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§ Gli intellettuali. Prima quistione: gli intellettuali sono un gruppo sociale autonomo, oppure ogni gruppo sociale ha una sua propria categoria di intellettuali? Il problema è complesso per le varie forme che ha assunto finora il processo storico di formazione delle diverse categorie intellettuali. Le più importanti di queste forme sono due:

1) Ogni gruppo sociale, nascendo sulla base originaria di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, crea insieme, organicamente, un ceto o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione nel campo economico: l’imprenditore capitalista crea con sé l’economista, lo scienziato dell’economia politica. Inoltre c’è il fatto che ogni imprenditore è anche un intellettuale, nel senso che deve avere una certa capacità tecnica, oltre che nel campo economico in senso stretto, anche in altri campi, almeno in quelli più vicini alla produzione economica (deve essere un organizzatore di masse di uomini, deve essere un organizzatore della «fiducia» dei risparmiatori nella sua azienda, dei compratori della sua merce, ecc.); se non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve avere una capacità tecnica (di ordine intellettuale) di organizzatore della società in generale, in tutto il suo complesso organismo di servizi fino allo Stato, per avere le condizioni più favorevoli all’espansione del proprio gruppo, o per lo meno la capacità di scegliere i «commessi» specializzati in questa attività organizzatrice dei rapporti generali esterni all’impresa.

Anche i signori feudali erano detentori di una particolare forma di capacità: quella militare, ed è appunto dal momento in cui l’aristocrazia perde il monopolio della capacità tecnica militare che si inizia la crisi del feudalismo.

2) Ma ogni gruppo sociale, emergendo alla storia dalla struttura economica, trova o ha trovato, nella storia almeno fino ad ora svoltasi, delle categorie intellettuali preesistenti, e che apparivano anzi come rappresentanti una continuità storica ininterrotta anche dai più complicati mutamenti delle forme sociali e politiche. La più tipica di queste categorie intellettuali è quella degli ecclesiastici, monopolizzatori per lungo tempo di alcuni servizi essenziali (l’ideologia religiosa, la scuola e l’istruzione, e in generale la «teoria», con riferimento alla scienza, alla filosofia, alla morale, alla giustizia ecc., oltre alla beneficenza e all’assistenza ecc.), ma ce ne sono parecchie altre che in regime feudale furono in parte, almeno, equiparate giuridicamente all’aristocrazia (il clero, in realtà, esercitava la proprietà feudale della terra come i nobili ed economicamente era equiparato ai nobili, ma c’era per esempio, un’aristocrazia della toga, oltre a quella della spada, ecc.: nel paragrafo precedente, agli economisti, nati con gli imprenditori, occorre aggiungere i tecnici industriali e gli scienziati «applicati», categoria intellettuale strettamente organicamente connessa al gruppo sociale degli imprenditori, ecc.), gli scienziati «teorici», i filosofi non ecclesiastici, ecc. Siccome queste categorie sentono con «spirito di corpo» la continuità della loro qualifica intellettuale (Croce si sente come legato ad Aristotele più che ad Agnelli, ecc.) così appare una certa loro autonomia dal gruppo sociale dominante e il loro complesso può apparire come un gruppo sociale indipendente con propri caratteri, ecc.

Seconda quistione: quali sono i limiti massimi dell’accezione di «intellettuale»? È difficile trovare un criterio unico che caratterizzi ugualmente tutte le disparate attività intellettuali e nello stesso tempo le distingua in modo essenziale dalle attività degli altri raggruppamenti sociali. L’errore metodico più diffuso mi pare quello di aver cercato questa caratteristica essenziale nell’intrinseco dell’attività intellettuale e non invece nel sistema di rapporti in cui essa (o il raggruppamento che la impersona) si viene a trovare nel complesso generale dei rapporti sociali. Invero: 1) L’operaio non è specificamente caratterizzato dal lavoro manuale o strumentale (a parte la considerazione che non esiste lavoro puramente fisico e che anche l’espressione del Taylor di «gorilla ammaestrato» è una metafora per indicare un limite in una certa direzione: c’è, in qualsiasi lavoro fisico, anche il più meccanico e degradato, un minimo di qualifica tecnica, cioè un minimo di attività intellettuale creatrice), ma da questo lavoro in determinate condizioni e in determinati rapporti sociali. 2) È stato già notato che l’imprenditore, per la sua stessa funzione, deve avere in una certa misura un certo numero di qualifiche di carattere intellettuale, sebbene la sua figura sociale sia determinata non da esse ma dai rapporti generali sociali che si caratterizzano dalla posizione dell’imprenditore nell’industria.

