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Trascrizione

§ Passato e presente. Nella «Critica» del 20 novembre 1930, in una recensione dei Feinde Bismarcks di Otto Westphal, B. Croce scrive che «il motivo del favore che incontrano i volumi» del Ludwig «e i molti altri simili ai suoi nasce da… un certo indebolimento e infrivolimento mentale, che la guerra ha prodotto nel mondo». Cosa può significare questa affermazione? Ad analizzarla, essa non significa nulla, proprio nulla. Mi pare che il fenomeno possa essere spiegato in modo più realistico: nel dopo guerra è affiorato al mondo della cultura e dell’interesse per la storia uno strato sociale abbastanza importante, del quale gli scrittori tipo Ludwig sono l’espressione letteraria. Il fenomeno Ludwig significa progresso o regresso intellettuale? Mi pare che indichi progresso, purché il giudizio sia inteso esattamente: i lettori attuali della «bellettristica storica» (secondo l’espressione del Croce) corrispondono a quegli elementi sociali che nel passato leggevano i romanzi storici, apprendevano la storia nei romanzi del Dumas, dell’Hugo, ecc. Perciò mi pare che ci sia stato «progresso». Perché si possa parlare di indebolimento mentale e di infrivolimento bisognerebbe che fosse sparita la storia degli storici, ma ciò non è: forse avviene il contrario, che cioè anche la storia seria sia oggi più letta, come dimostra, in Italia almeno, il moltiplicarsi delle collezioni storiche (cfr. la collezione Vallecchi e della «Nuova Italia», per esempio). Anche i libri storici del Croce sono oggi più letti di quello che sarebbero stati prima della guerra: c’è oggi più interesse intellettuale per la politica e quindi per la storia negli strati piccolo borghesi, che immediatamente soddisfano le loro esigenze con la «bellettristica storica». Un fatto però è certo: che cioè nell’organizzazione della cultura, la statura relativa degli «storici serii» è diminuita per l’entrata in campo dei Ludwig e C.: il Croce esprime il rammarico per questo fatto, che rappresenta una «crisi d’autorità» nella sfera della scienza e dell’alta cultura. La funzione dei grandi intellettuali, se permane intatta, trova però un ambiente molto più difficile per affermarsi e svilupparsi: il grande intellettuale deve anch’egli tuffarsi nella vita pratica, diventare un organizzatore degli aspetti pratici della cultura, se vuole continuare a dirigere; deve democratizzarsi, essere più attuale: l’uomo del Rinascimento non è più possibile nel mondo moderno, quando alla storia partecipano attivamente e direttamente masse umane sempre più ingenti.

In realtà il fenomeno Ludwig e la «bellettristica storica» non sono novità del dopo guerra: questi fenomeni sono contenuti in nuce nel giornalismo, nel grande giornale popolare: precursori di Ludwig e C. sono gli articolisti di terza pagina, gli scrittori di bozzetti storici, ecc. Il fenomeno è dunque essenzialmente politico, pratico; appartiene a quella serie di movimenti pratici che il Croce abbraccia sotto la rubrica generale di «antistoricismo», che, analizzata da questo punto di vista, si potrebbe definire: – critica dei movimenti pratici che tendono a diventare storia, che non hanno ancora avuto il crisma del successo, che sono ancora episodi staccati e quindi «astratti», irrazionali, del movimento storico, dello sviluppo generale della storia mondiale. Si dimentica spesso (e quando il critico della storia in fieri dimentica questo, significa che egli non è storico, ma uomo politico in atto) che in ogni attimo della storia in fieri c’è lotta tra razionale e irrazionale, inteso per irrazionale ciò che non trionferà in ultima analisi, non diventerà mai storia effettuale, ma che in realtà è razionale anch’esso perché è necessariamente legato al razionale, ne è un momento imprescindibile; che nella storia, se trionfa sempre il generale, anche il «particulare» lotta per imporsi e in ultima analisi si impone anch’esso in quanto determina un certo sviluppo del generale e non un altro. Ma nella storia moderna, «particulare» non ha più lo stesso significato che aveva nel Machiavelli e nel Guicciardini, non indica più il mero interesse individuale, perché nella storia moderna l’«individuo» storico-politico non è l’individuo «biologico» ma il gruppo sociale. Solo la lotta, col suo esito, e neanche col suo esito immediato, ma con quello che si manifesta in una permanente vittoria, dirà ciò che è razionale o irrazionale, ciò che è «degno» di vincere perché continua, a suo modo, e supera il passato.

