Tipo testo: B
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Osservazione
Mi pare che il problema è sempre da porre partendo dalla domanda: «Perché scrivono i poeti? Perché dipingono i pittori? ecc.» (Ricordare l’articolo di Adriano Tilgher nell’«Italia che scrive»). Il Croce risponde, su per giù: per ricordate le proprie opere, dato che, secondo l’estetica crociana, l’opera d’arte è «perfetta» anche già e solo nel cervello dell’artista. Ciò che potrebbe ammettersi approssimativamente e in un certo senso. Ma solo approssimativamente e in un certo senso. In realtà si ricade nella quistione della «natura dell’uomo» e nella quistione «cos’è l’individuo?» Se non si può pensare l’individuo fuori della società, e quindi se non si può pensare nessun individuo che non sia storicamente determinato, è evidente che ogni individuo e anche l’artista, e ogni sua attività, non può essere pensata fuori della società, di una società determinata. L’artista pertanto non scrive o dipinge, ecc., cioè non «segna» esteriormente i suoi fantasmi solo per «un suo ricordo», per poter rivivere l’istante della creazione, ma è artista solo in quanto «segna» esteriormente, oggettivizza, storicizza i suoi fantasmi. Ma ogni individuo-artista è tale in modo più o meno largo e comprensivo, più o meno «storico» o «sociale». Ci sono i «neolalici» o i «gerghisti», cioè quelli che essi soli possono rivivere il ricordo dell’istante creativo (ed è di solito un’illusione, il ricordo di un sogno o di una velleità), altri che appartengono a conventicole più o meno larghe (che hanno un gergo corporativo) e finalmente quelli che sono universali, cioè «nazionali-popolari». L’estetica del Croce ha determinato molte degenerazioni artistiche, e non è poi vero che ciò sia avvenuto sempre contro le intenzioni e lo spirito dell’estetica crociana stessa; per molte degenerazioni, sì, ma
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