1) Non cercare nel Croce un «problema filosofico generale», ma vedere nella sua filosofia, quel problema o quella serie di problemi che più interessano nel momento dato, che, cioè, sono più aderenti alla vita attuale e ne sono come il riflesso: questo problema o serie di problemi mi pare sia quello della storiografia da una parte e quello della filosofia della pratica, della scienza politica, dell’etica, dall’altra.
2) Occorre studiare attentamente gli scritti «minori» del Croce, cioè oltre le opere sistematiche e organiche, le raccolte di articoli, di postille, di piccole memorie, che hanno un maggiore e più evidente legame con la vita, col movimento storico concreto.
3) Occorre stabilire una «biografia filosofica» del Croce, cioè identificare le diverse espressioni assunte dal pensiero del Croce, la diversa impostazione e risoluzione di certi problemi, i nuovi problemi sorti dal suo lavorio e impostisi alla sua attenzione, e per questa ricerca appunto è utile lo studio dei suoi scritti minori, nella collezione della «Critica» e nelle altre pubblicazioni che li contengono; la base di questa ricerca può essere data dal
4) Critici del Croce: positivisti, neoscolastici, idealisti attuali. Obbiezioni di questi critici.
L’uomo che cammina sulla testa. Come si può impostare per la filosofia del Croce il problema di «rimettere l’uomo sulle proprie gambe», di farlo camminare coi piedi e non con la testa? È il problema dei residui di «
Il Croce si afferma «dialettico» (sebbene introduca nella dialettica una «dialettica dei distinti», oltre alla dialettica degli opposti, che non è riuscito a dimostrare cosa sia dialettica o cosa sia esattamente) ma il punto da chiarire è questo: nel divenire vede egli il divenire stesso o il «concetto» di divenire? Questo mi pare il punto da cui occorre partire per approfondire: 1) lo storicismo del Croce, e in ultima analisi, la sua concezione della realtà, del mondo, della vita, cioè la sua filosofia «tout court»; 2) il suo dissenso dal Gentile e dall’idealismo attuale; 3) la sua incomprensione del materialismo storico, accompagnata dall’ossessione del materialismo storico stesso. Che il Croce sia stato sempre ossessionato dal materialismo storico e lo sia tuttora in forma anche più acuta che nel passato non è difficile dimostrare. Che una tale ossessione sia diventata spasmodica in questi ultimi anni è dimostrato: dagli accenni contenuti negli
Se è necessario, nel perenne fluire degli avvenimenti, fissare dei concetti, senza i quali la realtà non potrebbe essere
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Questa proposizione del Croce della identità di storia e di filosofia è la più ricca di conseguenze critiche: 1) essa è mutila se non giunge anche alla identità di storia e di politica (e dovrà intendersi politica quella che si realizza e non solo i tentativi diversi e ripetuti di realizzazione alcuni dei quali falliscono presi in sé) e, 2) quindi anche alla identità di politica e di filosofia. Ma se è necessario ammettere questa identità, come è più possibile distinguere le ideologie (uguali, secondo Croce, a strumenti di azione politica) dalla filosofia? Cioè la distinzione sarà possibile, ma solo per gra
La critica del concetto di storia nel Croce è essenziale: non ha essa un’origine puramente libresca e erudita? Solo l’identificazione di storia e politica toglie alla storia questo suo carattere. Se il politico è uno storico (non solo nel senso che fa la storia, ma nel senso che operando nel presente interpreta il passato), lo storico è un politico e in questo senso (che del resto appare anche nel Croce) la storia è sempre storia contemporanea, cioè politica: ma il Croce non può giungere fino a questa conclusione necessaria, appunto perché essa porta all’identificazione di storia e politica e quindi di ideologia e filosofia.
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Dialettica, immanentismo, storicismo: questi, si potrebbe riassumere, i meriti essenziali del hegelismo dal punto di vista del pensiero crociano, che sotto questo rispetto può realmente sentirsene seguace e continuatore».
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2) Accanto alla ricerca accennata nel paragrafo precedente e
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Cosa potrà significare «positivismo assoluto»? La «previsione» del Missiroli coincide con l’affermazione fatta varie volte in queste note che tutta l’attività teorica più recente del Croce si spiega con la previsione di una ripresa in grande stile e con caratteri tendenzialmente egemonici della filosofia della praxis, che può riconciliare la cultura popolare e la scienza sperimentale con una visione del mondo che non sia il grossolano positivismo né l’alambiccato attualismo né il libresco neotomismo.
