Metadati

Trascrizione

§ Benedetto Croce e il materialismo storico cfr. a p. 55 bis. A proposito del discorso del Croce nella sezione di Estetica del Congresso filosofico di Oxford (cfr. «La Nuova Italia» del 20 ottobre 1930). La traduzione dei termini di un sistema filosofico nei termini di un altro, così come del linguaggio di un economista nel linguaggio di un altro economista ha dei limiti e questi limiti sono dati dalla natura fondamentale dei sistemi filosofici o dei sistemi economici; cioè nella filosofia tradizionale ciò è possibile, mentre non è possibile tra la filosofia tradizionale e il materialismo storico. Lo stesso principio della traducibilità reciproca è un elemento «critico» inerente al materialismo storico, in quanto si presuppone e si postula che una data fase della civiltà ha una «fondamentalmente identica» espressione culturale e filosofica, anche se l’espressione ha un linguaggio diverso dalla tradizione particolare di ciascuna «nazione» o di ogni sistema filosofico. Il Croce avrebbe quindi commesso un arbitrio, curioso: avrebbe ricorso a una «gherminella» polemica, si sarebbe servito di un elemento critico del materialismo storico per assalire in blocco tutto il materialismo storico presentandolo come una concezione del mondo in arretrato persino su Kant. (In ciò il Croce innova «integralmente» tutta la sua critica del materialismo storico: questo punto di vista può essere avvicinato agli elogi che egli ha fatto del libro del De Man). Ma ha il Croce completamente torto? Ho detto che egli ha ricorso a una «gherminella» polemica, cioè non ha compiuto un atto da filosofo, da storico, ma un’«azione politica», «pratica». È certo che nel materialismo storico si è formata una corrente deteriore che può essere indicata come corrispondente al cattolicismo popolare in confronto a quello teologico o degli intellettuali; così come il cattolicismo popolare può essere tradotto nei termini del «paganesimo» o di altre religioni corrispondenti, così il materialismo storico deteriore può essere tradotto nei termini «teologici», cioè della filosofia prekantiana e precartesiana. La gherminella del Croce corrisponde a quella degli anticlericali massonici e razionalisti volgari che appunto combattevano il cattolicismo con questi confronti e con queste «traduzioni» nel linguaggio «feticista». (Il Croce sarebbe caduto a stessa posizione che il Sorel rimproverava a Clemenceau, di giudicare una filosofia dalla sua letteratura di volgarizzazione intellettuale). È la posizione dell’uomo del Rinascimento verso l’uomo della Riforma protestante: non capire che la rozzezza intellettuale dell’uomo della Riforma tuttavia prelude alla filosofia classica tedesca e al vasto movimento culturale tedesco moderno). Erasmo e Lutero: «dove entra Lutero, cessa la cultura» disse Erasmo (o qualcosa di simile). Croce rimprovera al materialismo storico il suo «scientismo», la sua «superstizione» materialistica, il suo ritorno al «medio evo» intellettuale. Sono i rimproveri che Erasmo, nel linguaggio del tempo, muoveva a Lutero. L’uomo del Rinascimento e l’uomo della Riforma si sono fusi nell’intellettuale moderno del tipo Croce, ma se questo tipo contiene in sé l’uomo della Riforma, esso non intende più il processo storico per cui dal «medioevale» Lutero si è potuti giungere a Hegel e perciò di fronte alla nuova Riforma intellettuale e morale rappresentata dal materialismo storico, si ritrova nella stessa posizione di Erasmo di fronte a Lutero. Questa posizione di Croce si può studiare nel suo atteggiamento pratico verso la religione. Croce è antireligioso e per gli intellettuali italiani la sua filosofia, specialmente nelle sue manifestazioni meno sistematiche (come le recensioni, le postille, ecc. raccolte nei volumi come Cultura e vita morale, Conversazioni critiche, Frammenti di etica ecc.), è stata una vera riforma intellettuale e morale, del tipo «Rinascimento»; ma Croce non è andato «al popolo», non è diventato un elemento «nazionale» (come non lo sono stati gli uomini del Rinascimento a differenza dei Luterani e Calvinisti) perché non è riuscito a creare una schiera di discepoli che abbiano potuto rendere questa filosofia «popolare» capace di diventare un elemento educativo fin dalle scuole elementari (e quindi educativo per il semplice operaio e per il semplice contadino, cioè per il semplice uomo del popolo): ciò era impossibile, come hanno dimostrato gli avvenimenti. Croce in qualche punto ha scritto qualcosa di questo genere: «Non si può togliere la religione all’uomo del popolo, senza subito sostituirla con qualcosa che soddisfi le stesse esigenze per cui la religione si è formata e ancora permane». C’è qualcosa di vero in questa affermazione, ma non è essa anche una confessione dell’impotenza della filosofia idealista a diventare una integrale concezione del mondo? Così è avvenuto che Gentile, praticamente più conseguente del Croce, ha rimesso la religione nelle scuole e ha giustificato questo atto con la concezione hegeliana della religione come fase primitiva della filosofia (Croce del resto avrebbe fatto altrettanto se il suo progetto scolastico avesse superato gli scogli della politica parlamentare): ma non è questa una pura gherminella? Perché si dovrebbe dare al popolo un cibo diverso da quello degli intellettuali? Si ricordi il «frammento» di Etica del Croce sulla religione: esso è bellissimo; perché non è stato svolto? In realtà era impossibile. La concezione dell’«obbiettività del reale» quale è stata radicata nel popolo dalle religioni non può essere sradicata che da un principio che si presenti come «dogmatico», ma abbia in sé la possibilità di storicizzarsi: questo principio non può essere dato che dalla scienza. Essa magari diventerà una superstizione simile o anche peggiore della superstizione religiosa, ma può trovare in se stessa gli elementi per superare questa prima fase primitiva. Essa pone l’uomo in contatto con la natura, mantenendo la superiorità dell’uomo, quindi della storia o dello spirito, come il Croce dice. (Vedere il capitolo del Missiroli sulla «scienza» pubblicato nell’«Ordine Nuovo» con postilla di P. T.).

