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Trascrizione

§ Introduzione allo studio della filosofia. 1) Cfr. Pietro Lippert, S. J., Visione Cattolica del Mondo (Die Weltanschauung des Katholizismus), traduzione di Ernesto Peternolli. Prefazione di M. Bendiscioli («Il pensiero cattolico moderno», n° 4), Brescia, «Morcelliana», 1931, pp. 190, L. 10. È da leggere, sia per il testo del padre Lippert, che è uno dei più noti scrittori gesuiti tedeschi, sia per la prefazione del Bendiscioli. Il libro è apparso nella collezione «Metaphysik und Weltanschauung» diretta dal Driesch e dallo Schingnitz. Il Lippert, come i gesuiti tedeschi, si preoccupa di dare una soddisfazione alle esigenze che erano alla base del modernismo, ma senza cadere nelle deviazioni dall’ortodossia che furono caratteristiche del modernismo perché in questa impostazione del problema cattolico non vi è traccia di immanentismo; il Lippert e i gesuiti tedeschi non si allontanano dai dogmi sistemati dalla Chiesa coi sussidi logici e metafisici della filosofia aristotelico-tomistica e neppure li interpretano in modo nuovo, ma intendono tradurli per l’uomo moderno nella terminologia della filosofia moderna, «rivestire realtà eterne di forme mutevoli» dice letteralmente il Lippert.

2) È da osservare che l’attuale discussione tra «storia e antistoria» non è altro che la ripetizione nei termini della cultura filosofica moderna della discussione, avvenuta alla fine del secolo scorso, nei termini del naturalismo e positivismo, se la natura e la storia procedano per «salti» o solo per evoluzione graduale e progressiva. La stessa discussione si ritrova svolta anche dalle generazioni precedenti, sia nel campo delle scienze naturali (dottrine del Cuvier) sia nel campo filosofico (e si trova la discussione nello Hegel). Si dovrebbe fare la storia di questo problema in tutte le sue manifestazioni concrete e significative e si troverebbe che esso è sempre stato attuale, perché in ogni tempo ci sono stati conservatori e giacobini, progressisti e retrivi. Ma il significato «teorico» di questa discussione mi pare consistere in ciò: essa indica il punto di passaggio «logico» di ogni concezione del mondo alla morale che le è conforme, di ogni «contemplazione» all’«azione», di ogni filosofia all’azione politica che ne dipende. È il punto cioè in cui la concezione del mondo, la contemplazione, la filosofia diventano «reali» perché tendono a modificare il mondo, a rovesciare la prassi. Si può dire perciò che questo è il nesso centrale della filosofia della prassi, il punto in cui essa si attualizza, vive storicamente, cioè socialmente e non più solo nei cervelli individuali, cessa dall’essere «arbitraria» e diventa necessaria-razionale-reale. Il problema è da vedere storicamente, appunto. Che i tanti mascherotti nietzschiani rivoltati verbalmente contro tutto l’esistente, contro i convenzionalismi ecc. abbiano finito con lo stomacare e col togliere serietà a certi atteggiamenti, può essere ammesso, ma non bisogna, nei propri giudizi, lasciarsi guidare dai mascherotti. Contro il titanismo di maniera, il velleitarismo, l’astrattismo occorre avvertire la necessità di essere «sobri» nelle parole e negli atteggiamenti esteriori, appunto perché ci sia più forza nel carattere e nella volontà concreta. Ma questa è quistione di stile, non «teoretica».

La forma classica di questi passaggi dalla concezione del mondo alla norma pratica di condotta, mi pare quella per cui dalla predestinazione calvinistica sorge uno dei maggiori impulsi all’iniziativa pratica che si sia avuto nella storia mondiale. Così ogni altra forma di determinismo a un certo punto si è sviluppata in spirito di iniziativa e in tensione estrema di volontà collettiva.