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Altro punto da meditare è questo: se la concezione di «spirito» della filosofia speculativa non sia una trasformazione aggiornata del vecchio concetto di «natura umana» proprio sia della trascendenza che del materialismo volgare, se cioè nella concezione dello «spirito» non ci sia altro che il vecchio «Spirito santo» speculativizzato. Si potrebbe allora dire che l’idealismo è intrinsecamente teologico.
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Per comprendere quanto possa essere apprezzata l’attività del Croce in tutta la sua perseverante inflessibilità, dalla parte più responsabile, chiaroveggente (e conservatrice) della classe dominante, oltre alla citata «previsione» del Missiroli (e occorre capire cosa può significare di implicito senso critico il termine di «previsione» in questo
Appare abbastanza chiaramente che la serie di scritti del Pellizzi pubblicati dal «Selvaggio» è stata suggerita dal libro ultimo del Croce ed è un tentativo di assorbire la posizione del Croce in una nuova posizione che il Pellizzi ritiene superiore e tale da risolvere tutte le antinomie. In realtà il Pellizzi si muove tra concetti da Controriforma e le sue elucubrazioni intellettualmente possono dar luogo a una nuova «Città del Sole», praticamente a una costruzione come
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Il Croce, nel
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Nella concezione dello Stato: Einaudi pensa all’intervento
Tuttavia l’Einaudi aveva, nella lettera pubblicata dai «Nuovi Studi», accennato alla «meravigliosa capacità» di Giovanni Vailati, di presentare un teorema economico (o anche filosofico) e la sua soluzione, nei diversi linguaggi scientifici sorti dal processo storico di sviluppo delle scienze, cioè aveva implicitamente ammesso la traducibilità reciproca di questi linguaggi: il Benini ha proprio fatto questo, ha presentato in linguaggio dell’economia liberale un fatto economico già presentato nel linguaggio della filosofia della praxis, pur con tutte le limitazioni e cautele del caso (l’episodio Benini è da avvicinare all’episodio Spirito al Convegno di Ferrara). Ricordare a questo proposito l’affermazione di Engels a proposito della possibilità di giungere, anche partendo dalla concezione marginalista del valore, alle stesse conseguenze (se pure in forma volgare) di quelle a cui giunse l’economia critica. L’affermazione di Engels va analizzata in tutte le sue conseguenze: una di esse mi pare questa, che se si vuole difendere la concezione critica dell’economia, bisogna sistematicamente insistere sul fatto che l’economia ortodossa tratta gli stessi problemi, in altro lin
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Cercare nei libri del Croce i suoi accenni alla funzione del capo dello Stato. (Un cenno può trovarsi nella Seconda Serie delle
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Ma non interessa questa ricerca anche l’economia critica? Ed è «scientifico» che in un lavoro come il
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Se questo è il punto di partenza della scienza economica e se in tal modo è stato fissato il concetto fondamentale dell’economia, ogni ulteriore ricerca non potrà che approfondire teoricamente il concetto di «lavoro», che intanto non potrà essere annegato nel concetto più generico di industria e di attività, ma dovrà invece essere fissato in quella attività umana che in ogni forma sociale è ugualmente necessaria. Questo approfondimento è stato compiuto dall’economia critica.
