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§ Gli intellettuali sono un gruppo sociale autonomo e indipendente, oppure ogni gruppo sociale ha una sua propria categoria specializzata di intellettuali? Il problema è complesso per le varie forme che ha assunto finora il processo storico reale di formazione delle diverse categorie intellettuali. Le più importanti di queste forme sono due:

1) Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico: l’imprenditore capitalistico crea con sé il tecnico dell’industria, lo scienziato dell’economia politica, l’organizzatore di una nuova cultura, di un nuovo diritto, ecc. ecc. Occorre notare il fatto che l’imprenditore rappresenta una elaborazione sociale superiore, già caratterizzata da una certa capacità dirigente e tecnica (cioè intellettuale): egli deve avere una certa capacità tecnica, oltre che nella sfera circoscritta della sua attività e della sua iniziativa, anche in altre sfere, almeno in quelle più vicine alla produzione economica (deve essere un organizzatore di masse d’uomini, deve essere un organizzatore della «fiducia» dei risparmiatori nella sua azienda, dei compratori della sua merce ecc.). Se non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve avere una capacità di organizzatore della società in generale, in tutto il suo complesso organismo di servizi, fino all’organismo statale, per la necessità di creare le condizioni più favorevoli all’espansione della propria classe; o deve possedere per lo meno la capacità di scegliere i «commessi» (impiegati specializzati) cui affidare questa attività organizzatrice dei rapporti generali esterni all’azienda. Si può osservare che gli intellettuali «organici» che ogni nuova classe crea con se stessa ed elabora nel suo sviluppo progressivo, sono per lo più «specializzazioni» di aspetti parziali dell’attività primitiva del tipo sociale nuovo che la nuova classe ha messo in luce. (Anche i signori feudali erano detentori di una particolare capacità tecnica, quella militare, ed è appunto dal momento in cui l’aristocrazia perde il monopolio della capacità tecnico-militare che si inizia la crisi del feudalismo. Ma la formazione degli intellettuali nel mondo feudale e nel precedente mondo classico è una quistione da esaminare a parte: questa formazione ed elaborazione segue vie e modi che occorre studiare concretamente. Così è da notare che la massa dei contadini, quantunque svolga una funzione essenziale nel mondo della produzione, non elabora proprii intellettuali «organici» e non «assimila» nessun ceto di intellettuali «tradizionali», quantunque dalla massa dei contadini altri gruppi sociali tolgano molti dei loro intellettuali e gran parte degli intellettuali tradizionali siano di origine contadina).

2) Ma ogni gruppo sociale «essenziale» emergendo alla storia dalla precedente struttura economica e come espressione di un suo sviluppo (di questa struttura), ha trovato, almeno nella storia finora svoltasi, categorie sociali preesistenti e che anzi apparivano come rappresentanti una continuità storica ininterrotta anche dai più complicati e radicali mutamenti delle forme sociali e politiche. La più tipica di queste categorie intellettuali è quella degli ecclesiastici, monopolizzatori per lungo tempo (per un’intera fase storica che anzi da questo monopolio è in parte caratterizzata) di alcuni servizi importanti: l’ideologia religiosa cioè la filosofia e la scienza dell’epoca, con la scuola, l’istruzione, la morale, la giustizia, la beneficenza, l’assistenza ecc. La categoria degli ecclesiastici può essere considerata essere quella categoria intellettuale organicamente legata all’aristocrazia fondiaria: era equiparata giuridicamente all’aristocrazia, con cui divideva l’esercizio della proprietà feudale della terra e l’uso dei privilegi-statali legati alla proprietà. Ma il monopolio delle superstrutture da parte degli ecclesiastici (da esso è nata l’accezione generale di «intellettuale» – o di «specialista» – della parola «chierico», in molte lingue di origine neolatina o influenzate fortemente, attraverso il latino chiesastico, dalle lingue neolatine, col suo correlativo di «laico» nel senso di profano – non specialista) non è stato esercitato senza lotta e limitazioni, e quindi si è avuto il nascere, in varie forme (da ricercare e studiare concretamente) di altre categorie, favorite e ingrandite dal rafforzarsi del potere centrale del monarca, fino all’assolutismo. Così si viene formando l’aristocrazia della toga, con suoi propri privilegi; un ceto di amministratori ecc., scienziati, teorici, filosofi non ecclesiastici ecc.

Siccome queste varie categorie di intellettuali tradizionali sentono con «spirito di corpo» la loro ininterrotta continuità storica e la loro «qualifica», così essi pongono se stessi come autonomi e indipendenti dal gruppo sociale dominante; questa auto-posizione non è senza conseguenze nel campo ideologico e politico, conseguenze di vasta portata (tutta la filosofia idealista si può facilmente connettere con questa posizione assunta dal complesso sociale degli intellettuali e si può definire l’espressione di questa utopia sociale per cui gli intellettuali si credono «indipendenti», autonomi, rivestiti di caratteri loro proprii ecc. Da notare però che se il papa e l’alta gerarchia della Chiesa si credono più legati a Cristo e agli apostoli di quanto non siano ai senatori Agnelli e Benni, lo stesso non è per Gentile e Croce, per esempio; il Croce, per esempio specialmente, si sente legato fortemente ad Aristotile e a Platone, ma egli non nasconde, anzi, di essere legato ai senatori Agnelli e Benni e in ciò appunto è da ricercare il carattere più rilevato della filosofia del Croce).

(Questa ricerca sulla storia degli intellettuali non sarà di carattere «sociologico», ma darà luogo a una serie di saggi di «storia della cultura» (Kulturgeschichte) e di storia della scienza politica. Tuttavia sarà difficile evitare alcune forme schematiche e astratte che ricordano quelle della «sociologia»: occorrerà pertanto trovare la forma letteraria più adatta perché l’esposizione sia «non-sociologica». La prima parte della ricerca potrebbe essere una critica metodica delle opere già esistenti sugli intellettuali, che quasi tutte sono di carattere sociologico. Raccogliere la bibliografia sull’argomento è pertanto indispensabile).

Quali sono i limiti «massimi» dell’accezione di «intellettuale»? Si può trovare un criterio unitario per caratterizzare ugualmente tutte le diverse e disparate attività intellettuali e per distinguere queste nello stesso tempo e in modo essenziale dalle attività degli altri raggruppamenti sociali? L’errore metodico più diffuso mi pare quello di aver cercato questo criterio di distinzione nell’intrinseco delle attività intellettuali e non invece nell’insieme del sistema di rapporti in cui esse (e quindi i gruppi che le impersonano) vengono a trovarsi nel complesso generale dei rapporti sociali. E invero l’operaio o proletario, per esempio, non è specificamente caratterizzato dal lavoro manuale o strumentale (a parte la considerazione che non esiste lavoro puramente fisico e che anche l’espressione del Taylor di «gorilla ammaestrato» è una metafora per indicare un limite in una certa direzione: in qualsiasi lavoro fisico, anche il più meccanico e degradato, esiste un minimo di qualifica tecnica, cioè un minimo di attività intellettuale creatrice), ma da questo lavoro in determinate condizioni e in determinati rapporti sociali. Ed è stato già osservato che l’imprenditore, per la sua stessa funzione, deve avere in una certa misura un certo numero di qualifiche di carattere intellettuale, sebbene la sua figura sociale sia determinata non da esse ma dai rapporti generali sociali che appunto caratterizzano la posizione dell’imprenditore nell’industria.

