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Trascrizione

§ Argomenti di cultura. Gioberti e il giacobinismo. Atteggiamento del Gioberti verso il giacobinismo prima e dopo il 48. Dopo il 48, nel Rinnovamento, non solo non c’è accenno al panico che il 93 aveva diffuso nella prima metà del secolo, ma anzi il Gioberti mostra chiaramente di avere simpatie per i giacobini (egli giustifica lo sterminio dei girondini e la lotta su due fronti dei giacobini: contro gli stranieri invasori e contro i reazionari interni, anche se, molto temperatamente, accenna ai metodi giacobini che potevano essere più dolci ecc.). Questo atteggiamento del Gioberti verso il giacobinismo francese dopo il 48 è da notare come fatto culturale molto importante: si giustifica con gli eccessi della reazione dopo il 48, che portavano a comprendere meglio e a giustificare la selvaggia energia del giacobinismo francese.

Ma oltre a questo tratto è da notare che nel Rinnovamento il Gioberti si manifesta un vero e proprio giacobino, almeno teoricamente, e nella situazione data italiana. Gli elementi di questo giacobinismo possono a grandi tratti così riassumersi: 1) Nell’affermazione dell’egemonia politica e militare del Piemonte che dovrebbe, come regione, essere quello che Parigi fu per la Francia: questo punto è molto interessante ed è da studiare nel Gioberti anche prima del 48. Il Gioberti sentì l’assenza in Italia di un centro popolare di movimento nazionale rivoluzionario come fu Parigi per la Francia e questa comprensione mostra il realismo politico del Gioberti. Prima del 48, Piemonte-Roma dovevano essere i centri propulsori, per la politica-milizia il primo, per l’ideologia-religione la seconda. Dopo il 48, Roma non ha la stessa importanza, anzi: il Gioberti dice che il movimento deve essere contro il Papato. 2) Il Gioberti, sia pure vagamente, ha il concetto del «popolare-nazionale» giacobino, dell’egemonia politica, cioè dell’alleanza tra borghesi-intellettuali (ingegno) e il popolo; ciò in economia (e le idee del Gioberti in economia sono vaghe ma interessanti) e nella letteratura (cultura), in cui le idee sono più distinte e concrete perché in questo campo c’è meno da compromettersi. Nel Rinnovamento (Parte II, capitolo «Degli scrittori») scrive: «... Una letteratura non può essere nazionale se non è popolare; perché, se bene sia di pochi il crearla, universale dee esserne l’uso e il godimento. Oltre che, dovendo ella esprimere le idee e gli affetti comuni e trarre in luce quei sensi che giacciono occulti e confusi nel cuore delle moltitudini, i suoi cultori debbono non solo mirare al bene del popolo ma ritrarre del suo spirito; tanto che questo viene ad essere non solo il fine ma in un certo modo eziandio il principio delle lettere civili. E vedesi col fatto che esse non salgono al colmo della perfezione e dell’efficacia se non quando s’incorporano e fanno, come dire, una cosa colla nazione, ecc.».

In ogni modo che l’assenza di un «giacobinismo italiano» fosse sentita, appare dal Gioberti. E il Gioberti è da studiare da questo punto di vista. Ancora: è da notare come il Gioberti, sia nel Primato che nel Rinnovamento si mostri uno stratega del movimento nazionale e non solamente un tattico. Il suo realismo lo porta ai compromessi, ma sempre nella cerchia del piano strategico generale. La debolezza del Gioberti, come uomo di Stato, è da cercare nel fatto che egli fu sempre esule, non conosceva quindi gli uomini che doveva maneggiare e dirigere e non aveva amici fedeli (cioè un partito): quanto più egli fu stratega, tanto più doveva appoggiarsi su forze reali e queste non conosceva e non poteva dominare e dirigere. (Per il concetto di letteratura nazionale-popolare bisogna studiare il Gioberti e il suo romanticismo temperato). Così occorre studiare il Gioberti per analizzare quello che in altre note è indicato come «nodo storico del 48-49» e il Risorgimento in generale, ma il punto culturale più importante mi pare sia questo di «Gioberti giacobino», giacobino teorico, s’intende, perché in pratica egli non ebbe modo di applicare le sue dottrine.