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Trascrizione

§ La così detta «realtà del mondo esterno». Tutta la polemica contro la concezione soggettivistica della realtà, con la quistione «terribile» della «realtà oggettiva del mondo esterno», è male impostata, peggio condotta e in gran parte futile e oziosa (mi riferisco anche alla memoria presentata al Congresso di storia delle scienze, tenuto a Londra nel giugno-luglio 1931). Dal punto di vista di un «saggio popolare» tutta la trattazione risponde più a un prurito di pedanteria intellettuale che ad una necessità logica. Il pubblico popolare non crede neanche che si possa porre un tale problema, se il mondo esterno esista obbiettivamente. Basta enunziare così il problema per sentire un irrefrenabile e gargantuesco scoppio di ilarità. Il pubblico «crede» che il mondo esterno sia obbiettivamente reale, ma qui appunto nasce la quistione: qual è l’origine di questa «credenza» e quale valore critico ha «obbiettivamente»? Infatti questa credenza è di origine religiosa anche se chi vi partecipa è religiosamente indifferente. Poiché tutte le religioni hanno insegnato e insegnano che il mondo, la natura, l’universo è stato creato da dio prima della creazione dell’uomo e quindi l’uomo ha trovato il mondo già bell’e pronto, catalogato e definito una volta per sempre, questa credenza è diventata un dato ferreo del «senso comune» e vive con la stessa saldezza anche se il sentimento religioso è spento o sopito. Ecco allora che fondarsi su questa esperienza del senso comune per distruggere con la «comicità» la concezione soggettivistica ha un significato piuttosto «reazionario», di ritorno implicito al sentimento religioso; infatti gli scrittori o gli oratori cattolici ricorrono allo stesso mezzo per ottenere lo stesso effetto di ridicolo corrosivo.

Nella memoria presentata al Congresso di Londra, l’autore del Saggio popolare implicitamente risponde a questo appunto (che è poi di carattere esterno, sebbene abbia la sua importanza) notando che il Berkeley, al quale si deve la prima enunziazione compiuta della concezione soggettivistica, era un arcivescovo (quindi pare si debba dedurre l’origine religiosa della teoria) e poi dicendo che solo un «Adamo» che si trova per la prima volta nel mondo, può pensare che questo esista solo perché egli lo pensa (e anche qui si insinua l’origine religiosa della teoria, ma senza molto o nessuno vigore di convinzione).

Il problema invece è questo, mi pare: come si può spiegare che una tale concezione, che non è certo una futilità, anche per un filosofo della praxis, oggi, esposta al pubblico, possa solo provocare il riso e lo sberleffo? Mi pare il caso più tipico della distanza che si è venuta formando tra scienza e vita, tra certi gruppi di intellettuali, che pure sono alla direzione «centrale» dell’alta coltura e le grandi masse popolari: e come il linguaggio della filosofia sia diventato un gergo che ottiene lo stesso effetto di quello di Arlecchino. Ma se il «senso comune» si esilara, il filosofo della praxis dovrebbe lo stesso cercare una spiegazione e del reale significato che la concezione ha, e del perché essa sia nata e si sia diffusa tra gli intellettuali, e anche del perché essa faccia ridere il senso comune. È certo che la concezione soggettivistica è propria della filosofia moderna nella sua forma compiuta e avanzata, se da essa e come superamento di essa è nato il materialismo storico, che nella teoria delle superstrutture pone in linguaggio realistico e storicistico ciò che la filosofia tradizionale esprimeva in forma speculativa. La dimostrazione di questo assunto, che qui è appena accennato, avrebbe la più grande portata culturale, perché metterebbe fine a una serie di discussioni futili quanto oziose e permetterebbe uno sviluppo organico della filosofia della praxis, fino a farla diventare l’esponente egemonico dell’alta cultura. Fa anzi meraviglia che il nesso tra l’affermazione idealistica che la realtà del mondo è una creazione dello spirito umano e l’affermazione della storicità e caducità di tutte le ideologie da parte della filosofia della praxis, perché le ideologie sono espressioni della struttura e si modificano col modificarsi di essa, non sia stato mai affermato e svolto convenientemente.

La quistione è strettamente connessa, e si capisce, alla quistione del valore delle scienze così dette esatte o fisiche e alla posizione che esse sono venute assumendo nel quadro della filosofia della praxis di un quasi feticismo, anzi della sola e vera filosofia o conoscenza del mondo.