Tutti gli uomini sono intellettuali, si potrebbe dire perciò; ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali (così, perché può capitare che ognuno in qualche momento si frigga due uova o si cucisca uno strappo della giacca, non si dirà che tutti sono cuochi e sarti). Si formano così storicamente delle categorie specializzate per l’esercizio della funzione intellettuale, si formano in connessione con tutti i gruppi sociali ma specialmente in connessione coi gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in connessione col gruppo sociale dominante. Una delle caratteristiche più rilevanti di ogni gruppo che si sviluppa verso il dominio è la sua lotta per l’assimilazione e la conquista «ideologica» degli intellettuali tradizionali, assimilazione e conquista che è tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali organici. L’enorme sviluppo preso dall’attività e dall’organizzazione scolastica (in senso largo) nelle società sorte dal mondo medioevale indica quale importanza abbiano assunto nel mondo moderno le categorie e le funzioni intellettuali: come si è cercato di approfondire e dilatare l’«intellettualità» di ogni individuo, così si è anche cercato di moltiplicare le specializzazioni e di affinarle. Ciò risulta dalle istituzioni scolastiche di diverso grado, fino agli organismi per promuovere la così detta «alta cultura», in ogni campo della scienza e della tecnica. (La scuola è lo strumento per elaborare gli intellettuali di vario grado. La complessità della funzione intellettuale nei diversi Stati si può misurare obbiettivamente dalla quantità delle scuole specializzate e dalla loro gerarchizzazione: quanto più estesa è l’«area» scolastica e quanto più numerosi i «gradi» «verticali» della scuola, tanto è più complesso il mondo culturale, la civiltà, di un determinato Stato. Si può avere un termine di paragone nella sfera della tecnica industriale: l’industrializzazione di un paese si misura dalla sua attrezzatura nella costruzione di macchine per costruire macchine e nella fabbricazione di strumenti sempre più precisi per costruire macchine e strumenti per costruire macchine ecc. Il paese che ha la migliore attrezzatura per costruire strumenti per i gabinetti sperimentali degli scienziati e per costruire strumenti per collaudare questi strumenti, si può dire il più complesso nel campo tecnico-industriale, il più civile ecc. Così è nella preparazione degli intellettuali e nelle scuole dedicate a questa preparazione: scuole e istituti di alta cultura sono assimilabili). (Anche in questo campo la quantità non può scindersi dalla qualità. Alla più raffinata specializzazione tecnico-culturale non può non corrispondere la maggiore estensione possibile della diffusione dell’istruzione primaria e la maggiore sollecitudine per favorire i gradi intermedi al più gran numero. Naturalmente questa necessità di creare la più larga base possibile per la selezione e l’elaborazione delle più alte qualifiche intellettuali – di dare cioè all’alta cultura e alla tecnica superiore una struttura democratica – non è senza inconvenienti: si crea così la possibilità di vaste crisi di disoccupazione degli strati medi intellettuali, come avviene di fatto in tutte le società moderne).

Da notare che l’elaborazione dei ceti intellettuali nella realtà concreta non avviene su un terreno democratico astratto, ma secondo processi storici tradizionali molto concreti. Si sono formati dei ceti che tradizionalmente «producono» intellettuali e sono quelli stessi che di solito sono specializzati nel «risparmio», cioè la piccola e media borghesia terriera e alcuni strati della piccola e media borghesia cittadina. La diversa distribuzione dei diversi tipi di scuole (classiche e professionali) nel territorio «economico» e le diverse aspirazioni delle varie categorie di questi ceti determinano o danno forma alla produzione dei diversi rami di specializzazione intellettuale. Così in Italia la borghesia rurale produce specialmente funzionari statali e professionali liberi, mentre la borghesia cittadina produce tecnici per l’industria: e perciò l’Italia settentrionale produce specialmente tecnici e l’Italia meridionale specialmente funzionari e professionisti.

Il rapporto tra gli intellettuali e il mondo della produzione non è immediato, come avviene per i gruppi sociali fondamentali, ma è mediato, in diverso grado, da tutto il tessuto sociale, dal complesso delle superstrutture, di cui appunto gli intellettuali sono i «funzionari». Si potrebbe misurare l’«organicità» dei diversi strati intellettuali, la loro più o meno stretta connessione con un gruppo sociale fondamentale, fissando una gradazione delle funzioni e delle soprastrutture dal basso in alto (dalla base strutturale in su). Si possono, per ora, fissare due grandi «piani» superstrutturali, quello che si può chiamare della «società civile», cioè dell’insieme di organismi volgarmente detti «privati» e quello della «società politica o Stato» e che corrispondono alla funzione di «egemonia» che il gruppo dominante esercita in tutta la società e a quello di «dominio diretto» o di comando che si esprime nello Stato e nel governo «giuridico». Queste funzioni sono precisamente organizzative e connettive. Gli intellettuali sono i «commessi» del gruppo dominante per l’esercizio delle funzioni subalterne dell’egemonia sociale e del governo politico, cioè: 1) del consenso «spontaneo» dato dalle grandi masse della popolazione all’indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante, consenso che nasce «storicamente» dal prestigio (e quindi dalla fiducia) derivante al gruppo dominante dalla sua posizione e dalla sua funzione nel mondo della produzione; 2) dell’apparato di coercizione statale che assicura «legalmente» la disciplina di quei gruppi che non «consentono» né attivamente né passivamente, ma è costituito per tutta la società in previsione dei momenti di crisi nel comando e nella direzione in cui il consenso spontaneo vien meno. Questa impostazione del problema dà come risultato un’estensione molto grande del concetto di intellettuale, ma solo così è possibile giungere a una approssimazione concreta della realtà. Questo modo di impostare la questione urta contro preconcetti di casta: è vero che la stessa funzione organizzativa dell’egemonia sociale e del dominio statale dà luogo a una certa divisione del lavoro e quindi a tutta una gradazione di qualifiche, in alcune delle quali non appare più alcuna attribuzione direttiva e organizzativa: nell’apparato di direzione sociale e statale esiste tutta una serie di impieghi di carattere manuale e strumentale (di ordine e non di concetto, di agente e non di ufficiale o funzionario ecc.), ma evidentemente occorre fare questa distinzione, come occorrerà farne anche qualche altra. Infatti l’attività intellettuale deve essere distinta in gradi anche dal punto di vista intrinseco, gradi che nei momenti di estrema opposizione danno una vera e propria differenza qualitativa: nel più alto gradino saranno da porre i creatori delle varie scienze, della filosofia, dell’arte, ecc.; nel più basso i più umili «amministratori» e divulgatori della ricchezza intellettuale già esistente, tradizionale, accumulata. L’organismo militare, anche in questo caso, offre un modello di queste complesse graduazioni: ufficiali subalterni, ufficiali superiori, Stato maggiore; e non bisogna dimenticare i graduati di truppa, la cui importanza reale è superiore a quanto di solito si pensi. È interessante notare che tutte queste parti si sentono solidali e anzi che gli strati inferiori manifestano un più appariscente spirito di corpo e traggono da esso una «boria» che spesso li espone ai frizzi e ai motteggi.