Sarà da vedere
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2) È da osservare che l’attuale discussione tra «storia e antistoria» non è altro che la ripetizione nei termini della cultura filosofica moderna della discussione, avvenuta alla fine del secolo scorso, nei termini del naturalismo e positivismo, se la natura e la storia procedano per «salti» o solo per evoluzione graduale e progressiva. La stessa discussione si ritrova svolta anche dalle generazioni precedenti, sia nel campo delle scienze naturali (dottrine del Cuvier) sia nel campo filosofico (e si trova la discussione nello Hegel). Si dovrebbe fare la storia di questo problema in tutte le sue manifestazioni concrete e significative e si troverebbe che esso è sempre stato attuale, perché in ogni tempo ci sono stati conservatori e giacobini, progressisti e retrivi. Ma il significato «teorico» di questa discussione mi pare consistere in ciò: essa indica il punto di passaggio «logico» di ogni concezione del mondo alla morale che le è conforme, di ogni «contemplazione» all’«azione», di ogni filosofia all’azione politica che ne dipende. È il punto cioè in cui la concezione del mondo, la contemplazione, la filosofia diventano «reali» perché tendono a modificare il mondo, a rovesciare la prassi. Si può dire perciò che questo è il nesso centrale della filosofia della prassi, il punto in cui essa si attualizza, vive storicamente, cioè socialmente e non più solo nei cervelli individuali, cessa dall’essere «arbitraria» e diventa necessaria-razionale-reale. Il problema è da vedere storicamente, appunto. Che i tanti mascherotti nietzschiani rivoltati verbalmente contro tutto l’esistente, contro i convenzionalismi ecc. abbiano finito con lo stomacare e col togliere serietà a certi atteggiamenti, può essere ammesso, ma non bisogna, nei propri giudizi, lasciarsi guidare dai mascherotti. Contro
La forma classica di questi passaggi dalla concezione del mondo alla norma pratica di condotta, mi pare quella per cui dalla predestinazione calvinistica sorge uno dei maggiori impulsi all’iniziativa pratica che si sia avuto nella storia mondiale. Così ogni
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I. Premesso che le due ultime storie, quella d’Italia e quella d’Europa, sono state pensate all’inizio della guerra mondiale, per concludere un processo di meditazioni e di riflessioni sulle cause di quegli avvenimenti del 1914 e 1915, si può domandare quale preciso scopo «educativo» esse abbiano. Preciso, specialmente preciso. E si conclude che non l’hanno, che anche esse rientrano in quella letteratura sul «Risorgimento» di carattere spiccatamente letterario e ideologico, che nella realtà
II. Il saggio potrebbe avere come nucleo centrale l’esame del concetto di storiografia etico-politica, che realmente co
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1) A rileggere il libro del Pantaleoni si comprendono meglio i motivi delle abbondanti scritture di Ugo Spirito.
2) La parte prima del libro, dove si tratta del postulato edonistico, potrebbe più acconciamente servire come introduzione a un raffinato manuale di arte culinaria o ad un ancor più raffinato manuale sulle posizioni degli amanti. È un peccato che gli scrittori di arte culinaria non studino l’economia pura, perché coi sussidi di gabinetti di psicologia sperimentale e del metodo statistico potrebbero giungere a trattazioni ben più complete e sistematiche di quelle volgarmente diffuse: lo stesso si dica della più clandestina ed esoterica attività scientifica che si affatica ad elaborare l’arte dei godimenti sessuali.
3) La filosofia del Pantaleoni è il sensismo del secolo XVIII, sviluppato nel positivismo del secolo XIX: il suo «uomo» è l’uomo in generale, nelle premesse
4) Questi economisti «puri» pongono l’origine della scienza economica nella scoperta fatta da Cantillon che la ricchezza è il lavoro, è l’industria umana. Quando però cercano di fare scienza essi stessi, dimenticano le origini e affogano nell’ideologia che prima sviluppò, secondo i suoi metodi, la scoperta iniziale. Delle origini essi sviluppano non il nucleo positivo, ma l’alone filosofico legato al mondo culturale del tempo, quantunque questo mondo sia stato criticato e superato dalla cultura successiva.
5) Cosa dovrebbe sostituirsi al così detto «postulato edonistico» dell’economia «pura» in un’economia critica e storicistica? La descrizione del «mercato determinato», cioè la descrizione della forma sociale determinata, del tutto in confronto della parte, del tutto che determina, in quella determinata misura, quell’automatismo e insieme di uniformità e regolarità che la scienza economica cerca di descrivere col massimo di esattezza e precisione e completezza. Si può dimostrare che una tale impostazione della scienza economica è superiore a quella dell’economia «pura»? Si può dire che il postulato edonistico non è astratto, ma generico: infatti esso può essere premesso non alla sola economia, ma a tutta una serie di operazioni umane, che possono chiamarsi «economiche» solo allargando e genericizzando enormemente la nozione di economia fino a renderla empiricamente vuota di significato o a farla coincidere con una categoria filosofica, come infatti ha cercato di fare il Croce.