Fatte queste distinzioni si può concludere per ora: il rapporto tra gli intellettuali e la produzione non è immediato, come avviene per i gruppi sociali fondamentali, ma è mediato ed è mediato da due tipi di organizzazione sociale: a) dalla società civile, cioè dall’insieme di organizzazioni private della società, b) dallo Stato. Gli intellettuali hanno una funzione nell’«egemonia» che il gruppo dominante esercita in tutta la società e nel «dominio» su di essa che si incarna nello Stato e questa funzione è precisamente «organizzativa» o connettiva: gli intellettuali hanno la funzione di organizzare l’egemonia sociale di un gruppo e il suo dominio statale, cioè il consenso dato dal prestigio della funzione nel mondo produttivo e l’apparato di coercizione per quei gruppi che non «consentono» né attivamente né passivamente o per quei momenti di crisi di comando e di direzione in cui il consenso spontaneo subisce una crisi. Da quest’analisi risulta un’estensione molto grande del concetto di intellettuali, ma solo così mi pare sia possibile giungere ad una approssimazione concreta della realtà.

La maggiore difficoltà ad accogliere questo modo di impostare la quistione mi pare venga da ciò: che la funzione organizzativa dell’egemonia sociale e del dominio statale ha vari gradi e che tra questi gradi ce ne sono di quelli puramente manuali e strumentali, di ordine e non di concetto, di agente e non di funzionario o di ufficiale, ecc., ma evidentemente nulla impedisce di fare questa distinzione (infermieri e medici in un ospedale, sacristi-bidelli e preti in una chiesa, bidelli e professori in una scuola, ecc. ecc.).

Dal punto di vista intrinseco, l’attività intellettuale può essere distinta in gradi, che nei momenti di estrema opposizione danno una vera e propria differenza qualitativa: nel più alto gradino troviamo i «creatori» delle varie scienze, della filosofia, della poesia ecc.; nel più basso i più umili «amministratori e divulgatori» della ricchezza intellettuale tradizionale, ma nell’insieme tutte le parti si sentono solidali. Avviene anzi che gli strati più bassi sentano di più questa solidarietà di corpo e ne traggano una certa «boria» che spesso li espone ai frizzi e ai motteggi.

È da notare che nel mondo moderno, la categoria degli intellettuali, così intesa, si è ampliata in misura inaudita. La formazione di massa ha standardizzato gli individui e come qualifica tecnica e come psicologia, determinando gli stessi fenomeni che in tutte le altre masse standardizzate: concorrenza individuale che pone la necessità dell’organizzazione professionale di difesa, disoccupazione, ecc.

Diversa posizione degli intellettuali di tipo urbano e di tipo rurale. Gli intellettuali di tipo urbano sono piuttosto legati all’industria; essi hanno la stessa funzione che gli ufficiali subalterni nell’esercito: mettono in rapporto l’imprenditore con la massa strumentale, rendono esecutivo il piano di produzione stabilito dallo stato maggiore dell’industria. Gli intellettuali urbani sono molto standardizzati nella loro media generale, mentre gli alti intellettuali si confondono sempre più col vero e proprio stato maggiore «organico» dell’alta classe industriale.