Nel mondo moderno, la categoria degli intellettuali, così intesa, si è ampliata in modo inaudito. Sono state elaborate dal sistema sociale democratico-burocratico masse imponenti, non tutte giustificate dalle necessità sociali della produzione, anche se giustificate dalle necessità politiche del gruppo fondamentale dominante. Quindi la concezione loriana del «lavoratore» improduttivo (ma improduttivo per riferimento a chi e a quale modo di produzione?), che potrebbe in parte giustificarsi se si tiene conto che queste masse sfruttano la loro posizione per farsi assegnare taglie ingenti sul reddito nazionale. La formazione di massa ha standardizzato gli individui e come qualifica individuale e come psicologia, determinando gli stessi fenomeni che in tutte le altre masse standardizzate: concorrenza che pone la necessità dell’organizzazione professionale di difesa, disoccupazione, superproduzione scolastica, emigrazione ecc.

Diversa posizione degli intellettuali di tipo urbano e di tipo rurale. Gli intellettuali di tipo urbano sono concresciuti con l’industria e sono legati alle sue fortune. La loro funzione può essere paragonata a quella degli ufficiali subalterni nell’esercito: non hanno nessuna iniziativa autonoma nel costruire i piani di costruzione; mettono in rapporto, articolandola, la massa strumentale con l’imprenditore, elaborano l’esecuzione immediata del piano di produzione stabilito dallo stato maggiore dell’industria, controllandone le fasi lavorative elementari. Nella loro media generale gli intellettuali urbani sono molto standardizzati; gli alti intellettuali urbani si confondono sempre più col vero e proprio stato maggiore industriale.

Gli intellettuali di tipo rurale sono in gran parte «tradizionali», cioè legati alla massa sociale campagnola e piccolo borghese, di città (specialmente dei centri minori), non ancora elaborata e messa in movimento dal sistema capitalistico: questo tipo di intellettuale mette a contatto la massa contadina con l’amministrazione statale o locale (avvocati, notai ecc.) e per questa stessa funzione ha una grande funzione politico-sociale, perché la mediazione professionale è difficilmente scindibile dalla mediazione politica. Inoltre: nella campagna l’intellettuale (prete, avvocato, maestro, notaio, medico ecc.) ha un medio tenore di vita superiore o almeno diverso da quello del medio contadino e perciò rappresenta per questo un modello sociale nell’aspirazione a uscire dalla sua condizione e a migliorarla. Il contadino pensa sempre che almeno un suo figliolo potrebbe diventare intellettuale (specialmente prete), cioè diventare un signore, elevando il grado sociale della famiglia e facilitandone la vita economica con le aderenze che non potrà non avere tra gli altri signori. L’atteggiamento del contadino verso l’intellettuale è duplice e pare contradditorio: egli ammira la posizione sociale dell’intellettuale e in generale dell’impiegato statale, ma finge talvolta di disprezzarla, cioè la sua ammirazione è intrisa istintivamente da elementi di invidia e di rabbia appassionata. Non si comprende nulla della vita collettiva dei contadini e dei germi e fermenti di sviluppo che vi esistono se non si prende in considerazione, non si studia in concreto e non si approfondisce, questa subordinazione effettiva agli intellettuali: ogni sviluppo organico delle masse contadine, fino a un certo punto, è legato ai movimenti degli intellettuali e ne dipende.

Altro è il caso per gli intellettuali urbani: i tecnici di fabbrica non esplicano nessuna funzione politica sulle loro masse strumentali, o almeno è questa una fase già superata; talvolta avviene proprio il contrario, che le masse strumentali, almeno attraverso i loro propri intellettuali organici, esercitano un influsso politico sui tecnici.

Il punto centrale della quistione rimane la distinzione tra intellettuali, categoria organica di ogni gruppo sociale fondamentale e intellettuali, come categoria tradizionale; distinzione da cui scaturisce tutta una serie di problemi e di possibili ricerche storiche. Il problema più interessante è quello che riguarda, se considerato da questo punto di vista, il partito politico moderno, le sue origini reali, i suoi sviluppi, le sue forme. Cosa diventa il partito politico in ordine al problema degli intellettuali? Occorre fare alcune distinzioni: 1) per alcuni gruppi sociali il partito politico è niente altro che il modo proprio di elaborare la propria categoria di intellettuali organici, che si formano così e non possono non formarsi, dati i caratteri generali e le condizioni di formazione, di vita e di sviluppo del gruppo sociale dato, direttamente nel campo politico e filosofico e non già nel campo della tecnica produttiva (nel campo della tecnica produttiva si formano quegli strati che si può dire corrispondono ai «graduati di truppa» nell’esercito, cioè gli operai qualificati e specializzati in città e in modo più complesso i mezzadri e coloni in campagna, poiché il mezzadro e il colono in generale corrisponde piuttosto al tipo artigiano, che è l’operaio qualificato di una economia medioevale); 2) il partito politico, per tutti i gruppi, è appunto il meccanismo che nella società civile compie la stessa funzione che compie lo Stato in misura più vasta e più sinteticamente, nella società politica, cioè procura la saldatura tra intellettuali organici di un dato gruppo, quello dominante, e intellettuali tradizionali, e questa funzione il partito compie appunto in dipendenza della sua funzione fondamentale che è quella di elaborare i proprii componenti, elementi di un gruppo sociale nato e sviluppatosi come «economico», fino a farli diventare intellettuali politici qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni inerenti all’organico sviluppo di una società integrale, civile e politica. Si può dire anzi che nel suo ambito il partito politico compia la sua funzione molto più compiutamente e organicamente di quanto lo Stato compia la sua in ambito più vasto: un intellettuale che entra a far parte del partito politico di un determinato gruppo sociale, si confonde con gli intellettuali organici del gruppo stesso, si lega strettamente al gruppo, ciò che non avviene attraverso la partecipazione alla vita statale che mediocremente e talvolta affatto. Anzi avviene che molti intellettuali pensino di essere lo Stato, credenza, che, data la massa imponente della categoria, ha talvolta conseguenze notevoli e porta a conseguenze complicazioni spiacevoli per il gruppo fondamentale economico che realmente è lo Stato.

Che tutti i membri di un partito politico debbano essere considerati come intellettuali, ecco un’affermazione che può prestarsi allo scherzo e alla caricatura; pure, se si riflette, niente di più esatto. Sarà da fare distinzione di gradi, un partito potrà avere una maggiore o minore composizione del grado più alto o di quello più basso, non è ciò che importa: importa la funzione che è direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale. Un commerciante non entra a far parte di un partito politico per fare del commercio, né un industriale per produrre di più e a costi diminuiti, né un contadino per apprendere nuovi metodi di coltivare la terra, anche se alcuni aspetti di queste esigenze del commerciante, dell’industriale, del contadino possono trovare soddisfazione nel partito politico (l’opinione generale contraddice a ciò, affermando che il commerciante, l’industriale, il contadino «politicanti» perdono invece di guadagnare, e sono i peggiori della loro categoria, ciò che può essere discusso). Per questi scopi, entro certi limiti, esiste il sindacato professionale in cui l’attività economico-corporativa del commerciante, dell’industriale, del contadino, trova il suo quadro più adatto. Nel partito politico gli elementi di un gruppo sociale economico superano questo momento del loro sviluppo storico e diventano agenti di attività generali, di carattere nazionale e internazionale. Questa funzione del partito politico dovrebbe apparire molto più chiara da un’analisi storica concreta del come si sono sviluppate le categorie organiche degli intellettuali e quelle tradizionali sia nel terreno delle varie storie nazionali sia in quello dello sviluppo dei vari gruppi sociali più importanti nel quadro delle diverse nazioni, specialmente di quei gruppi la cui attività economica è stata prevalentemente strumentale.