L’atteggiamento pratico del Croce è un elemento per l’analisi e la critica del suo atteggiamento filosofico: ne è anzi l’elemento fondamentale: nel Croce filosofia e «ideologia» finalmente si identificano, anche la filosofia si mostra niente altro che uno «strumento pratico» di organizzazione e di azione: di organizzazione di un partito, anzi di una internazionale di partiti, e di una linea di azione pratica. Il discorso di Croce al Congresso di filosofia di Oxford è in realtà un manifesto politico, di una unione internazionale dei grandi intellettuali di ogni nazione, specialmente dell’Europa; e non si può negare che questo possa diventare un partito importante che può avere una funzione non piccola. Si potrebbe già dire, così all’ingrosso, che già oggi si verifica nel mondo moderno un fenomeno simile a quello del distacco tra «spirituale» e «temporale» nel Medio Evo: fenomeno molto più complesso di quello d’allora, di quanto è diventata più complessa la vita moderna. I raggruppamenti sociali regressivi e conservativi si riducono sempre più alla loro fase iniziale economica-corporativa, mentre i raggruppamenti progressivi e innovatori si trovano ancora nella fase iniziale appunto economica-corporativa; gli intellettuali tradizionali, staccandosi dal raggruppamento sociale al quale avevano dato finora la forma più alta e comprensiva e quindi la coscienza più vasta e perfetta dello Stato moderno, in realtà compiono un atto di incalcolabile portata storica: segnano e sanzionano la crisi statale nella sua forma decisiva. Ma questi intellettuali non hanno né l’organizzazione chiesastica, né qualcosa che le rassomigli e in ciò la crisi moderna è aggravata in confronto alla crisi medioevale che si svolse per parecchi secoli, fino alla Rivoluzione francese, quando il raggruppamento sociale che dopo il Mille fu la forza motrice economica dell’Europa, poté presentarsi come «Stato» integrale, con tutte le forze intellettuali e morali necessarie e sufficienti per organizzare una società completa e perfetta. Oggi lo «spirituale» che si stacca dal «temporale» e se ne distingue come a se stante, è un qualcosa di disorganico, di discentrato, un pulviscolo instabile di grandi personalità culturali «senza Papa» e senza territorio. Questo processo di disintegrazione dello Stato moderno è pertanto molto più catastrofico del processo storico medioevale che era disintegrativo e integrativo nello stesso tempo, dato lo speciale raggruppamento che era il motore del processo storico stesso e dato il tipo di Stato esistito dopo il Mille in Europa, che non conosceva la centralizzazione moderna e si potrebbe chiamare più «federativo di classi dominanti» che Stato di una sola classe dominante.

È da vedere in quanto l’«attualismo» di Gentile corrisponde alla fase statale positiva, a cui invece fa opposizione il Croce. L’«unità nell’atto» dà la possibilità al Gentile di riconoscere come «storia» ciò che per il Croce è antistoria. Per il Gentile la storia è tutta storia dello Stato; per il Croce è invece «etico-politica», cioè il Croce vuole mantenere una distinzione tra società civile e società politica, tra egemonia e dittatura; i grandi intellettuali esercitano l’egemonia, che presuppone una certa collaborazione, cioè un consenso attivo e volontario (libero), cioè un regime liberale-democratico. Il Gentile pone la fase corporativo - economica come fase etica nell’atto storico: egemonia e dittatura sono indistinguibili, la forza è consenso senz’altro: non si può distinguere la società politica dalla società civile: esiste solo lo Stato e naturalmente lo Stato-governo, ecc.

La stessa posizione contrastante che, nella sfera filosofica, si verifica tra Croce e Gentile, si verifica nel campo dell’economia politica tra Einaudi e i discepoli di Gentile (cfr. la polemica Einaudi-Benini-Spirito in «Nuovi Studi» del 1930); il concetto di cittadino-funzionario dello Stato proprio dello Spirito discende direttamente dalla mancata divisione tra società politica e società civile, tra egemonia politica e governo politico-statale, in realtà quindi dalla antistoricità o astoricità della concezione dello Stato che è implicita nella concezione dello Spirito, nonostante le sue affermazioni perentorie e i suoi sbraitamenti polemici. Lo Spirito non vuole riconoscere che per il fatto che ogni forma di proprietà è legata allo Stato, anche per gli economisti classici lo Stato interviene in ogni momento nella vita economica, che è un tessuto continuo di passaggi di proprietà. La concezione dello Spirito, concretamente, rappresenta un ritorno alla pura economicità, che egli rimprovera ai suoi contraddittori.

È interessante notare che in questa concezione è contenuto l’«americanismo», poiché l’America non ha ancora superato la fase economica-corporativa, attraversata dagli Europei nel Medio Evo, cioè non ha ancora creato una concezione del mondo e un gruppo di grandi intellettuali che dirigano il popolo nell’ambito della società civile: in questo senso è vero che l’America è sotto l’influsso Europeo, della storia europea. (Questa quistione della forma-fase statale degli Stati Uniti è molto complessa, ma il nocciolo della quistione mi pare proprio questo).