Gli intellettuali di tipo rurale mettono a contatto la massa contadina con l’amministrazione statale o locale (avvocati, notai, ecc.) e per questa stessa funzione hanno una maggiore importanza politica: questa mediazione professionale infatti è difficilmente scindibile dalla mediazione politica. Inoltre: nella campagna l’intellettuale (prete, avvocato, maestro, notaio, medico, ecc.) rappresenta per il medio contadino un modello sociale nell’aspirazione a uscire dalla propria situazione per migliorare. Il contadino pensa sempre che almeno un suo figlio potrebbe diventare intellettuale (specialmente prete), cioè diventare un signore, elevando il grado sociale della famiglia e facilitandone la vita economica con le aderenze che non potrà non avere tra gli altri signori. L’atteggiamento del contadino verso l’intellettuale è duplice: egli ammira la posizione sociale dell’intellettuale e in generale del dipendente statale, ma finge talvolta di disprezzarla, cioè la sua ammirazione istintiva è intrisa da elementi d’invidia e di rabbia appassionata. Non si comprende nulla dei contadini se non si considera questa loro subordinazione effettiva agli intellettuali e non si comprende che ogni sviluppo delle masse contadine fino a un certo punto è legato ai movimenti degli intellettuali e ne dipende.

Altro è il caso per gli intellettuali urbani; i tecnici di fabbrica non esercitano nessun influsso politico sulle masse strumentali, o almeno è questa una fase già oltrepassata; talvolta avviene proprio il contrario, che le masse strumentali, almeno attraverso i loro propri intellettuali organici, esercitano un influsso sui tecnici.

Il punto centrale della quistione rimane però la distinzione tra intellettuali come categoria organica di ogni gruppo sociale e intellettuali come categoria tradizionale, distinzione da cui scaturisce tutta una serie di problemi e di possibili ricerche storiche. Il problema più interessante è quello che riguarda l’analisi del partito politico da questo punto di vista. Cosa diventa il partito politico in ordine al problema degli intellettuali? Esso mi pare possa dirsi appunto il meccanismo che nella società civile fa compie la stessa funzione che compie lo Stato in misura maggiore nella società politica, cioè procura la saldatura tra intellettuali organici di un gruppo sociale e intellettuali tradizionali, funzione che può compiere in dipendenza della sua funzione fondamentale di elevare i membri «economici» di un gruppo sociale alla qualità di «intellettuali politici», cioè di organizzatori di tutte le funzioni inerenti all’organico sviluppo di una società integrale, civile e politica. Si può dire anzi che nel suo ambito il partito politico compie la sua funzione molto più organicamente di quanto lo Stato compia la sua nel suo ambito più vasto: un intellettuale che entra a far parte del partito politico di un determinato gruppo sociale, si confonde con gli intellettuali organici di tal gruppo, si lega strettamente a quel gruppo, ciò che non avviene attraverso la partecipazione alla vita statale che mediocremente e talvolta affatto. Avviene anzi che molti intellettuali pensino di esser loro lo Stato, credenza che data la massa imponente della categoria talvolta ha conseguenze notevoli e porta a delle complicazioni spiacevoli per il gruppo sociale economico che realmente è lo Stato. Che tutti i membri di un partito politico debbano essere considerati come intellettuali: ecco un’affermazione che può prestarsi allo scherzo; pure, se si riflette, niente di più esatto. Sarà da fare distinzione di gradi, un partito potrà avere maggiore o minore composizione del grado più alto o del grado più basso; non è ciò che importa: importa la funzione che è educativa e direttiva, cioè intellettuale. Un commerciante non entra a far parte di un partito politico per fare del commercio, né un industriale per produrre di più e meglio, né un contadino per apprendere nuovi metodi di coltivar la terra, anche se qualche aspetto di queste esigenze del commerciante, dell’industriale, del contadino possono trovare soddisfazione nel partito politico (l’opinione generale contraddice a ciò, affermando che il commerciante, l’industriale, il contadino «politicanti» perdono invece di guadagnare, ciò che può essere discusso). Per questi scopi, entro certi limiti, esiste il sindacato professionale, in cui la funzione economico-corporativa del commerciante, dell’industriale, del contadino trova il suo quadro più adatto. Nel partito politico gli elementi di un gruppo sociale economico superano questo momento del loro sviluppo storico e diventano agenti di attività generali, di carattere nazionale e internazionale (cfr. la nota «Rapporti tra struttura e superstruttura» a p. 67). Questa funzione del partito politico dovrebbe apparire molto più chiara da un’analisi storica concreta del come si sono sviluppate le categorie organiche degli intellettuali e gli intellettuali tradizionali sia nel terreno dei vari sviluppi nazionali, sia in quello dello sviluppo dei vari gruppi sociali più importanti nel quadro delle varie nazioni, specialmente di quei gruppi sociali la cui attività economica è stata prevalentemente strumentale. La formazione degli intellettuali tradizionali è il problema storico più interessante. Esso è certamente legato alla schiavitù del mondo classico e alla situazione dei liberti di origine greca e orientale nell’organizzazione sociale dell’Impero romano. Questo distacco non solo sociale ma nazionale, di razza, tra masse notevoli di intellettuali e la classe dominante nell’Impero Romano si riproduce dopo la caduta di Roma tra guerrieri germanici e intellettuali di origine latina continuatori dei liberti-intellettuali. Si intreccia con questo fenomeno il nascere e lo svilupparsi del cattolicismo e dell’organizzazione ecclesiastica che per molti secoli assorbe la maggior parte delle attività intellettuali ed esercita il monopolio della direzione intellettuale, con sanzioni penali per chi vuole opporsi o anche eludere questo monopolio.

