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Trascrizione

§ Si può dire, tuttavia, che nella concezione del Croce, pur dopo l’elaborazione subita in questi ultimi anni, non ci sia più traccia di filosofia della praxis? Lo storicismo del Croce non risente proprio più nessun influsso della sua esperienza intellettuale degli anni dal 90 al 900? La posizione del Croce per questo riguardo risulta da vari scritti; interessanti specialmente la prefazione del 1917 alla nuova edizione del Materialismo storico, la sezione dedicata al materialismo storico nella Storia della Storiografia italiana nel secolo XIX e il Contributo alla critica di me stesso. Ma se interessa ciò che il Croce pensa di se stesso, esso non è sufficiente e non esaurisce la quistione. Secondo il Croce, la sua posizione verso la filosofia della praxis non è quella di un ulteriore sviluppo (di un superamento) per cui la filosofia della praxis sia diventata un momento di una concezione più elaborata, ma il valore dell’esperienza sarebbe stato solo negativo, nel senso che avrebbe contribuito a distruggere pregiudizi, residui passionali, ecc. Per impiegare una metafora presa dal linguaggio della fisica, la filosofia della praxis avrebbe operato nella mentalità del Croce come un corpo catalitico, che è necessario per ottenere il nuovo prodotto, ma di cui non rimane traccia nel prodotto stesso. Ma è poi ciò vero? A me pare che sotto la forma e il linguaggio speculativo sia possibile rintracciare più di un elemento della filosofia della praxis nella concezione del Croce. Si potrebbe forse dire di più e questa ricerca sarebbe di immenso significato storico e intellettuale nell’epoca presente e cioè: che come la filosofia della praxis è stata la traduzione dell’hegelismo in linguaggio storicistico, così la filosofia del Croce è in una misura notevolissima una ritraduzione in linguaggio speculativo dello storicismo realistico della filosofia della praxis. Nel febbraio 1917 in un breve corsivo che precedeva la riproduzione dello scritto del Croce Religione e serenità (cfr. Etica e Politica, pp. 23-25) allora uscito di recente nella «Critica» io scrissi che come l’hegelismo era stato la premessa della filosofia della praxis nel secolo XIX, alle origini della civiltà contemporanea, così la filosofia crociana poteva essere la premessa di una ripresa della filosofia della praxis nei giorni nostri, per le nostre generazioni. La quistione era appena accennata, in una forma certo primitiva e certissimamente inadeguata, poiché in quel tempo il concetto di unità di teoria e pratica, di filosofia e politica non era chiaro in me ed io ero tendenzialmente piuttosto crociano. Ma ora, sia pure non colla maturità e la capacità che all’assunto sarebbero necessarie, mi pare che la posizione sia da riprendere, e da presentare in forma criticamente più elaborata. E cioè: occorre rifare per la concezione filosofica del Croce la stessa riduzione che i primi teorici della filosofia della praxis hanno fatto per la concezione hegeliana. È questo il solo modo storicamente fecondo di determinare una ripresa adeguata della filosofia della praxis, di sollevare questa concezione che si è venuta, per la necessità della vita pratica immediata, «volgarizzando», all’altezza che deve raggiungere per la soluzione dei compiti più complessi che lo svolgimento attuale della lotta propone, cioè alla creazione di una nuova cultura integrale, che abbia i caratteri di massa della Riforma protestante e dell’illuminismo francese e abbia i caratteri di classicità della cultura greca e del Rinascimento italiano, una cultura che riprendendo le parole del Carducci sintetizzi Massimiliano Robespierre ed Emanuele Kant, la politica e la filosofia in una unità dialettica intrinseca ad un gruppo sociale non solo francese o tedesco, ma europeo e mondiale. Bisogna che l’eredità della filosofia classica tedesca sia non solo inventariata, ma fatta ridiventare vita operante, e per ciò fare occorre fare i conti con la filosofia di Croce, cioè per noi italiani essere eredi della filosofia classica tedesca significa essere eredi della filosofia crociana, che rappresenta il momento mondiale odierno della filosofia classica tedesca.

Il Croce combatte con troppo accanimento la filosofia della praxis e nella sua lotta ricorre ad alleati paradossali, come il mediocrissimo De Man. Questo accanimento è sospetto, può rivelarsi un alibi per negare una resa dei conti. Occorre invece venire a questa resa di conti, nel modo più ampio e approfondito possibile. Un lavoro di tal genere, un Anti-Croce che nell’atmosfera culturale moderna potesse avere il significato e l’importanza che ha avuto l’Anti-Dühring per la generazione precedente la guerra mondiale, varrebbe la pena che un intero gruppo di uomini ci dedicasse dieci anni di attività.

Nota I. Le tracce della filosofia della praxis possono trovarsi specialmente nella soluzione che il Croce ha dato di problemi particolari. Un esempio tipico mi pare la dottrina dell’origine pratica dell’errore. In generale si può dire che la polemica contro la filosofia dell’atto puro di Giovanni Gentile ha costretto il Croce a un maggior realismo e a provare un certo fastidio e insofferenza almeno per le esagerazioni del linguaggio speculativo, divenuto gergo e «apriti, sesamo» dei minori fraticelli attualisti.

Nota II. Ma la filosofia del Croce non può essere tuttavia esaminata indipendentemente da quella del Gentile. Un Anti-Croce deve essere anche un Anti-Gentile; l’attualismo gentiliano darà gli effetti di chiaroscuro nel quadro che sono necessari per un maggior rilievo.