si tratta di idee del 1883 e che l’autore nel ’25 non è più d’accordo con lo scrittore ventiquattrenne del 1883. La ristampa del libro del Mosca è uno dei tanti episodi dell’incoscienza e del dilettantismo politico dei liberali nel primo e secondo dopoguerra. Il libro è rozzo, incondito, scritto affrettatamente da un giovane che vuole «distinguersi» nel suo tempo con un atteggiamento estremista e con parole grosse e spesso triviali in senso reazionario. I concetti politici dell’autore sono vaghi e ondeggianti, la sua preparazione filosofica è nulla (e tale è rimasta in tutta la carriera letteraria del Mosca), i suoi principi di tecnica politica sono anch’essi vaghi e astratti e hanno carattere piuttosto giuridico. Il concetto di «classe politica», la cui affermazione diventerà il centro di tutti gli scritti di scienza politica del Mosca, è di estrema labilità e non è ragionato né giustificato teoricamente. Tuttavia il libro del Mosca è utile come documento. L’autore vuole essere spregiudicato per programma, non avere peli sulla lingua e così finisce per mettere in vista molti aspetti della vita italiana del tempo, che altrimenti non trovano documento. Sulla burocrazia civile e militare, sulla polizia ecc. egli offre dei quadri talvolta di maniera, ma con una sostanza di verità (per esempio sui sottufficiali nell’esercito, sui delegati di pubblica sicurezza ecc.). Le sue osservazioni sono specialmente valide per la Sicilia, per l’esperienza diretta del Mosca di quell’ambiente. Nel 1925 il Mosca aveva cambiato punti di vista e prospettive, il suo materiale era sorpassato, tuttavia egli ristampò il libro per vanità letteraria, pensando di immunizzarlo con qualche noterella palinodica. Bibliografia Sulla situazione politica italiana proprio nel 1883 e sull’atteggiamento dei clericali si può trovare qualche spunto interessante nel libro del Maresciallo Lyautey Lettres de Jeunesse, Parigi, Grasset (1931). Secondo il Lyautey molti italiani, tra i più devoti al Vaticano non credevano nell’avvenire del regno; ne prevedevano la decomposizione, da cui sarebbe nata un’Alta Italia con Firenze capitale, un’Italia meridionale con capitale Napoli, e Roma in mezzo, con sbocco al mare. Sull’esercito italiano d’allora, che in Francia era poco apprezzato, il Lyautey riferisce il giudizio del conte di Chambord: «Ne vous y trompez pas. Tout ce que j’en sais (dell’esercito italiano), me la (armée) fait juger très sérieuse, très digne d’attention. Sous leurs façons un peu théâtrales et leurs plumets, les officiers y sont fort instruits, fort appliqués. C’est d’ailleurs l’opinion de mon neveu de Parme qui n’est pas payé pour les aimer».