A questo fenomeno si collega l’altro della funzione cosmopolita degli intellettuali italiani, su cui (ci sono) molte note scritte sparsamente nei diversi quaderni.

Nello sviluppo degli intellettuali europei si osservano molte differenze tra nazione e nazione; ne accennerò le più notevoli, che dovranno essere approfondite (d’altronde tutte le affermazioni contenute in questa nota devono essere considerate semplicemente come spunti e motivi per la memoria, che occorrono di essere controllati e approfonditi):

1) Per l’Italia il fatto centrale è appunto la funzione internazionale o cosmopolita dei suoi intellettuali che è causa ed effetto dello stato di disgregazione in cui rimane la penisola dalla caduta dell’Impero romano fino al 1870.

2) La Francia dà un tipo compiuto di sviluppo armonico di tutte le energie nazionali e specialmente delle categorie intellettuali: quando nel 1789 un nuovo raggruppamento sociale affiora politicamente alla storia, esso è completamente attrezzato per tutte le sue funzioni sociali e perciò lotta per il dominio totale della nazione, senza venire a compromessi essenziali con le vecchie classi, anzi subordinandosele. Le prime cellule intellettuali del nuovo tipo nascono con le prime cellule economiche; la stessa organizzazione ecclesiastica ne è influenzata (gallicanismo, lotte tra Chiesa e Stato molto precoci). Questa massiccia costituzione intellettuale spiega la funzione intellettuale della Francia nella seconda metà del secolo XVIII e in tutto il secolo XIX, funzione internazionale e cosmopolita di irradiazione e di espansione a carattere imperialistico organico, quindi ben diversa da quella italiana, a carattere immigratorio personale e disgregato che non refluisce sulla base nazionale per potenziarla ma invece per renderla impossibile.

