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Trascrizione

§ 2. Storia feticistica. Si potrebbe chiamare così il modo di rappresentare gli avvenimenti storici nelle «interpretazioni» ideologiche della formazione italiana, per cui diventano protagonisti dei personaggi astratti e mitologici. Nella Lotta politica di Oriani si ha il più popolare di questi schemi mitologici, quello che ha prodotto e partorito una più lunga serie di figli degeneri. Vi troviamo la Federazione l’Unità, la Rivoluzione, l’Italia ecc. ecc. Nell’Oriani è chiara una delle cause di questo modo di concepire la storia. Il canone di ricerca che gli avvenimenti successivi gettano luce su quelli precedenti, che cioè tutto il processo storico è un «documento» storico di se stesso, viene meccanizzato ed esteriorizzato e ridotto, in fondo, a una legge deterministica di «rettilineità» e di «unilinearità». Il problema di ricercare le origini storiche di un fatto concreto e circostanziato, la formazione dello Stato moderno italiano nel secolo XIX, viene trasformato in quello di vedere questo «Stato», come unità o come nazione o genericamente come Italia, in tutta la storia precedente, come il pollo nell’uovo fecondato.

Per questa trattazione sono da vedere le osservazioni critiche di Antonio Labriola negli Scritti vari (pp. 487-90; pp. 317-442 passim, e nel primo dei Saggi sul materialismo storico pp. 50-52). (Su questo punto vedi anche Croce, Storia della storiografia, II, pp. 227-28 e in tutto questo lavoro lo studio dell’origine «sentimentale e poetica» e «la critica impossibilità» di una «Storia generale d’Italia»). Altre osservazioni connesse a queste sono quelle di A. Labriola a proposito di una storia generale del Cristianesimo, che al Labriola sembrava inconsistente come tutte le costruzioni storiche che assumono a soggetto enti inesistenti (III Saggio, p. 113).

Una reazione concreta nel senso indicato dal Labriola si può vedere negli scritti storici del Salvemini, il quale non vuol sapere di «guelfi» e «ghibellini», uno partito della nobiltà e dell’impero, e l’altro del popolo e del papato, perché egli li conosce solo come «partiti locali», combattenti per ragioni affatto locali, che non coincidevano con quelle del Papato e dell’Impero. Nella prefazione al suo volume della Rivoluzione francese si può vedere teorizzato questo atteggiamento del Salvemini con tutte le esagerazioni antistoriche che porta con sé. «L’innumerevole varietà degli eventi rivoluzionari» si suole attribuire in blocco a un ente «Rivoluzione», invece di «assegnare ciascun fatto all’individuo o ai gruppi d’individui reali, che ne furono autori». Ma se la storia si riducesse solo a questa ricerca, sarebbe ben misera cosa e diventerebbe, tra l’altro, incomprensibile. Sarà da vedere come il Salvemini concretamente risolve le incongruenze che risultano dalla sua impostazione troppo unilaterale del problema metodologico, tenendo conto di questa cautela critica: se non si conoscesse da altre opere la storia qui raccontata, e avessimo solo questo libro, ci sarebbe essa storia comprensibile ? Cioè si tratta di una storia «integrale» o di una storia «polemica» che si propone solo (o ottiene senza proporselo, necessariamente) di aggiungere qualche pennellata a un quadro già abbozzato da altri? Questa cautela dovrebbe sempre essere presente in ogni critica, poiché infatti spesso si ha che fare con opere che da «sole» non sarebbero soddisfacenti, ma che sono molto utili nel quadro generale di una determinata cultura, come «integrative» di altri lavori o ricerche.