Ma cosa sarà da intendere per concezione soggettivistica della realtà? Si potrà assumere una qualsiasi delle tante teorie soggettivistiche elucubrate da tutta una serie di filosofi e professori fino a quelle solipsistiche? È evidente che la filosofia della praxis, anche in questo caso, non può che essere messa in rapporto con lo hegelismo, che di questa concezione rappresenta la forma più compiuta e geniale e che delle successive teorie saranno da prendere in considerazione solo alcuni aspetti parziali e i valori strumentali. E occorrerà ricercare le forme bizzarre che la concezione ha assunto sia nei seguaci sia nei critici più o meno intelligenti. Così è da ricordare ciò che scrive il Tolstoi nelle sue memorie di infanzia e di giovinezza: il Tolstoi racconta che si era tanto infervorato per la concezione soggettivistica della realtà, che spesso ebbe il capogiro, perché si voltava di colpo indietro, persuaso di poter cogliere il momento in cui non avrebbe visto nulla perché il suo spirito non poteva aver avuto il tempo di «creare» la realtà (o qualcosa di simile: il brano del Tolstoi è caratteristico e molto interessante letterariamente). Così nelle sue Linee di filosofia critica (p. 159) Bernardino Varisco scrive: «Apro un giornale per informarmi della realtà; vorreste sostenere che le novità le ho create io con l’aprire il giornale?». Che il Tolstoi desse alla proposizione soggettivistica un significato così immediato e meccanico può spiegarsi. Ma non è stupefacente che in tal modo possa aver scritto il Varisco, il quale, se oggi si è orientato verso la religione e il dualismo trascendentale, tuttavia è uno studioso serio e dovrebbe conoscere la sua materia? La critica del Varisco è quella del senso comune ed è notevole che proprio tale critica è trascurata dai filosofi idealisti, mentre invece essa è di estrema importanza per impedire la diffusione di un modo di pensare e di una cultura. Si può ricordare un articolo di Mario Missiroli nell’«Italia Letteraria» in cui il Missiroli scrive che si troverebbe molto imbarazzato se dovesse sostenere, dinanzi a un pubblico comune e in contradditorio con un neoscolastico, per esempio, il punto di vista soggettivistico: il Missiroli osserva quindi come il cattolicismo tende, in concorrenza con la filosofia idealista, ad accaparrarsi le scienze naturali e fisiche. Altrove il Missiroli ha scritto prevedendo un periodo di decadenza della filosofia speculativa e un sempre maggior diffondersi delle scienze sperimentali e «realistiche» (in questo secondo scritto, però, pubblicato dal «Saggiatore», egli prevede anche un’ondata di anticlericalismo, cioè non pare creda più all’accaparramento delle scienze da parte del cattolicismo). Così è da ricordare nel volume di Scritti vari di Roberto Ardigò, raccolto e ordinato da G. Marchesini (Lemonnier, 1922) la «polemica della zucca»: in un giornaletto clericale di provincia, uno scrittore (un prete della Curia vescovile) per squalificare l’Ardigò di fronte al pubblico popolare lo chiamò su per giù «uno di quei filosofi i quali sostengono che la cattedrale (di Mantova o di altra città) esiste solo perché essi la pensano e quando essi non la pensano più, la cattedrale sparisce ecc.», con aspro risentimento dell’Ardigò che era positivista ed era d’accordo coi cattolici nel modo di concepire la realtà esterna.

Occorre dimostrare che la concezione «soggettivistica», dopo aver servito a criticare la filosofia della trascendenza da una parte e la metafisica ingenua del senso comune e del materialismo filosofico, può trovare il suo inveramento e la sua interpretazione storicistica solo nella concezione delle superstrutture mentre nella sua forma speculativa non è altro che un mero romanzo filosofico. Un accenno a una interpretazione un po’ più realistica del soggettivismo nella filosofia classica tedesca si può trovare in una recensione di G. De Ruggiero a degli scritti postumi (mi pare, lettere) di B. Constant (mi pare) pubblicati nella «Critica» di qualche anno fa.

L’appunto che si deve fare al Saggio popolare è di avere presentato la concezione soggettivistica così come essa appare dalla critica del senso comune e di avere accolto la concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica, senza neanche sospettare che a questa può esser mossa l’obbiezione di misticismo, come infatti fu fatto. (Nella memoria presentata al Congresso di Londra, l’autore del Saggio popolare accenna all’accusa di misticismo attribuendola al Sombart e trascurandola sprezzantemente: il Sombart l’ha certamente presa dal Croce). Solo che analizzando questa concezione, non è poi tanto facile giustificare un punto di vista di oggettività esteriore così meccanicamente intesa. Pare che possa esistere una oggettività extrastorica ed extraumana? Ma chi giudicherà di tale oggettività? Chi potrà mettersi da questa specie di «punto di vista del cosmo in sé» e che cosa significherà un tal punto di vista? Può benissimo sostenersi che si tratta di un residuo del concetto di dio, appunto nella sua concezione mistica di un dio ignoto. La formulazione di Engels che «l’unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata... dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali» contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all’uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre «umanamente oggettivo», ciò che può corrispondere esattamente a «storicamente soggettivo», cioè oggettivo significherebbe «universale soggettivo». L’uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie non universali concrete ma rese caduche immediatamente dall’origine pratica della loro sostanza. C’è quindi una lotta per l’oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l’unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano «spirito» non è un punto di partenza, ma di arrivo, l’insieme delle soprastrutture in divenire verso l’unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario ecc.

La scienza sperimentale è stata (ha offerto) finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione: essa è stata l’elemento di conoscenza che ha più contribuito a unificare lo «spirito», a farlo diventare più universale; essa è la soggettività più oggettivata e universalizzata concretamente.

Il concetto di «oggettivo» del materialismo metafisico pare voglia significare una oggettività che esiste anche all’infuori dell’uomo, ma quando si afferma che una realtà esisterebbe anche se non esistesse l’uomo o si fa una metafora o si cade in una forma di misticismo. Noi conosciamo la realtà solo in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è divenire storico anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l’oggettività è un divenire ecc.