3) In Russia diversi spunti: l’organizzazione politica commerciale è creata dai Normanni (Varieghi), quella religiosa dai greci bizantini; in un secondo tempo i tedeschi e i francesi danno uno scheletro resistente alla gelatina storica russa. Le forze nazionali sono passive, ma forse per questa stessa passività assimilano le influenze straniere e anche gli stessi stranieri, russificandoli. Nel periodo storico più moderno avviene il fenomeno inverso: una élite di gente tra la più attiva, intraprendente e disciplinata emigra all’estero, assimila la cultura dei paesi più progrediti dell’occidente, senza perciò perdere i caratteri più essenziali della propria nazionalità, senza cioè rompere i legami sentimentali e storici del proprio popolo e fatto così il suo garzonato intellettuale, rientra nel paese, costringendo il popolo a un forzato risveglio. La differenza tra questa élite e quella tedesca (di Pietro il grande per esempio) consiste nel suo carattere essenziale nazionale-popolare: essa non può essere assimilata dalla passività russa, perché essa stessa è una energica reazione russa alla propria passività storica. In un altro terreno e in ben diverse condizioni di tempo e di spazio, questo fenomeno russo può essere paragonato alla nascita della nazione americana (Stati Uniti): gli immigrati anglosassoni in America sono anch’essi un’élite intellettuale, ma specialmente morale. Si vuol parlare naturalmente dei primi immigrati, dei pionieri, protagonisti delle lotte religiose inglesi, sconfitti, ma non umiliati né depressi. Essi importano in America, con se stessi, oltre l’energia morale e volitiva, un certo grado di civiltà, una certa fase dell’evoluzione storica europea, che trapiantata nel suolo vergine americano e avendo tali agenti, continua a sviluppare le forze implicite nella sua natura, ma con un ritmo incomparabilmente più rapido che nella vecchia Europa, dove esistono tutta una serie di freni (morali e intellettuali, incorporati in determinati gruppi della popolazione) che si oppongono a un altrettanto rapido processo ed equilibrano nella mediocrità ogni iniziativa, diluendola nel tempo e nello spazio.

4) In Inghilterra lo sviluppo è molto diverso che in Francia. Il nuovo raggruppamento sociale, nato sulla base dell’industrialismo moderno, ha un sorprendente sviluppo economico-corporativo, ma procede a tastoni nel campo intellettuale-politico. Molto numerosi sono gli intellettuali organici, nati cioè nello stesso terreno industriale col raggruppamento economico, ma nella fase più elevata di sviluppo troviamo conservata la posizione di quasi monopolio della vecchia classe terriera, che perde la sua supremazia economica, ma conserva a lungo la sua supremazia politico-intellettuale e viene assimilata come strato dirigente del nuovo raggruppamento al potere. Cioè: la vecchia aristocrazia terriera si unisce agli industriali con un tipo di sutura simile a quello con cui alla classe dominante si uniscono gli «intellettuali tradizionali» in altri paesi.

5) Il fenomeno inglese si presenta anche in Germania aggravato per la complicazione di altri fenomeni. Anche la Germania, come l’Italia, è stata la sede di una istituzione e di una ideologia universalistica, supernazionale (Sacro Romano Impero della Nazione tedesca) ed ha dato una certa quantità di personale alla cosmopoli medioevale, depauperando le proprie energie nazionali, che hanno mantenuto a lungo la disgregazione territoriale del Medio Evo. Lo sviluppo industriale è avvenuto sotto un involucro semifeudale durato fino al novembre 1918 e i latifondisti Junker alleati alla piccola borghesia hanno mantenuto una supremazia politico-intellettuale ben maggiore di quella dello stesso gruppo inglese. Essi sono stati gli intellettuali tradizionali degli industriali tedeschi, ma con speciali privilegi e con una forte coscienza di raggruppamento indipendente data dal fatto che detenevano un notevole potere economico sulla terra «produttiva» più che in Inghilterra. Gli Junker prussiani rassomigliano a una casta sacerdotale, che svolge un’attività essenzialmente intellettuale, ma nello stesso tempo ha una base economica propria e non dipende dalla liberalità del gruppo dominante. Del resto è facile pensare che la diversa situazione della nobiltà inglese e di quella prussiana si sarebbero equiparate con l’andar del tempo, nonostante il fatto che in Germania la potenza militare territoriale e non solo marittima come in Inghilterra desse agli Junker una base organizzativa favorevole alla conservazione del loro monopolio politico.