La formazione degli intellettuali tradizionali è il problema storico più interessante. Esso è certamente legato alla schiavitù del mondo classico e alla posizione dei liberti di origine greca e orientale nell’organizzazione sociale dell’Impero romano. Questo distacco non solo sociale ma nazionale, di razza, tra masse notevoli di intellettuali e la classe dominante dell’Impero romano si riproduce dopo la caduta dell’Impero tra guerrieri germanici e intellettuali di origine romanizzati, continuatori della categoria dei liberti. Si intreccia con questi fenomeni il nascere e lo svilupparsi del cattolicismo e dell’organizzazione ecclesiastica che per molti secoli assorbe la maggior parte delle attività intellettuali ed esercita il monopolio della direzione culturale, con sanzioni penali per chi vuole opporsi o anche eludere il monopolio. In Italia si verifica il fenomeno, più o meno intenso secondo i tempi, della funzione cosmopolita degli intellettuali della penisola. Accennerò le differenze che saltano subito agli occhi nello sviluppo degli intellettuali in tutta una serie di paesi, almeno le più notevoli, con l’avvertenza che queste osservazioni dovranno essere controllate e approfondite (d’altronde, tutte queste note devono essere considerate semplicemente come spunti e motivi per la memoria, che devono essere controllati e approfonditi):

Per l’Italia il fatto centrale è appunto la funzione internazionale e cosmopolita dei suoi intellettuali che è causa ed effetto dello stato di disgregazione in cui rimane la penisola dalla caduta dell’Impero Romano al 1870.

La Francia dà un tipo compiuto di sviluppo armonico di tutte le energie nazionali e specialmente delle categorie intellettuali; quando nel 1789 un nuovo raggruppamento sociale affiora politicamente alla storia, esso è completamente attrezzato per tutte le sue funzioni sociali e perciò lotta per il dominio totale della nazione, senza venire a compromessi essenziali con le vecchie classi, ma invece subordinandole ai propri fini. Le prime cellule intellettuali del nuovo tipo nascono con le prime cellule economiche: la stessa organizzazione ecclesiastica ne è influenzata (gallicanismo, lotte molto precoci tra Chiesa e Stato). Questa massiccia costruzione intellettuale spiega la funzione della cultura francese nei secoli XVIII e XIX, funzione di irradiazione internazionale e cosmopolita e di espansione a carattere imperialistico ed egemonico in modo organico, quindi ben diversa da quella italiana, a carattere immigratorio personale e disgregato, che non refluisce sulla base nazionale per potenziarla ma invece concorre a rendere impossibile il costituirsi di una salda base nazionale.

In Russia diversi spunti: l’organizzazione politica ed economico-commerciale è creata dai Normanni (Varieghi), quella religiosa dai greci bizantini; in un secondo tempo i tedeschi e i francesi portano l’esperienza europea in Russia e danno un primo scheletro consistente alla gelatina storica russa. Le forze nazionali sono inerti, passive e ricettive, ma forse appunto perciò assimilano completamente le influenze straniere e gli stessi stranieri, russificandoli. Nel periodo storico più recente avviene il fenomeno inverso: una élite di persone tra le più attive, energiche, intraprendenti e disciplinate, emigra all’estero, assimila la cultura e le esperienze storiche dei paesi più progrediti dell’Occidente, senza perciò perdere i caratteri più essenziali della propria nazionalità, senza cioè rompere i legami sentimentali e storici col proprio popolo; fatto così il suo garzonato intellettuale, rientra nel paese, costringendo il popolo ad un forzato risveglio, ad una marcia in avanti accelerata, bruciando le tappe. La differenza tra questa élite e quella tedesca importata (da Pietro il Grande, per esempio) consiste nel suo carattere essenziale nazionale-popolare: non può essere assimilata dalla passività inerte del popolo russo, perché è essa stessa una energica reazione russa alla propria inerzia storica.

In un altro terreno e in ben diverse condizioni di tempo e di luogo, questo fenomeno russo può essere paragonato alla nascita della nazione americana (Stati Uniti): gl’immigrati anglosassoni sono anch’essi un’élite intellettuale, ma specialmente morale. Si vuol parlare naturalmente dei primi immigrati, dei pionieri, protagonisti delle lotte religiose e politiche inglesi, sconfitti, ma non umiliati né depressi nella loro patria d’origine. Essi importano in America, con se stessi, oltre l’energia morale e volitiva, un certo grado di civiltà, una certa fase dell’evoluzione storica europea, che trapiantata nel suolo vergine americano da tali agenti, continua a sviluppare le forze implicite nella sua natura ma con un ritmo incomparabilmente più rapido che nella vecchia Europa, dove esiste tutta una serie di freni (morali intellettuali politici economici, incorporati in determinati gruppi della popolazione, reliquie dei passati regimi che non vogliono sparire) che si oppongono a un processo celere ed equilibrano nella mediocrità ogni iniziativa, diluendola nel tempo e nello spazio.

In Inghilterra lo sviluppo è molto diverso che in Francia. Il nuovo raggruppamento sociale nato sulla base dell’industrialismo moderno, ha un sorprendente sviluppo economico-corporativo, ma procede a tastoni nel campo intellettuale-politico. Molto vasta la categoria degli intellettuali organici, nati cioè sullo stesso terreno industriale col gruppo economico, ma nella sfera più elevata troviamo conservata la posizione di quasi monopolio della vecchia classe terriera, che perde la supremazia economica ma conserva a lungo una supremazia politico-intellettuale e viene assimilata come «intellettuali tradizionali» e strato dirigente dal nuovo gruppo al potere. La vecchia aristocrazia terriera si unisce agli industriali con un tipo di sutura che in altri paesi è appunto quello che unisce gli intellettuali tradizionali alle nuove classi dominanti.

