Tipo testo: B
Niente di simile in Italia, in cui nel passato occorre ricercare col lanternino il sentimento nazionale, facendo distinzioni, interpretando, tacendo ecc., in cui se si esalta Ferrucci occorre spiegare Maramaldo, se si esalta Firenze occorre giustificare Clemente VII e il papato, se si esalta Milano e la Lega occorre spiegare Como e le città favorevoli al Barbarossa, se si esalta Venezia occorre spiegare Giulio II ecc. Il preconcetto che l’Italia sia sempre stata una nazione complica tutta la storia e domanda acrobazie intellettuali antistoriche. Perciò nella storia del secolo XIX non ci poteva essere unità nazionale, mancando l’elemento permanente, il popolo-nazione. La tendenza dinastica da una parte doveva prevalere dato l’apporto che le dava l’apparato statale e le tendenze politiche più opposte non potevano avere un minimo comune di obbiettività: la storia era propaganda politica, tendeva a creare l’unità nazionale, cioè la nazione, dall’esterno
Mi pareva che attualmente ci fosse qualche condizione per superare questo stato di cose, ma essa non è stata sfruttata a dovere e la retorica ha ripreso il sopravvento (l’atteggiamento incerto nell’interpretare Caporetto offre un esempio di questo attuale stato di cose, così la polemica sul Risorgimento e ultimamente sul Concordato). Non bisogna negare che molti passi in avanti sono stati compiuti in tutti i sensi, però: sarebbe un cadere in una retorica opposta. Anzi, specialmente prima della guerra, molti movimenti intellettuali erano rivolti a svecchiare e sretorizzare la cultura e ad avvicinarla al popolo, cioè a nazionalizzarla. (Nazione-popolo e nazione-retorica si potrebbero dire le due tendenze).
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