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§ Passato e presente. Elementi della crisi economica. Nella pubblicità della «Riforma sociale» le cause «più caratteristiche e gravi» della crisi sono elencate come segue: 1) alte imposte; 2) consorzi industriali; 3) sindacati operai; 4) salvataggi; 5) vincoli; 6) battaglie per il prodotto nazionale; 7) contingentamento; 8) debiti interalleati; 9) armamenti; 10) protezionismo.

Appare che alcuni elementi sono simili, sebbene siano elencati partitamente, come cause specifiche. Altri non sono elencati, esempio le proibizioni all’emigrazione. Mi pare che facendo un’analisi si dovrebbe incominciare dall’elencare gli impedimenti posti dalle politiche nazionali (o nazionalistiche) alla circolazione: 1) delle merci; 2) dei capitali; 3) degli uomini (lavoratori e fondatori di nuove industrie e nuove aziende commerciali). Che non si parli da parte dei liberali degli ostacoli posti alla circolazione degli uomini è sintomatico, poiché nel regime liberale tutto si tiene e un ostacolo ne crea una serie di altri. Se si ritiene che gli ostacoli alla circolazione degli uomini sono «normali», ossia giustificabili, ossia dovuti a «forza maggiore», significa che tutta la crisi è «dovuta a forza maggiore», è «strutturale» e non di congiuntura e non può essere superata che costruendo una nuova struttura, che tenga conto delle tendenze insite nella vecchia struttura e le domini con nuove premesse. La premessa maggiore in questo caso è il nazionalismo, che non consiste solo nel tentativo di produrre nel proprio territorio tutto ciò che vi si consuma (il che significa che tutte le forze sono indirizzate nella previsione dello stato di guerra), ciò che si esprime nel protezionismo tradizionale, ma nel tentativo di fissare le principali correnti di commercio con determinati paesi, o perché alleati (perché quindi li si vuol sostenere e li si vuol foggiare in un modo più acconcio allo stato di guerra) o perché li si vuole stroncare già prima della guerra militare (e questo nuovo tipo di politica economica è quello dei «contingentamenti» che parte dall’assurdo che tra due paesi vi debba essere «bilancia pari» negli scambi, e non che ogni paese può bilanciare alla pari solo commerciando con tutti gli altri paesi indistintamente). Tra gli elementi di crisi fissati dalla «Riforma Sociale» non tutti sono accettabili senza critica; per esempio... «le alte imposte». Esse sono dannose quando sono rivolte a mantenere una popolazione sproporzionata alle necessità amministrative, non quando servono ad anticipare capitali che solo lo Stato può anticipare, anche se questi capitali non sono immediatamente produttivi (e non accenna alla difesa militare). La così detta politica dei «lavori pubblici» non è criticabile in sé, ma solo in condizioni date: cioè sono criticabili i lavori pubblici inutili o anche lussuosi, non quelli che creano le condizioni per un futuro incremento dei traffici o evitano danni certi (alluvioni per esempio) ed evitabili, senza che individualmente nessuno possa esser spinto (abbia il guadagno) a sostituire lo Stato in questa attività. Così dicasi dei «consorzi industriali»: sono criticabili i consorzi «artificiosi» non quelli che nascono per la forza delle cose; se ogni «consorzio» è dannabile, allora il sistema è dannabile, perché il sistema, anche senza spinte artificiali, cioè senza lucri prodotti dalla legge, spinge a creare consorzi, cioè a diminuire le spese generali.

Così è dei «sindacati operai» che non nascono artificialmente, anzi nascono o sono nati nonostante tutte le avversità e gli ostacoli di legge (e non solo di legge, ma dell’attività criminosa privata impunita dalla legge). Gli elementi elencati dalla «Riforma Sociale» mostrano così la debolezza degli economisti liberali di fronte alla crisi: 1) essi tacciono alcuni elementi; 2) mescolano arbitrariamente gli elementi considerati, non distinguendo quelli che sono «necessari» dagli altri, ecc.