Il fenomeno inglese si è presentato anche in Germania complicato da altri elementi storici e tradizionali. La Germania, come l’Italia, è stata la sede di una istituzione e di una ideologia universalistica, supernazionale (Sacro Romano Impero della Nazione tedesca) e ha dato una certa quantità di personale alla cosmopoli medioevale, depauperando le proprie energie interne e suscitando lotte che distoglievano dai problemi di organizzazione nazionale e mantenevano la disgregazione territoriale del Medio Evo. Lo sviluppo industriale è avvenuto sotto un involucro semifeudale durato fino al novembre 1918 e gli junker hanno mantenuto una supremazia politico-intellettuale ben maggiore di quella dello stesso gruppo inglese. Essi sono stati gli intellettuali tradizionali degli industriali tedeschi, ma con speciali privilegi e con una forte coscienza di essere un gruppo sociale indipendente, basata sul fatto che detenevano un notevole potere economico sulla terra, «produttiva» più che in Inghilterra. Gli junker prussiani rassomigliano a una casta sacerdotale-militare, che ha un quasi monopolio delle funzioni direttive-organizzative nella società politica, ma ha nello stesso tempo una base economica propria e non dipende esclusivamente dalla liberalità del gruppo economico dominante. Inoltre, a differenza dei nobili terrieri inglesi, gli junker costituivano l’ufficialità di un grande esercito stanziale, ciò che dava loro dei quadri organizzativi solidi, favorevoli alla conservazione dello spirito di corpo e del monopolio politico (nel libro Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania di Max Weber si possono trovare molti elementi per vedere come il monopolio politico dei nobili abbia impedito l’elaborazione di un personale politico borghese vasto e sperimentato e sia alla base delle continue crisi parlamentari e della disgregazione dei partiti liberali e democratici; quindi l’importanza del Centro Cattolico e della Socialdemocrazia, che nel periodo imperiale riuscirono a elaborare un proprio strato parlamentare e direttivo abbastanza notevole).

Negli Stati Uniti è da notare l’assenza, in una certa misura, degli intellettuali tradizionali e quindi il diverso equilibrio degli intellettuali in generale. Si è avuta una formazione massiccia sulla base industriale di tutte le superstrutture moderne. La necessità di un equilibrio non è data dal fatto che occorre fondere gli intellettuali organici con quelli tradizionali che non esistono come categoria cristallizzata e misoneista, ma dal fatto che occorre fondere in un unico crogiolo nazionale di cultura unitaria tipi di culture diverse portati dagli immigrati di varie origini nazionali. La mancanza di una vasta sedimentazione di intellettuali tradizionali, come si è verificata nei paesi di antica civiltà, spiega in parte, sia l’esistenza di due soli grandi partiti politici, che si potrebbero in realtà facilmente ridurre a uno solo (cfr. con la Francia non solo del dopoguerra, quando la moltiplicazione dei partiti è diventata fenomeno generale) e all’opposto la moltiplicazione illimitata delle sette religiose (mi pare ne siano state catalogate più di 200; cfr. con la Francia e con le lotte accanite sostenute per mantenere l’unità religiosa e morale del popolo francese).

Una manifestazione interessante è ancora da studiare negli Stati Uniti ed è il formarsi di un numero sorprendente di intellettuali negri, che assorbono la cultura e la tecnica americana. Si può pensare all’influsso indiretto che questi intellettuali negri possono esercitare sulle masse arretrate dell’Africa e a quello diretto se si verificasse una di queste ipotesi: 1) che l’espansionismo americano si serva come di suoi agenti dei negri nazionali per conquistare i mercati africani e estendervi il proprio tipo di civiltà (qualcosa di simile è già avvenuto, ma ignoro in qual misura); 2) che le lotte per l’unificazione del popolo americano si inaspriscano in tal misura da determinare l’esodo dei negri e il ritorno in Africa degli elementi intellettuali più indipendenti ed energici e quindi meno propensi ad assoggettarsi a una possibile legislazione ancora più umiliante del costume attualmente diffuso. Nascerebbero due quistioni fondamentali: 1) della lingua, cioè l’inglese potrebbe diventare la lingua colta dell’Africa, unificatrice dell’esistente pulviscolo di dialetti? 2) se questo strato intellettuale possa avere la capacità assimilatrice e organizzatrice in tal misura da far diventare «nazionale» l’attuale primitivo sentimento di razza disprezzata, innalzando il continente africano al mito e alla funzione di patria comune di tutti i negri. Mi pare che, per ora, i negri d’America debbano avere uno spirito di razza e nazionale più negativo che positivo, suscitato cioè dalla lotta che i bianchi conducono per isolarli e deprimerli: ma non è stato questo il caso degli ebrei fino a tutto il 1700? La Liberia già americanizzata e con lingua ufficiale inglese potrebbe diventare la Sion dei negri americani, con la tendenza a porsi come il Piemonte africano.

Nell’America meridionale e centrale la quistione degli intellettuali mi pare sia da esaminare tenendo conto di queste condizioni fondamentali: anche nell’America meridionale e centrale non esiste una vasta categoria di intellettuali tradizionali, ma la cosa non si presenta negli stessi termini degli Stati Uniti. Troviamo infatti alla base dello sviluppo di questi paesi i quadri della civiltà spagnola e portoghese del 500 e del 600, caratterizzata dalla Controriforma e dal militarismo parassitario. Le cristallizzazioni resistenti ancora oggi in questi paesi sono il clero e una casta militare, due categorie di intellettuali tradizionali fossilizzate nella forma della madre patria europea. La base industriale è molto ristretta e non ha sviluppato soprastrutture complicate: la maggior quantità di intellettuali è di tipo rurale e poiché domina il latifondo, con estese proprietà ecclesiastiche, questi intellettuali sono legati al clero e ai grandi proprietari. La composizione nazionale è molto squilibrata anche fra i bianchi, ma si complica per le masse notevoli di indii che in alcuni paesi sono la maggioranza della popolazione. Si può dire in generale che in queste regioni americane esiste ancora una situazione da Kulturkampf e da processo Dreyfus, cioè una situazione in cui l’elemento laico e borghese non ha ancora raggiunto la fase della subordinazione alla politica laica dello Stato moderno degli interessi e dell’influenza clericale e militaresca. Avviene così che per opposizione al gesuitismo abbia ancora molta influenza la Massoneria e il tipo di organizzazione culturale come la «Chiesa positivista». Gli avvenimenti di questi ultimi tempi (novembre 1930), dal Kulturkampf di Calles nel Messico alle insurrezioni militari-popolari in Argentina, nel Brasile, nel Perù, nel Cile, in Bolivia, dimostrano appunto la esattezza di queste osservazioni.

Altri tipi di formazione delle categorie intellettuali e dei loro rapporti con le forze nazionali si possono trovare in India, in Cina, nel Giappone. Nel Giappone abbiamo una formazione del tipo inglese e tedesco, cioè di una civiltà industriale che si sviluppa entro un involucro feudale-burocratico con caratteri propri inconfondibili.

In Cina c’è il fenomeno della scrittura, espressione della completa separazione degli intellettuali dal popolo. In India e in Cina l’enorme distanza tra gli intellettuali e il popolo si manifesta poi nel campo religioso. Il problema delle diverse credenze e del modo diverso di concepire e praticare la stessa religione tra i diversi strati della società ma specialmente tra clero e intellettuali e popolo dovrebbe essere studiato in generale, perché si manifesta da per tutto in una certa misura, sebbene nei paesi dell’Asia orientale abbia le manifestazioni più estreme. Nei paesi protestanti la differenza è relativamente piccola (la moltiplicazione delle sette è legata all’esigenza di una sutura completa tra intellettuali e popolo, ciò che riproduce nella sfera dell’organizzazione superiore tutte le scabrosità della concezione reale delle masse popolari). È molto notevole nei paesi cattolici, ma con gradi diversi: meno grande nella Germania cattolica e in Francia, più grande in Italia, specialmente nel Mezzogiorno e nelle Isole; grandissima nella penisola iberica e nei paesi dell’America latina. Il fenomeno aumenta di portata nei paesi ortodossi ove bisogna parlare di tre gradi della stessa religione: quello dell’alto clero e dei monaci, quello del clero secolare e quello del popolo. Diventa assurdo nell’Asia orientale, dove la religione del popolo spesso non ha nulla a che fare con quella dei libri, sebbene alle due si dia lo stesso nome.