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Anche da questo punto appare come il Croce abbia saputo mettere bene a profitto il suo studio della filosofia della praxis. Cosa è infatti la tesi crociana dell’identità di filosofia e di storia se non un modo, il modo crociano, di presentare lo stesso problema posto dalle glosse al Feuerbach e confermato dall’Engels nel suo opuscolo su Feuerbach? Per Engels «storia» è pratica (l’esperimento, l’industria) per Croce Storia è ancora un concetto speculativo; cioè Croce ha rifatto a rovescio il cammino – dalla filosofia speculativa si
Si può vedere con maggiore esattezza e precisione il significato che la filosofia della praxis ha dato alla tesi hege
Per il concetto più largo di storicità della filosofia, che cioè una filosofia è «storica» in quanto si diffonde, in quanto diventa concezione della realtà di una massa sociale (con un’etica conforme), si capisce che la filosofia della praxis, nonostante la «sorpresa» e lo «scandalo» del Croce, studi «nei filosofi proprio (!) ciò che non è filosofico: le tendenze pratiche, e gli affetti sociali e di classe, che quelli rappresentano. Onde nel materialismo del secolo decimottavo essi scorgevano la vita francese di allora, volta tutta all’immediato presente, al comodo e all’utile; nello Hegel, lo Stato prussiano; nel Feuerbach, gli ideali della vita moderna, ai quali la società germanica non si era ancora innalzata; nello Stirner, l’anima dei merciai; nello Schopenhauer, quella dei piccoli borghesi; e via discorrendo».
Ma non era ciò appunto uno «storicizzare» le rispettive filosofie, un ricercare il nesso storico tra i filosofi e la realtà storica da cui erano stati mossi? Si potrà dire e si dice infatti: ma la «filosofia» non è invece proprio ciò che «residua» dopo questa analisi per la quale si identifica ciò che è «sociale» nell’opera del filosofo? Intanto occorre porre questa rivendicazione e giustificarla mentalmente. Dopo aver distinto ciò che è sociale o «storico» in una determinata filosofia, ciò che corrisponde a una esigenza della vita pratica, a una esigenza che non sia arbitraria e cervellotica (e certo non è sempre facile una tale identificazione, specialmente se tentata immediatamente, senza cioè una sufficiente prospettiva) sarà da valutare questo «residuo», che poi non sarà
In ogni modo appare quale sia stato il nesso teorico per cui la filosofia della praxis, pur continuando l’hegelismo, lo «capovolge», senza perciò, come crede il Croce, voler «soppiantare» ogni sorta di filosofia. Se la filosofia è storia della filosofia, se la filosofia è «storia», se la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rapporti sociali in cui gli uomini vivono) e non già perché a un grande filosofo succede un più grande filosofo e così via, è chiaro che lavorando praticamente a fare storia, si fa anche filosofia «implicita», che sarà «esplicita» in quanto dei filosofi la elaboreranno coerentemente, si suscitano dei problemi di conoscenza che oltre alla forma «pratica» di soluzione troveranno, prima o poi, la forma teorica per opera degli specialisti, dopo aver immediatamente trovato la forma ingenua del senso comune popolare cioè degli agenti pratici delle trasformazioni storiche. Si vede come i crociani non capiscano questo modo di porre la quistione dalla loro maraviglia (cfr. recensione del De Ruggiero del libro di Arthur
Il Masaryk nel suo libro di memorie (
All’accenno del De Ruggiero si possono fare altre notazioni critiche che non sono fuori posto in questi appunti sul Croce (si potrebbe questo brano ridurlo a una nota): 1) che questi filosofi speculativi quando non sanno spiegarsi un fatto, ricorrono subito alla solita astuzia della provvidenza che naturalmente spiega tutto; 2) che di superficiale c’è solo l’informazione «filologica» del De Ruggiero, il quale si vergognerebbe di non conoscere tutti i documenti su un minuscolo fatto di storia della filosofia, ma trascura di informarsi con maggiore sostanziosità su avvenimenti giganteschi come quelli
II. La critica crociana della filosofia della praxis può prendere le mosse dalle sue affermazioni perentorie in proposito nella
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I. È da fissare con esattezza il punto in cui si distingue tra «astrazione» e «generizzazione». Gli agenti economici non possono essere sottoposti a un processo di astrazione per cui l’ipotesi di omogeneità diventa l’uomo biologico; questa non è astrazione ma generizzazione o «indeterminazione». Astrazione sarà sempre astrazione di una categoria storica determinata, vista appunto in quanto categoria e non in quanto molteplice individualità. L’homo oeconomicus è anch’esso storicamente determinato pur
II. Occorre fissare il concetto di mercato determinato. Come viene assunto nell’economia «pura» e come nell’economia critica. Mercato determinato nell’economia pura è una astrazione arbitraria, che ha un valore puramente convenzionale ai fini di un’analisi pedantesca e scolastica. Mercato determinato per l’economia critica sarà invece l’insieme delle attività economiche concrete di una forma sociale
III. Si può domandare se l’economia pura sia una scienza oppure se essa sia «un qualche cosa d’altro» che però si muove con un metodo che in quanto metodo ha un suo rigore scientifico. Che esistano attività di questo genere è mostrato dalla teologia. Anche la teologia parte da una certa serie di ipotesi e quindi costruisce su di esse tutto un massiccio edifizio dottrinale saldamente coerente e rigorosamente dedotto. Ma la teologia è perciò una scienza? L’Einaudi (cfr.
