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Trascrizione

§ Passato e presente. Nella «Civiltà Cattolica» del 20 maggio 1933 è dato un breve riassunto delle Conclusioni all’inchiesta sulla nuova generazione. (Estratto del fascicolo 28 del «Saggiatore», Roma, Arti grafiche Zamperini, 1933, in 8°, pp. 32). Si sa come tali inchieste siano necessariamente unilaterali, monche, tendenziose, e come di solito diano ragione al modo di pensare di chi le ha promosse. Tanto più occorre esser cauti, quanto più pare che attualmente sia difficile conoscere ciò che le nuove generazioni pensano e vogliono. Secondo la «Civiltà Cattolica» il succo dell’inchiesta sarebbe: «La nuova generazione sarebbe dunque: senza morale e senza principi immutabili di moralità, senza religiosità ovvero atea, con poche idee e con molto istinto». «La generazione prebellica credeva e si faceva dominare dalle idee di giustizia, di bene, di disinteresse e della religione; la moderna spiritualità si è sbarazzata di tali idee, le quali in pratica sono immorali. I piccoli fatti della vita richiedono elasticità e pieghevolezza morale, che si comincia ad ottenere con la spregiudicatezza della nuova generazione. Nella nuova generazione perdono valore tutti quei principi morali che si sono imposti quali assiomi alle coscienze individuali. La morale è divenuta assolutamente pragmatistica: essa scaturisce dalla vita pratica, dalle diverse situazioni in cui l’uomo viene a trovarsi. La nuova generazione non è né spiritualistica, né positivistica, né materialistica, essa tende a superare razionalmente tanto gli atteggiamenti spiritualistici, quanto le viete posizioni positivistiche e materialistiche. Sua principale caratteristica è la mancanza di qualsiasi forma di reverenzialità per tutto ciò che incarna il vecchio mondo. Nella massa dei giovani si è affievolito il senso religioso e tutti i diversi astratti imperativi morali, ormai divenuti inadatti alla vita di oggigiorno. I giovanissimi hanno meno idee e più vita, hanno invece acquistata naturalezza e confidenza nell’atto sessuale, sì che l’amore non è più considerato nel senso di un peccato, di una trasgressione, di una cosa proibita. I giovani, diretti attivamente nelle direzioni che la vita moderna indica, risultano immuni da ogni possibile ritorno ad una religiosità dommatica dissolvente».

Pare che questa serie di affermazioni non sia altro che il programma stesso del «Saggiatore», e questo pare piuttosto una curiosità che una cosa seria. È in fondo, un ripensamento popolaresco del «superuomo» nato dalle più recenti esperienze della vita nazionale, un «superuomo» strapaesano, da circolo dei signori e da farmacia filosofica. Se si riflette, significa che la nuova generazione è diventata, sotto l’aspetto di un volontarismo estremo, della massima abulicità. Non è vero che non abbia ideali: questi solo sono tutti contenuti nel codice penale che si suppone fatto una volta per sempre nel suo complesso. Significa anche che manca nel paese ogni direzione culturale all’infuori di quella cattolica, ciò che farebbe supporre che per lo meno l’ipocrisia religiosa debba finire per incrementarsi. Sarebbe tuttavia interessante sapere di quale nuova generazione il «Saggiatore» intenda parlare.

Pare che l’«originalità» del «Saggiatore» consista nell’aver trasportato alla «vita» il concetto di «esperienza» proprio non già della scienza ma dell’operatore da gabinetto scientifico. Le conseguenze di questa meccanica trasposizione sono poco brillanti: esse corrispondono a ciò che era abbastanza noto col nome di «opportunismo» o di mancanza di principii (ricordare certe interpretazioni giornalistiche del relativismo di Einstein quando, nel 1921, questa teoria diventò preda dei giornalisti). Il sofisma consiste in ciò: che quando l’operatore da gabinetto «prova e riprova», il suo riprovare ha conseguenze limitate allo spazio dei provini e alambicchi: egli «riprova» fuori di sé, senza dare di se stesso all’esperimento altro che l’attenzione fisica e intellettuale. Ma nei rapporti tra gli uomini le cose si comportano ben diversamente e le conseguenze sono di ben diversa portata. L’uomo trasforma il reale e non si limita a esaminarlo sperimentalmente in vitro per riconoscerne le leggi di regolarità astratta. Non si dichiara una guerra per «esperimento», né si sovverte l’economia di un paese ecc., per trovare le leggi del migliore assetto sociale possibile. Che nel costruire i propri piani di trasformazione della vita occorra basarsi sull’esperienza, cioè sull’esatto rilievo dei rapporti sociali esistenti e non su vuote ideologie o generalità razionali, non importa che non si debbano avere principii, che non sono altro che esperienza messa in forma di concetti o di norme imperative. La filosofia del «Saggiatore», oltre che una reazione plausibile all’ubriacatura attualistica e religiosa, è però essenzialmente connessa a tendenze conservatrici e passive e in realtà contiene la più alta «reverenzialità» per l’esistente, cioè per il passato cristallizzato. In un articolo di Giorgio Granata (nel «Saggiatore», riferito nella «Critica Fascista» del 1° maggio 1933) ci sono molti spunti di tale filosofia: per il Granata la concezione del «partito politico», con il suo «programma» utopico, «come mondo del dover essere (!) di fronte al mondo dell’essere, della realtà» ha fatto il suo tempo e perciò la Francia sarebbe «inattuale»: come se proprio la Francia non avesse sempre nell’Ottocento dato l’esempio del più piatto opportunismo politico, cioè del servilismo a ciò che esiste alla realtà, cioè ai «programmi» in atto di forze ben determinate e identificabili. E l’essere servili ai fatti voluti e compiuti dagli altri è il vero punto di vista del «Saggiatore», cioè indifferenza e abulia sotto la veste di grande attività da formiche: la filosofia dell’uomo del Guicciardini che riappare sempre in certi periodi della vita italiana. Che per tutto ciò si dovesse rifarsi al Galilei e riprendere il titolo di «Saggiatore» è solo una bella impudenza, ed è da scommettere che i signori Granata e C. non abbiano da temere nuovi roghi e inquisizioni. (La concezione che del «partito politico» esprime il Granata coincide d’altronde con quella espressa dal Croce nel capitolo «Il partito come giudizio e come pregiudizio» del volume Cultura e vita morale e col programma dell’«Unità» fiorentina, problemistica ecc.).

E tuttavia questo gruppo del «Saggiatore» merita di essere studiato e analizzato: 1) perché esso cerca di esprimere, sia pur rozzamente, tendenze che sono diffuse e vagamente concepite dal gran numero; 2) perché esso è indipendente da ogni «grande filosofo» tradizionale e anzi si oppone a ogni tradizione cristallizzata; 3) perché molte affermazioni del gruppo sono indubbiamente ripetizioni a orecchio di posizioni filosofiche della filosofia della praxis entrate nella cultura generale ecc. (Ricordare il «provando e riprovando» dell’on. Giuseppe Canepa come Commissario per gli approvvigionamenti durante la guerra: questo Galileo della scienza amministrativa aveva bisogno di una esperienza con morti e feriti per sapere che dove manca il pane corre sangue).