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Trascrizione

§ Punti di meditazione per lo studio dell’economia. Dove batte specialmente l’accento nelle ricerche scientifiche dell’economia classica e dove invece in quelle dell’economia critica, e per quali ragioni, cioè in vista di quali fini pratici da raggiungere, o in vista di quali determinati problemi teorici e pratici da risolvere? Per l’economia critica, pare basti fissare il concetto di «lavoro socialmente necessario» per giungere al concetto di valore, perché si vuol partire dal lavoro di tutti i lavoratori per giungere a fissare la loro funzione nella produzione economica e giungere a fissare il concetto astratto e scientifico di valore e plusvalore e la funzione di tutti i capitalisti come insieme. Per l’economia classica invece ha importanza non il concetto astratto e scientifico di valore (al quale cerca di giungere per altra via, ma solo per fini formali, di sistema armonico logicamente-verbalmente, e vi giunge, o crede di giungervi, attraverso ricerche psicologiche, con l’utilità marginale), ma quello concreto e più immediato di profitto individuale o d’azienda; ha perciò importanza lo studio della dinamica del «lavoro socialmente necessario», che assume varie impostazioni teoriche, – di teoria dei costi comparati, di equilibrio economico statico e dinamico. Per l’economia critica il problema interessante comincia dopo che il «lavoro socialmente necessario» è stato già stabilito in una formula matematica; per l’economia classica invece tutto l’interesse è nella fase dinamica della formazione del «lavoro socialmente necessario» locale, nazionale, internazionale, e nei problemi che le differenze dei «lavori analitici» pongono nelle varie fasi di tali lavori. È il costo comparato, cioè la comparazione del lavoro «particolare» cristallizzato nelle varie merci, che interessa l’economia classica.

Ma non interessa questa ricerca anche l’economia critica? Ed è «scientifico» che in un lavoro come il Précis non siano trattati anche questi nessi di problemi? L’economia critica ha diverse fasi storiche e in ognuna di esse è naturale che l’accento cada sul nesso teorico e pratico storicamente prevalente. Quando gestore dell’economia è la proprietà, l’accento cade sull’«insieme» del lavoro socialmente necessario, come sintesi scientifica e matematica, perché praticamente si vuole che il lavoro diventi consapevole del suo insieme, del fatto che è specialmente un «insieme» e che come «insieme» determina il processo fondamentale del movimento economico (invece alla proprietà interessa ben poco il lavoro socialmente necessario, anche ai fini della propria costruzione scientifica; importa il lavoro particolare, nelle condizioni determinate da un dato apparato tecnico e da un dato mercato di viveri immediato, e da un dato ambiente immediato ideologico e politico, per cui, dovendosi fondare un’azienda si ricercherà di identificare queste condizioni più conformi al fine del massimo profitto «particolare» e non si ragionerà per «medie» socialmente necessarie). Ma quando il lavoro è diventato esso stesso gestore dell’economia, anch’esso dovrà, per il suo essere cambiato fondamentalmente di posizione, preoccuparsi delle utilità particolari e delle comparazioni fra queste utilità per trarne iniziative di movimento progressivo. Cosa sono poi le «gare», se non un modo di preoccuparsi di questo nesso di problemi e di comprendere che il movimento progressivo avviene per «spinte» particolari, cioè un modo di «comparare» i costi e di insistere per ridurli continuamente, identificando e anche suscitando le condizioni oggettive e soggettive in cui ciò è possibile?