A questo proposito è interessante questo brano di M. Missiroli («L’Italia letteraria», 23 marzo 1930, Calendario: Religione e filosofia): «È probabile che qualche volta, di fronte alla logica del professore di filosofia, specie se questi sarà un seguace dell’idealismo assoluto, il senso comune degli scolari e il buon senso degli insegnanti delle altre materie, siano tratti a dar ragione al teologo piuttosto che al filosofo. Non vorrei in un eventuale contradditorio, davanti ad un pubblico non iniziato, trovarmi a dover perorare le ragioni della filosofia moderna. L’umanità è ancora tutta quanta aristotelica e la comune opinione segue ancora quel dualismo, che è proprio del realismo greco-cristiano. Che il conoscere sia un “vedere” anziché un “fare”, che la verità sia fuori di noi, esistente in sé e per sé e non una nostra creazione; che la “natura” e il “mondo” siano delle intangibili realtà, nessuno dubita e si rischia di passare per pazzi quando si afferma il contrario. I difensori dell’oggettività del sapere, i difensori più rigidi della scienza positiva, della scienza e del metodo di Galileo contro la gnoseologia dell’idealismo assoluto, oggi si trovano fra i cattolici. Quelli che Croce chiama pseudoconcetti e quello che Gentile definisce come pensiero astratto, sono le ultime rocche dell’oggettivismo. Donde la tendenza, sempre più visibile, della coltura cattolica a valorizzare la scienza positiva e l’esperienza contro la nuova metafisica dell’assoluto. Non è da escludere che il pensiero cattolico possa ringiovanirsi rifugiandosi nella cittadella della scienza sperimentale. Da trent’anni i Gesuiti lavorano per eliminare i contrasti – in realtà basati su equivoci – fra la religione e la scienza e non a caso Giorgio Sorel in uno scritto oggi rarissimo osservava che, fra tutti gli scienziati, i matematici sono i soli per i quali il miracolo non ha nulla di miracoloso».