Fuori d’Europa sarebbero da esaminare e studiare altre manifestazioni originali dello sviluppo delle categorie intellettuali. Negli Stati Uniti è da notare l’assenza degli intellettuali tradizionali e quindi il diverso equilibrio degli intellettuali in generale; formazione massiccia sulla base industriale di tutte le superstrutture moderne. La necessità di un equilibrio non è data dal fatto che occorra fondere gli intellettuali organici con quelli tradizionali che come categoria non esistono, ma dal fatto che occorre fondere in un unico crogiolo nazionale tipi di culture diverse portati dagli immigrati di varie origini nazionali. La mancanza degli intellettuali tradizionali spiega in parte da una parte il fatto dell’esistenza di due soli partiti, che si potrebbero poi ridurre facilmente a uno solo (cfr. con la Francia non solo del dopoguerra, quando la moltiplicazione dei partiti è diventata fenomeno generale) e invece all’opposto la moltiplicazione illimitata delle Chiese (mi pare che sono catalogate 213 sette protestanti; confronta con la Francia e con le lotte accanite sostenute per mantenere l’unità religiosa e morale del popolo francese). Sugli intellettuali americani si trovano varie note sparse nei vari quaderni.

Una manifestazione interessante è ancora da studiare in America ed è la formazione di un sorprendente numero di intellettuali negri che assorbono la cultura e la tecnica americana. Si può pensare all’influsso indiretto che questi intellettuali negri americani possono esercitare sulle masse arretrate dell’Africa e a quello diretto se si verificasse una di queste ipotesi: 1) che l’espansionismo americano si serva come di suoi agenti dei negri d’America per conquistare i mercati africani (qualcosa di questo genere è già avvenuto, ma ignoro in qual misura); 2) che le lotte di razza in America si inaspriscano in tal misura da determinare l’esodo e il ritorno in Africa degli elementi negri intellettuali più spiritualmente indipendenti e attivi e quindi meno facili ad assoggettarsi a una possibile legislazione ancora più umiliante del costume attualmente diffuso. Si pone la quistione: 1) della lingua, poiché i negri d’America sono inglesi di lingua e d’altronde in Africa c’è un pulviscolo di dialetti; 2) se il sentimento nazionale può sostituire quello di razza, innalzando il continente africano alla funzione di patria comune di tutti i negri (sarebbe il primo caso di un continente intero considerato unica nazione). I negri d’America mi pare debbano avere uno spirito di razza e nazionale più negativo che positivo, creato cioè dalla lotta che i bianchi fanno per isolarli e deprimerli; ma non fu questo il caso degli ebrei fino a tutto il 700? La Liberia già americanizzata e con lingua ufficiale inglese potrebbe diventare la Sion dei negri americani, con la tendenza a diventare tutta l’Africa, a essere il Piemonte dell’Africa.

Nell’America meridionale e centrale mi pare che la quistione degli intellettuali sia da esaminare tenendo conto di queste condizioni fondamentali: anche nell’America meridionale e centrale non esiste la categoria degli intellettuali tradizionali, ma la cosa non si presenta negli stessi termini che negli Stati Uniti. Infatti troviamo alla base dello sviluppo di questi paesi la civiltà spagnola e portoghese del 500 e del 600 caratterizzata dalla Controriforma e dal militarismo. Le cristallizzazioni più resistenti ancora oggi in questa parte dell’America sono il clero e l’esercito anche oggi, due categorie intellettuali che in parte continuano la tradizione delle madri patrie europee. Inoltre la base industriale è molto ristretta e non ha sviluppato superstrutture complicate: la maggior quantità di intellettuali è di tipo rurale e poiché domina il latifondo, con estese proprietà ecclesiastiche, questi intellettuali sono legati al clero e ai grandi proprietari. Il problema si complica per le masse notevoli di pellirosse che in alcuni paesi sono la maggioranza della popolazione. Si può dire in generale che nell’America meridionale e centrale esiste ancora una situazione da Kulturkampf e da processo Dreyfus, cioè una situazione in cui l’elemento laico e civile non ha superato la fase della subordinazione alla politica laica del clero e della casta militare. Così avviene che in contrapposto all’influenza dei gesuiti abbia molta importanza la Massoneria e i tipi di organizzazione culturale come la «Chiesa positivista». Gli avvenimenti di questi ultimi tempi (scrivo nel novembre 1930), dal Kulturkampf messicano di Calles ai movimenti militari-popolari in Argentina, nel Brasile, nel Perù, in Bolivia dimostrano appunto la verità di queste affermazioni. Sugli intellettuali dell’America meridionale ci sono note sparse nei vari quaderni.