Aspetti diversi della quistione degli intellettuali, oltre quelli sopra accennati. Occorre farne un prospetto organico, sistematico e ragionato. Registro delle attività di carattere prevalentemente intellettuale. Istituzioni legate all’attività culturale. Metodo e problemi di metodo del lavoro intellettuale e culturale, sia creativo che divulgativo. Scuola, accademia, circoli di diverso tipo come istituzioni di elaborazione collegiale della vita culturale. Riviste e giornali come mezzi per organizzare e diffondere determinati tipi di cultura.

Si può osservare in generale che nella civiltà moderna tutte le attività pratiche sono diventate così complesse e le scienze si sono talmente intrecciate alla vita che ogni attività pratica tende a creare una scuola per i propri dirigenti e specialisti e quindi a creare un gruppo di intellettuali specialisti di grado più elevato, che insegnino in queste scuole. Così accanto al tipo di scuola che si potrebbe chiamare «umanistica», ed è quello tradizionale più antico, e che era rivolta a sviluppare in ogni individuo umano la cultura generale ancora indifferenziata, la potenza fondamentale di pensare e di sapersi dirigere nella vita, si è andato creando tutto un sistema di scuole particolari di vario grado, per intere branche professionali o per professioni già specializzate e indicate con precisa individuazione. Si può anzi dire che la crisi scolastica che oggi imperversa è appunto legata al fatto che questo processo di differenziazione e particolarizzazione avviene caoticamente, senza principii chiari e precisi, senza un piano bene studiato e consapevolmente fissato: la crisi del programma e dell’organizzazione scolastica, cioè dell’indirizzo generale di una politica di formazione dei moderni quadri intellettuali, è in gran parte un aspetto e una complicazione della crisi organica più comprensiva e generale. La divisione fondamentale della scuola in classica e professionale era uno schema razionale: la scuola professionale per le classi strumentali, quella classica per le classi dominanti e per gli intellettuali. Lo sviluppo della base industriale sia in città che in campagna aveva un crescente bisogno del nuovo tipo di intellettuale urbano: si sviluppò accanto alla scuola classica quella tecnica (professionale ma non manuale), ciò che mise in discussione il principio stesso dell’indirizzo concreto di cultura generale, dell’indirizzo umanistico della cultura generale fondata sulla tradizione greco-romana. Questo indirizzo, una volta messo in discussione, può dirsi spacciato, perché la sua capacità formativa era in gran parte basata sul prestigio generale e tradizionalmente indiscusso, di una determinata forma di civiltà.

Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola «disinteressata» (non immediatamente interessata) e «formativa» o di lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite di signori e di donne che non devono pensare a prepararsi un avvenire professionale e di diffondere sempre più le scuole professionali specializzate in cui il destino dell’allievo e la sua futura attività sono predeterminate. La crisi avrà una soluzione che razionalmente dovrebbe seguire questa linea: scuola unica iniziale di cultura generale, umanistica, formativa, che contemperi giustamente lo sviluppo della capacità di lavorare manualmente (tecnicamente, industrialmente) e lo sviluppo delle capacità del lavoro intellettuale. Da questo tipo di scuola unica, attraverso esperienze ripetute di orientamento professionale, si passerà a una delle scuole specializzate o al lavoro produttivo.

È da tener presente la tendenza in isviluppo per cui ogni attività pratica tende a crearsi una sua scuola specializzata, così come ogni attività intellettuale tende a crearsi propri circoli di cultura, che assumono la funzione di istituzioni postscolastiche specializzate nell’organizzare le condizioni in cui sia possibile tenersi al corrente dei progressi che si verificano nel proprio ramo scientifico. Si può anche osservare che sempre più gli organi deliberanti tendono a distinguere la loro attività in due aspetti «organici», quella deliberativa che è loro essenziale e quella tecnico-culturale per cui le quistioni su cui occorre prendere risoluzioni sono prima esaminate da esperti ed analizzate scientificamente. Questa attività ha creato già tutto un corpo burocratico di una nuova struttura, poiché oltre agli uffici specializzati di competenti che preparano il materiale tecnico per i corpi deliberanti, si crea un secondo corpo di funzionati, più o meno «volontari» e disinteressati, scelti volta a volta nell’industria, nella banca, nella finanza. È questo uno dei meccanismi attraverso cui la burocrazia di carriera aveva finito col controllare i regimi democratici e i parlamenti; ora il meccanismo si va estendendo organicamente ed assorbe nel suo circolo i grandi specialisti dell’attività pratica privata, che così controlla e regimi e burocrazia. Poiché si tratta di uno sviluppo organico necessario che tende a integrare il personale specializzato nella tecnica politica con personale specializzato nelle quistioni concrete di amministrazione delle attività pratiche essenziali delle grandi e complesse società nazionali moderne, ogni tentativo di esorcizzare queste tendenze dall’esterno, non produce altro risultato che prediche moralistiche e gemiti retorici. Si pone la quistione di modificare la preparazione del personale tecnico politico, integrando la sua cultura secondo le nuove necessità e di elaborare nuovi tipi di funzionari specializzati che collegialmente integrino l’attività deliberante. Il tipo tradizionale del «dirigente» politico, preparato solo per le attività giuridico-formali, diventa anacronistico e rappresenta un pericolo per la vita statale: il dirigente deve avere quel minimo di coltura generale tecnica che gli permetta, se non di «creare» autonomamente la soluzione giusta, di saper giudicare tra le soluzioni prospettate dagli esperti e scegliere quindi quella giusta dal punto di vista «sintetico» della tecnica politica. Un tipo di collegio deliberante che cerca di incorporarsi la competenza tecnica necessaria per operare realisticamente è stato descritto in altro luogo, dove si parla di ciò che avviene in certe redazioni di riviste, che funzionano nello stesso tempo come redazioni e come circoli di coltura. Il circolo critica collegialmente e contribuisce così ad elaborare i lavori dei singoli redattori, la cui operosità è organizzata secondo un piano e una divisione del lavoro razionalmente predisposta. Attraverso la discussione e la critica collegiale (fatta di suggerimenti, consigli, indicazioni metodiche, critica costruttiva e rivolta alla educazione reciproca) per cui ognuno funziona da specialista nella sua materia per integrare la competenza collettiva, in realtà si riesce ad elevare il livello medio dei singoli redattori, a raggiungere l’altezza o la capacità del più preparato, assicurando alla rivista una collaborazione sempre più scelta ed organica, non solo, ma creando le condizioni per il sorgere di un gruppo omogeneo di intellettuali preparato a produrre una regolare e metodica attività «libraria» (non solo di pubblicazioni d’occasione e di saggi parziali, ma di lavori organici di insieme). Indubbiamente, in questa specie di attività collettive, ogni lavoro produce nuove capacità e possibilità di lavoro, poiché crea sempre più organiche condizioni di lavoro: schedari, spogli bibliografici, raccolta di opere fondamentali specializzate ecc. Si domanda una lotta rigorosa contro le abitudini al dilettantismo, all’improvvisazione, alle soluzioni «oratorie» e declamatorie. Il lavoro deve essere fatto specialmente per iscritto, così come per iscritto devono essere le critiche, in note stringate e succinte, ciò che si può ottenere distribuendo a tempo il materiale ecc.; lo scrivere le note e le critiche è principio didattico reso necessario dal bisogno di combattere le abitudini alla prolissità, alla declamazione e al paralogismo create dall’oratoria. Questo tipo di lavoro intellettuale è necessario per fare acquistare agli autodidatti la disciplina degli studi che procura una carriera scolastica regolare, per taylorizzare il lavoro intellettuale. Così è utile il principio degli «anziani di Santa Zita» di cui parla il De Sanctis nei suoi ricordi sulla scuola napoletana di Basilio Puoti: cioè è utile una certa «stratificazione» delle capacità ed attitudini e la formazione di gruppi di lavoro sotto la guida dei più esperti e sviluppati, che accelerino la preparazione dei più arretrati e grezzi.