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Sull’argomento della caduta tendenziale del saggio del profitto ricordare un lavoro recensito nella prima annata di «Nuovi Studi» e dovuto a un economista tedesco, scolaro dissidente di Franz Oppenheimer, e un più recente volume del Grossmann recensito nella rivista «Economia» di Trieste e nella «Critique Sociale» da Lucien Laurat.
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Un tecnico dell’economia dovrebbe poi riprendere la formula generale della legge della caduta tendenziale, che fissa il momento in cui la legge stessa si verifica e criticamente stabilire tutta la serie di passaggi che tendenzialmente ad essa conducono come conclusione logica.
È da svolgere l’accenno sul significato che «tendenziale» deve avere, riferito alla legge della caduta del profitto. È evidente che in questo caso la tendenzialità non può riferirsi solo alle forze controperanti nella realtà ogni volta che da essa si astraggono alcuni elementi isolati per costruire
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I Nell’esame della quistione del metodo di ricerca economica e del concetto di astrazione, è da vedere se l’appunto critico che il Croce fa all’economia critica di procedere attraverso «una continua mescolanza di deduzione teorica e di descrizione storica, di nessi logici e di nessi di fatto» (
II. È da riflettere su questo punto: come potrebbe e dovrebbe essere compilato modernamente un sommario di scienza critica economica che riproducesse il tipo rappresentato nel passato e per le passate generazioni dai compendi del Cafiero, del Deville, del Kautsky, dell’Aveling, del Fabietti, più modernamente dal compendio del Borchardt e, in una serie distinta, dalla letteratura economica di divulgazione scolastica che nelle lingue occidentali è rappresentata dal
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I. Che la teoria del valore nella economia critica non sia una teoria del valore, ma «qualcosa d’altro» fondato su un paragone ellittico, cioè con riferimento a una ipotetica società avvenire ecc. Ma la dimostrazione non è riuscita e la confutazione di essa è contenuta implicitamente nello stesso Croce (cfr. il primo capitolo del saggio
II. Forse sarebbe opportuno, secondo l’ampiezza del Saggio, dare uno schizzo della tradizione intellettuale del Mezzogiorno (specialmente nel pensiero politico e filosofico) in contrapposizione col resto d’Italia, specialmente la Toscana, così come si riflette fino alla generazione del Croce (e Giustino Fortunato). Il libro di Luigi Russo sul De Sanctis e l’Università napoletana può essere molto utile, anche per vedere come la tradizione meridionale abbia col De Sanctis raggiunto un grado di sviluppo teorico-pratico di fronte al quale l’atteggiamento del Croce rappresenta un arretramento, senza che l’atteggiamento del Gentile, che tuttavia più del Croce si è impegnato nell’azione pratica, possa giudicarsi una continuazione dell’attività desanctisiana per altre ragioni. A proposito del contrasto culturale tra la Toscana e il Mezzogiorno si può ricordare (a titolo di curiosità) l’epigramma di Ardengo Soffici (credo nel
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Data la inne
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I. Discorso del Croce alla sezione di Estetica del Congresso filosofico di Oxford (riassunto nella «Nuova Italia» del 20 ottobre 1930): svolge in forma estrema le tesi sulla filosofia della praxis esposte nella
Per una filosofia è una forza o una debolezza di avere oltrepassato i soliti limiti dei ristretti ceti intellettuali e di diffondersi nelle grandi masse sia pure adattandosi alla mentalità di queste e perdendo poco o molto del suo nerbo? E che significato ha il fatto di una concezione del mondo che in tal modo si diffonde e si radica e continuamente ha dei momenti di ripresa e di nuovo splendore intellettuale? È una ubbia da intellettuali fossilizzati credere che una concezione del mondo possa essere distrutta da critiche di carattere razionale: quante volte non si è parlato di «crisi» della filosofia della praxis? e che cosa significa questa crisi permanente? non significa forse la vita stessa che procede