Un altro tipo di manifestazione dello sviluppo degli intellettuali si può trovare in India, in Cina e nel Giappone. Non che sia da confondere l’India e la Cina col Giappone. Il Giappone si avvicina al tipo di sviluppo inglese e tedesco, cioè di una civiltà industriale che si sviluppa entro l’involucro semifeudale, ma, a quanto mi pare, più al tipo inglese che a quello tedesco. In Cina c’è il problema della scrittura, espressione della completa separazione degli intellettuali dal popolo. In India e in Cina si presenta il fenomeno della enorme distanza tra la religione del popolo e quella del clero e degli intellettuali, anch’essa legata al distacco tra intellettuali e popolo. Questo fatto delle diverse credenze e del modo diverso di concepire e praticare la stessa religione tra i diversi strati della società ma specialmente tra clero e popolo dei fedeli dovrebbe essere studiato in generale, sebbene nei paesi dell’Asia abbia le manifestazioni più estreme. Credo che nei paesi protestanti la differenza sia relativamente piccola. È molto notevole nei paesi cattolici, ma presenta gradi diversi: meno grande nella Germania cattolica e in Francia, più grande in Italia, specialmente meridionale e insulare, grandissima nella penisola iberica e nei paesi dell’America latina. Il fenomeno aumenta di portata nei paesi ortodossi ove bisogna parlare di tre gradi della stessa religione: quella dell’alto clero e dei monaci, quella del clero secolare e quella del popolo; e diventa catastrofico nell’Asia orientale (non nel Giappone) in cui la religione del popolo non ha nulla a che vedere spesso con quella dei libri, sebbene alle due si dia lo stesso nome.

Altri numerosi aspetti ha il problema degli intellettuali, oltre quelli accennati nelle pagine precedenti. Occorrerà farne un prospetto organico, sistemato e ragionato. Attività di carattere prevalentemente intellettuale; istituzioni legate all’attività culturale; metodi e problemi di metodo del lavoro intellettuale, creativo e divulgativo; riviste e giornali come organizzazioni di divulgazione intellettuale; accademie e circoli vari come istituzioni di elaborazione collegiale della vita culturale. Su molti di questi motivi ho scritto sparsamente delle note nei vari quaderni sotto diverse rubriche, specialmente sotto quella di «Riviste tipo». Si può osservare in generale che nella civiltà moderna tutte le attività pratiche sono diventate così complesse e che le scienze si sono talmente intrecciate alla vita che ogni attività tende a creare una scuola per i propri specialisti e quindi a creare un gruppo di specialisti intellettuali che insegnino in queste scuole. Così accanto al tipo di scuola che si potrebbe chiamare «umanistica», perché rivolta a sviluppare in ogni individuo umano la cultura generale ancora indifferenziata, la potenza fondamentale di pensare e di sapersi dirigere nella vita, si sta creando tutto un sistema di scuole specializzate di vario grado, per intere branche professionali o per professioni già specializzate e indicate con precisa individuazione. Si può anzi dire che la crisi scolastica che oggi imperversa è appunto legata al fatto che questo processo di differenziazione avviene caoticamente, senza un piano bene studiato, senza principii chiari e precisi: la crisi del programma scolastico, cioè dell’indirizzo generale formativo, è in gran parte una complicazione della crisi più generale. La divisione fondamentale della scuola media in professionale e classica era uno schema razionale: la scuola professionale per le classi strumentali, la scuola classica per le classi dominanti e intellettuali. Ma lo sviluppo della base industriale sia urbana che agricola tendeva a dare incremento al nuovo tipo di intellettuale urbano e allora ci fu una scissione della scuola in classica e tecnica (professionale ma non manuale), ciò che mise in discussione il principio stesso dell’indirizzo di cultura generale, dell’indirizzo umanistico, della cultura generale basata sulla tradizione classica. Questo indirizzo una volta messo in discussione può dirsi spacciato, poiché la sua capacità formativa era in gran parte basata sul prestigio generale di una forma di civiltà. Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola «disinteressata» (cioè non immediatamente interessata) e «formativa» o di lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite di ricchi e di signorine che non devono pensare a prepararsi un avvenire e di diffondere sempre più le scuole specializzate professionali in cui il destino dell’allievo e la sua futura attività sono predeterminati.