Un punto importante nello studio dell’organizzazione pratica della scuola unitaria è quello riguardante la carriera scolastica nei suoi vari gradi conformi all’età e allo sviluppo intellettuale-morale degli allievi e ai fini che la scuola stessa vuole raggiungere. La scuola unitaria o di formazione umanistica (inteso questo termine di umanismo in senso largo e non solo nel senso tradizionale) o di cultura generale, dovrebbe proporsi di immettere nell’attività sociale i giovani dopo averli portati a un certo grado di maturità e capacità alla creazione intellettuale e pratica e di autonomia nell’orientamento e nell’iniziativa. La fissazione dell’età scolastica obbligatoria dipende dalle condizioni economiche generali, poiché queste possono costringere a domandare ai giovani e ai ragazzi un certo apporto produttivo immediato. La scuola unitaria domanda che lo Stato possa assumersi le spese che oggi sono a carico della famiglia per il mantenimento degli scolari, cioè trasforma il bilancio del dicastero dell’educazione nazionale da cima a fondo, estendendolo in modo inaudito e complicandolo: la intera funzione dell’educazione e formazione delle nuove generazioni diventa da privata, pubblica, poiché solo così essa può coinvolgere tutte le generazioni senza divisioni di gruppi o caste. Ma questa trasformazione dell’attività scolastica domanda un allargamento inaudito dell’organizzazione pratica della scuola, cioè degli edifizi, del materiale scientifico, del corpo insegnante ecc. Il corpo insegnante specialmente dovrebbe essere aumentato, perché la efficenza della scuola è tanto maggiore e intensa quanto più piccolo è il rapporto tra maestro e allievi, ciò che prospetta altri problemi non di facile e rapida soluzione. Anche la quistione degli edifizi non è semplice, perché questo tipo di scuola dovrebbe essere una scuola-collegio, con dormitori, refettori, biblioteche specializzate, sale adatte per il lavoro di seminario ecc. Perciò inizialmente il nuovo tipo di scuola dovrà e non potrà non essere che propria di gruppi ristretti, di giovani scelti per concorso o indicati sotto la loro responsabilità da istituzioni idonee. La scuola unitaria dovrebbe corrispondere al periodo rappresentato oggi dalle elementari e dalle medie, riorganizzate non solo per il contenuto e il metodo di insegnamento, ma anche per la disposizione dei vari gradi della carriera scolastica. Il primo grado elementare non dovrebbe essere di più che 3-4 anni e accanto all’insegnamento delle prime nozioni «strumentali» dell’istruzione – leggere, scrivere, far di conto, geografia, storia – dovrebbe specialmente svolgere la parte che oggi è trascurata dei «diritti e doveri», cioè le prime nozioni dello Stato e della società, come elementi primordiali di una nuova concezione del mondo che entra in lotta contro le concezioni date dai diversi ambienti sociali tradizionali, cioè le concezioni che si possono chiamare folcloristiche. Il problema didattico da risolvere è quello di temperare e fecondare l’indirizzo dogmatico che non può non essere proprio di questi primi anni. Il resto del corso non dovrebbe durare più di sei anni, in modo che a 15-16 anni si dovrebbe poter compiere tutti i gradi della scuola unitaria. Si può obbiettare che un tale corso è troppo faticoso per la sua rapidità, se si vogliono raggiungere effettivamente i risultati che l’attuale organizzazione della scuola classica si propone ma non raggiunge. Si può dire però che il complesso della nuova organizzazione dovrà contenere in se stessa gli elementi generali per cui oggi, per una parte degli allievi almeno, il corso è invece troppo lento. Quali sono questi elementi? In una serie di famiglie, specialmente dei ceti intellettuali, i ragazzi trovano nella vita famigliare una preparazione, un prolungamento e un’integrazione della vita scolastica, assorbono, come si dice, dall’«aria» tutta una quantità di nozioni e di attitudini che facilitano la carriera scolastica propriamente detta: essi conoscono già e sviluppano la conoscenza della lingua letteraria, cioè il mezzo di espressione e di conoscenza, tecnicamente superiore ai mezzi posseduti dalla media della popolazione scolastica dai 6 ai 12 anni. Così gli allievi della città, per il solo fatto di vivere in città, hanno assorbito già prima dei 6 anni una quantità di nozioni e di attitudini che rendono più facile, più proficua e più rapida la carriera scolastica. Nell’organizzazione intima della scuola unitaria devono essere create almeno le principali di queste condizioni, oltre al fatto, che è da supporre, che parallelamente alla scuola unitaria si sviluppi una rete di asili d’infanzia e altre istituzioni in cui, anche prima dell’età scolastica, i bambini siano abituati a una certa disciplina collettiva ed acquistino nozioni e attitudini prescolastiche. Infatti, la scuola unitaria dovrebbe essere organizzata come collegio, con vita collettiva diurna e notturna, liberata dalle attuali forme di disciplina ipocrita e meccanica, e lo studio dovrebbe essere fatto collettivamente, con l’assistenza dei maestri e dei migliori allievi, anche nelle ore di applicazione così detta individuale ecc.

Il problema fondamentale si pone per quella fase dell’attuale carriera scolastica che oggi è rappresentata dal liceo e che oggi non si differenzia per nulla, come tipo d’insegnamento, dalle classi precedenti, altro che per la supposizione astratta di una maggiore maturità intellettuale e morale dell’allievo conforme all’età maggiore e all’esperienza precedentemente accumulata. Di fatto tra liceo e università e cioè tra la scuola vera e propria e la vita c’è un salto, una vera soluzione di continuità, non un passaggio razionale dalla quantità (età) alla qualità (maturità intellettuale e morale). Dall’insegnamento quasi puramente dogmatico, in cui la memoria ha una grande parte, si passa alla fase creativa o di lavoro autonomo e indipendente; dalla scuola con disciplina dello studio imposta e controllata autoritativamente si passa a una fase di studio o di lavoro professionale in cui l’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale è teoricamente illimitata. E ciò avviene subito dopo la crisi della pubertà, quando la foga delle passioni istintive ed elementari non ha ancora finito di lottare coi freni del carattere e della coscienza morale in formazione. In Italia poi, dove nelle Università non è diffuso il principio del lavoro di «seminario», il passaggio è ancora più brusco e meccanico.