per negazioni di negazioni? Ora, chi ha conservato la forza delle successive riprese teoriche se non la fedeltà delle masse popolari che si erano appropriate la concezione, sia pure in forme superstiziose e primitive? Si parla spesso che in certi paesi il non esserci stata la riforma religiosa è causa di regresso in tutti i campi della vita civile e non si osserva che appunto la diffusione della filosofia della praxis è la grande riforma dei tempi moderni, è una riforma intellettuale e morale che compie su scala nazionale ciò che il liberalismo non è riuscito a compiere che per ristretti ceti della popolazione. Appunto l’analisi che il Croce ha fatto nella
La posizione del Croce è quella dell’uomo del Rinascimento verso la Riforma protestante con la differenza che il Croce rivive una posizione che storicamente si è dimostrata falsa e reazionaria e che egli stesso (e i suoi scolari: cfr. il volume del De Ruggiero su
Croce rimprovera alla filosofia della praxis il suo «scientismo», la sua superstizione «materialistica», un suo presunto ritorno al «medioevo intellettuale». Sono i rimproveri che Erasmo, nel linguaggio del tempo, muoveva al luteranismo. L’uomo del Rinascimento e l’uomo creato dallo sviluppo della Riforma si sono fusi nell’intellettuale moderno del tipo Croce, ma se questo tipo sarebbe incomprensi
A proposito dei rapporti tra l’idealismo e il popolo è interessante questo brano del Missiroli (cfr. «L’Italia Letteraria», 23 marzo 1930,
L’atteggiamento del Croce verso il cattolicismo si è andato precisando dopo il 1925 e ha avuto la sua nuova manifestazione più cospicua con la l'opera l’edizione nazionale delle opere e per il Croce per la
Il recente atteggiamento del Croce verso la filosofia della praxis (la cui manifestazione più cospicua è stata finora il discorso alla sezione di Estetica del Congresso di Oxford) non è solo un rinnegamento (anzi un capovolgimento) della prima posizione assunta dal Croce prima del 1900 (quando scriveva che il nome di «materialismo» era solo un modo di dire e polemizzava col Plekhanov dando ragione al Lange di non aver parlato della filosofia della praxis nella sua
Alcune quistioni poste dal Croce sono puramente verbali. Quando egli scrive che le superstrutture sono concepite come apparenze, non pensa che ciò può significare semplicemente qualcosa di simile alla sua affermazione della non «definitività» ossia della «storicità» di ogni filosofia? Quando per ragioni «politiche», pratiche, per rendere indipendente un gruppo sociale dall’egemonia di un altro gruppo, si parla di «illusione», come si può confondere in
L’affermazione del Croce che la filosofia della praxis «stacca» la struttura dalle superstrutture, rimettendo così in vigore il dualismo teologico e ponendo un «dio ignoto-struttura» non è esatta e non è neanche molto profonda invenzione. L’accusa di dualismo teologico e di disgregazione del processo del reale è vacua e superficiale. È strano che una tale accusa sia venuta dal Croce, che ha introdotto il concetto di dialettica dei distinti e che per ciò è continuamente accusato dai gentiliani di aver appunto disgregato il processo del reale. Ma, a parte ciò, non è vero che la filosofia della praxis «stacchi» la struttura dalle superstrutture quando invece concepisce il loro sviluppo come intimamente connesso e necessariamente interrelativo e reciproco. Né la struttura è neanche per metafora paragonabile a un «dio ignoto»: essa è concepita in modo ultrarealistico, tale da poter essere studiata coi metodi delle scienze naturali ed esatte e anzi appunto per questa sua «consistenza» oggettivamente controllabile la concezione della storia è stata ritenuta «scientifica». Forse che la struttura è concepita come qualcosa di immobile ed assoluto o non invece come la realtà stessa in movimento e l’affermazione delle
§ È da ricordare il giudizio del Croce su Giovanni Botero nel volume
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§ Si potrebbe dire che il Croce è l’ultimo uomo del Ri