Questi punti di vista sono stati dal Missiroli più diffusamente esposti e presentati in parte diversamente nel volume Date a Cesare. I cattolici fanno dei grandi sforzi per non perdere il contatto con la società moderna, cioè con l’alta cultura: con la diffusione dell’istruzione pubblica, che modifica incessantemente la composizione e il livello culturale delle masse popolari, l’influenza della religione andava esaurendosi, per confinarsi nella generazione più anziana e nelle donne. La religione si trasforma molecolarmente. I cattolici hanno cercato di assorbire il positivismo, ma hanno anche civettato con l’idealismo attuale e specialmente col crocismo. D’altronde il Croce civetta continuamente col «senso comune» e col «buon senso» popolare (bisognerà raccogliere tutti i brani di Croce sui rapporti tra filosofia e «senso comune»).

L’attacco di Croce al materialismo deve essere studiato sotto diversi aspetti: 1°) Atteggiamento di Croce verso il materialismo storico, organicamente espresso nel volume speciale e in articoli sparsi collegati al volume. 2°) Quanto del materialismo storico è penetrato nella stessa filosofia crociana, cioè la funzione che ha avuto il materialismo storico nello sviluppo filosofico del Croce: cioè, in che misura il Croce è un materialista storico «inconsapevole» o consapevole nel modo che egli chiama di «superamento»? 3°) Recente atteggiamento del Croce, nel secondo dopoguerra (il primo accenno di questo ultimo atteggiamento, a mia nozione, è nel volumetto sulla politica già prima nella Storia della storiografia italiana nel sec. XIX), che rappresenta un rinnegamento non solo della prima critica del Croce, ma anche di una parte cospicua della sua stessa filosofia: cioè questo nuovo atteggiamento del Croce non è solo un nuovo atteggiamento del Croce verso il materialismo storico, ma anche verso se stesso, verso tutta la sua filosofia precedente.

Il Croce fa quistioni di parole: quando dice che per il materialismo storico le superstrutture sono apparenze (ciò che è vero nella polemica politica ma non è vero «gnoseologicamente»), non pensa che ciò può significare qualcosa di simile alla sua affermazione della non «definitività» di ogni filosofia? Quando dice che il materialismo storico stacca la struttura dalle superstrutture, rimettendo così in vigore il dualismo teologico, non pensa che questo distacco è posto in senso dialettico, come tra tesi ed antitesi e che pertanto ogni accusa di dualismo teologico è vacua e superficiale? Forse che la struttura è concepita come qualcosa di immobile, o non è essa stessa la realtà in movimento: cosa vuol dire M. nelle Tesi su Feuerbach quando parla di «educazione dell’educatore» se non che la superstruttura reagisce dialetticamente sulla struttura e la modifica, cioè non afferma in termini «realistici» una negazione della negazione? non afferma l’unità del processo del reale?

Il Croce ritorce contro il materialismo storico l’accusa di disgregazione del processo del reale che i Gentiliani hanno rivolto allo stesso Croce, in quanto pone una «distinzione» tra le attività dello spirito e introduce una «dialettica dei distinti» (espressione infelice e incongrua, se anche è esatta la proposizione del Croce); ecco perché si può dire che il Croce, con questo suo atteggiamento verso il materialismo storico, in realtà rivela un processo di revisione dei capisaldi della sua stessa filosofia. (Concetto di blocco storico; nel materialismo storico è l’equivalente filosofico dello «spirito» nella filosofia crociana: introdurre nel «blocco storico» una attività dialettica e un processo di distinzione non significa negarne l’unità reale).