Ecco dunque che nella scuola unitaria la fase ultima deve essere concepita e organata come la fase decisiva in cui si tende a creare i valori fondamentali dell’«umanesimo», l’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale necessarie per l’ulteriore specializzazione sia essa di carattere scientifico (studi universitari) sia di carattere immediatamente pratico-produttivo (industria, burocrazia, organizzazione degli scambi, ecc.). Lo studio e l’apprendimento dei metodi creativi nella scienza e nella vita deve cominciare in questa ultima fase della scuola e non essere più un monopolio dell’Università o essere lasciato al caso della vita pratica: questa fase scolastica deve già contribuire a sviluppare l’elemento della responsabilità autonoma negli individui, essere una scuola creativa (occorre distinguere tra scuola creativa e scuola attiva, anche nella forma data dal metodo Dalton. Tutta la scuola unitaria è scuola attiva, sebbene occorra porre dei limiti alle ideologie libertarie in questo campo e rivendicare con una certa energia il dovere delle generazioni adulte, cioè dello Stato, di «conformare» le nuove generazioni. Si è ancora nella fase romantica della scuola attiva, in cui gli elementi della lotta contro la scuola meccanica e gesuitica si sono dilatati morbosamente per ragioni di contrasto e di polemica: occorre entrare nella fase «classica», razionale, trovare nei fini da raggiungere la sorgente naturale per elaborare i metodi e le forme. La scuola creativa è il coronamento della scuola attiva: nella prima fase si tende a disciplinare, quindi anche a livellare, a ottenere una certa specie di «conformismo» che si può chiamare «dinamico»; nella fase creativa, sul fondamento raggiunto di «collettivizzazione» del tipo sociale, si tende a espandere la personalità, divenuta autonoma e responsabile, ma con una coscienza morale e sociale solida e omogenea. Così scuola creativa non significa scuola di «inventori e scopritori»; si indica una fase e un metodo di ricerca e di conoscenza, e non un «programma» predeterminato con l’obbligo dell’originalità e dell’innovazione a tutti i costi. Indica che l’apprendimento avviene specialmente per uno sforzo spontaneo e autonomo del discente, e in cui il maestro esercita solo una funzione di guida amichevole come avviene o dovrebbe avvenire nell’Università. Scoprire da se stessi, senza suggerimenti e aiuti esterni, una verità è creazione, anche se la verità è vecchia, e dimostra il possesso del metodo; indica che in ogni modo si è entrati nella fase di maturità intellettuale in cui si possono scoprire verità nuove. Perciò in questa fase l’attività scolastica fondamentale si svolgerà nei seminari, nelle biblioteche, nei laboratori sperimentali; in essa si raccoglieranno le indicazioni organiche per l’orientamento professionale).

L’avvento della scuola unitaria significa l’inizio di nuovi rapporti tra lavoro intellettuale e lavoro industriale non solo nella scuola, ma in tutta la vita sociale. Il principio unitario si rifletterà perciò in tutti gli organismi di cultura, trasformandoli e dando loro un nuovo contenuto. Problema della nuova funzione che potranno assumere le Università e le Accademie. Oggi queste due istituzioni sono indipendenti l’una dall’altra e le Accademie sono il simbolo, spesso a ragione deriso, del distacco esistente tra l’alta cultura e la vita, tra gli intellettuali e il popolo (perciò quella certa fortuna che ebbero i futuristi nel loro primo periodo di Sturm und Drang antiaccademico, antitradizionalista ecc.). In una nuova situazione di rapporti tra vita e cultura, tra lavoro intellettuale e lavoro industriale, le accademie dovrebbero diventare l’organizzazione culturale (di sistemazione, espansione e creazione intellettuale) di quegli elementi che dopo la scuola unitaria passeranno al lavoro professionale, e un terreno d’incontro tra essi e gli universitari. Gli elementi sociali impiegati nel lavoro professionale non devono cadere nella passività intellettuale, ma devono avere a loro disposizione (per iniziativa collettiva e non di singoli, come funzione sociale organica riconosciuta di pubblica necessità ed utilità) istituti specializzati in tutte le branche di ricerca e di lavoro scientifico, ai quali potranno collaborare e in cui troveranno tutti i sussidi necessari per ogni forma di attività culturale che intendano intraprendere. L’organizzazione accademica dovrà essere riorganizzata e vivificata da cima a fondo. Territorialmente avrà una centralizzazione di competenze e di specializzazione: centri nazionali che si aggregheranno le grandi istituzioni esistenti, sezioni regionali e provinciali e circoli locali urbani e rurali. Si sezionerà per competenze scientifico-culturali, che saranno tutte rappresentate nei centri superiori ma solo parzialmente nei circoli locali. Unificare i vari tipi di organizzazione culturale esistenti: Accademie, Istituti di cultura, circoli filologici ecc., integrando il lavoro accademico tradizionale, che si esplica prevalentemente nella sistemazione del sapere passato o nel cercare di fissare una media del pensiero nazionale come guida dell’attività intellettuale, con attività collegate alla vita collettiva, al mondo della produzione e del lavoro. Si controlleranno le conferenze industriali, l’attività dell’organizzazione scientifica del lavoro, i gabinetti sperimentali di fabbrica ecc. Si costruirà un meccanismo per selezionare e fare avanzare le capacità individuali della massa popolare, che oggi sono sacrificate e si smarriscono in errori e tentativi senza uscita. Ogni circolo locale dovrebbe avere necessariamente la sezione di scienze morali e politiche, e mano a mano organizzerà le altre sezioni speciali per discutere gli aspetti tecnici dei problemi industriali, agrari, di organizzazione e razionalizzazione del lavoro, di fabbrica, agricolo, burocratico ecc. Congressi periodici di diverso grado faranno conoscere i più capaci.

Sarebbe utile avere l’elenco completo delle Accademie e delle altre organizzazioni culturali oggi esistenti e degli argomenti che sono prevalentemente trattati nei loro lavori e pubblicati nei loro Atti: in gran parte si tratta di cimiteri della cultura, pure esse hanno una funzione nella psicologia della classe dirigente.

La collaborazione tra questi organismi e le Università dovrebbe essere stretta, così come con tutte le scuole superiori specializzate di ogni genere (militari, navali, ecc.). Lo scopo è di ottenere una centralizzazione e un impulso della cultura nazionale che sarebbero superiori a quelli della Chiesa Cattolica.

(Questo schema di organizzazione del lavoro culturale secondo i principi generali della scuola unitaria, dovrebbe essere sviluppato in tutte le sue parti accuratamente e servire di guida nella costituzione anche del più elementare e primitivo centro di cultura, che dovrebbe essere concepito come un embrione e una molecola di tutta la più massiccia struttura. Anche le iniziative che si sanno transitorie e di esperimento dovrebbero essere concepite come capaci di essere assorbite nello schema generale e nello stesso tempo come elementi vitali che tendono a creare tutto lo schema. Studiare con attenzione l’organizzazione e lo sviluppo del Rotary Club).