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Trascrizione

§ 2. Tutto il lavorio di interpretazione del passato italiano e la serie di costruzioni ideologiche e di romanzi storici che ne sono derivati è legato alla «pretesa» di trovare un’unità nazionale, almeno di fatto, in tutto il periodo da Roma ad oggi. Come è nata questa pretesa? È un segno di forza o di debolezza? È il riflesso di una formazione sociale nuova, sicura di sé, e che cerca a se stessa e si crea titoli di nobiltà nel passato, oppure è invece il riflesso di «una volontà di credere», un elemento di fanatismo ideologico che deve appunto rimediare alle debolezze di struttura e impedire il tracollo? Mi pare questa la giusta interpretazione, unita al fatto della eccessiva importanza relativa degli intellettuali, cioè dei piccoli borghesi, in confronto delle classi economiche arretrate e politicamente incapaci. La formazione nazionale è sentita come aleatoria, perché forze ignorate, selvagge, elementarmente distruttive si agitano alla sua base. La dittatura di ferro degli intellettuali e di alcuni gruppi urbani con la proprietà rurale sulla campagna si mantiene solo unita, sovraeccitandosi con questo mito di fatalità storica, più forte di ogni manchevolezza e ogni inettitudine politica e militare. È su questo terreno che all’adesione popolare-nazionale allo Stato si sostituisce una selezione di «volontari» della nazione. Nessuno ha pensato che appunto il problema posto da Machiavelli col proclamare la necessità di milizie nazionali contro i mercenari non è risolto finché anche il «volontarismo» non sarà superato dal «fatto popolare-nazionale», poiché il volontarismo è soluzione intermedia, equivoca, altrettanto pericolosa che il mercenarismo.