La crisi avrà certamente una soluzione che razionalmente dovrebbe avere questa linea: scuola unica iniziale di cultura generale, umanistica, con giusto contemperamento dello sviluppo della potenza di operare manualmente (tecnicamente, industrialmente) e della potenza di pensare, di operare intellettualmente. Da questo tipo di scuola unica, attraverso l’orientamento professionale, si passerà a una delle scuole specializzate professionali (in senso largo) ecc.

In ogni modo occorre tener presente il principio che ogni attività pratica tende a crearsi una scuola particolare, così come ogni attività intellettuale tende a crearsi un «circolo di cultura» proprio; avverrà che anche ogni organismo direttivo dovrà scindere la sua operosità in due direzioni fondamentali: quella deliberativa che è la sua essenziale, e quella culturale-informativa in cui le quistioni su cui occorre discutere saranno prima discusse «accademicamente» per così dire. Il fatto avviene anche oggi, ma in maniera burocratica: ogni corpo deliberante ha i suoi uffici specializzati di periti che preparano il materiale delle discussioni e delle deliberazioni. È questo uno dei meccanismi attraverso cui la burocrazia finisce col dominare nei regimi democratici parlamentari. Mi pare appunto che si porrà la quistione di incorporare nei corpi deliberanti e direttivi stessi la capacità tecnica presupposta per la competenza.

A questo proposito vedere quanto ho scritto in una nota della rubrica «Riviste tipo»: in attesa che si formi un gruppo di intellettuali abbastanza preparati per essere in grado di produrre una regolare attività libraria (s’intende di libri organici e non di pubblicazioni d’occasione o di raccolte di articoli) e come mezzo per accelerare questa formazione, intorno alle riviste tipo dovrebbe costituirsi un circolo di cultura, che collegialmente criticasse ed elaborasse i lavori dei singoli, distribuiti secondo un piano e riguardanti quistioni di principio (programmatiche). I lavori, nella elaborazione definitiva, cioè dopo aver subito la critica e la revisione collegiale, dopo aver raggiunto una estrinsecazione su cui l’opinione collegiale sia fondamentalmente concorde, dovrebbero essere raccolti nell’Annuario a cui accennai nella nota. Attraverso la discussione e la critica collegiale (fatta di suggerimenti, di consigli, di indicazioni metodiche, critica costruttiva e rivolta alla educazione reciproca) si innalzerebbe il livello medio dei membri del circolo, fino a raggiungere l’altezza e la capacità del più preparato. Dopo i primi lavori sarebbe possibile all’ufficio di presidenza o di segreteria avere dei criteri e delle indicazioni sui lavori ulteriori da assegnare e sulla loro distribuzione organica, in modo da indurre i singoli a specializzarsi e a crearsi le condizioni di specializzazione: schedari, spogli bibliografici, raccolte delle opere fondamentali specializzate, ecc. Il metodo di lavoro dovrebbe essere molto severo e rigoroso: nessuna improvvisazione e declamazione. I lavori, scritti e distribuiti preventivamente a tutti i soci del circolo, dovrebbero essere criticati per iscritto, in note stringate, che elencassero le manchevolezze, i suggerimenti, i punti necessari di chiarimento, ecc. Si potrebbe introdurre un principio fecondo di lavoro: ogni membro del circolo incaricato di un certo lavoro potrebbe scegliere tra gli altri un consigliere guida che lo indirizzi e lo aiuti con arte «maieutica», cioè che non si sostituisca a lui ma solo lo aiuti a lavorare e a sviluppare in sé una disciplina di lavoro, un metodo di produzione, che lo «taylorizzi» intellettualmente, per così dire.