La funzione del Croce si potrebbe paragonare a quella del papa cattolico e bisogna dire che il Croce, nell’ambito del suo influsso, talvolta ha saputo condursi più abilmente del papa: nel suo concetto di intellettuale, del resto, c’è qualcosa di «cattolico e clericale», come può vedersi dalle sue pubblicazioni del tempo di guerra e come risulta anche oggi da recensioni e postille; in forma più organica e stringata la sua concezione dell’intellettuale può avvicinarsi a quella espressa da Julien Benda nel libro
Dal punto di vista della sua funzione culturale non bisogna tanto considerare il Croce come filosofo sistematico quanto alcuni aspetti della sua attività: 1) il Croce come teorico dell’estetica e della critica letteraria ed artistica (l’ultima edizione dell’
La stessa osservazione può farsi al Missiroli, anch’egli antimodernista e antipopolare: se il popolo non può giungere alla concezione della libertà politica e all’idea nazionale se non dopo aver attraversato una riforma religiosa, cioè dopo aver conquistato la nozione di libertà nella religione, non si capisce perché Missiroli e i liberali del «Resto del Carlino» siano stati così ferocemente antimodernisti: o si capisce anche troppo; perché modernismo significava politicamente democrazia cristiana, questa era particolarmente forte nell’Emilia-Romagna e in tutta la valle padana e il Missiroli coi suoi liberali lottavano per l’Agraria.
Si pone il problema di chi rappresenti più adeguatamente
§ Deve essere criticata l’impostazione che il Croce fa della scienza politica. La politica, secondo il Croce, è l’espressione della «passione». A proposito del Sorel il Croce ha scritto (
Che il Croce non sia uscito da queste contraddizioni e che in parte ne abbia coscienza, si capisce dal suo atteggiamento verso i «partiti politici» quale appare dal capitolo «Il partito come giudizio e come pregiudizio» del volume
§ La teoria del valore come paragone ellittico. Oltre all’obbiezione che la teoria del valore ha la sua origine nel Ricardo, che certamente non intendeva fare un paragone ellittico nel senso che pensa il Croce, è da aggiungere qualche altra serie di ragionamenti. Era arbitraria la teoria del Ricardo ed è arbitraria la soluzione più precisa dell’economia critica? E in che punto del ragionamento starebbe l’arbitrio o il sofisma? Bisognerebbe studiare bene la teoria di Ricardo e specialmente la teoria di Ricardo sullo Stato come agente economico, come la forza che tutela il diritto di proprietà, cioè il monopolio dei mezzi di produzione. È certo che lo Stato ut sic non produce la situazione economica ma è l’espressione della situazione economica, tuttavia si può parlare dello Stato come agente economico in quanto appunto lo Stato è sinonimo di tale situazione. Se si studia infatti l’ipotesi economica pura, come Ricardo intendeva fare, non occorre prescindere da questa situazione di forza rappresentata dagli Stati e dal monopolio legale della proprietà? Che la quistione non sia oziosa è dimostrato dai cambiamenti apportati nella situazione di forza esistente nella società civile dalla nascita delle Trade-Unions, quantunque lo Stato non abbia mutato di natura. Non si trattava dunque per nulla di un paragone ellittico, fatto in vista di una futura forma sociale diversa da quella studiata, ma di una teoria risultante dalla riduzione della società economica alla pura «economicità» cioè al massimo di determinazione del «libero gioco delle forze economiche», in cui essendo l’ipotesi quella dell’homo oeconomicus, non poteva non prescindersi dalla forza data dall’insieme di una clas
Sarebbe ancora da notare che, se si vuole, tutto il linguaggio è una serie di paragoni ellittici, che la storia è un paragone implicito tra il passato e il presente (l’attualità storica) o tra due momenti distinti dello svolgimento storico. E perché l’ellissi è illecita se il paragone avviene con un’ipotesi avvenire, mentre sarebbe lecita se il paragone è fatto con un fatto passato (il quale in tal caso è assunto proprio come ipotesi, come punto di riferimento utile per meglio comprendere il presente)? Lo stesso Croce, parlando delle previsioni, sostiene che la previsione non è altro che uno speciale giudizio sull’attualità che sola si conosce, poiché non si può conoscere l’avvenire per definizione poiché esso non esiste e non è esistito e non si può conoscere l’inesistente (cfr.
§ Il punto più importante in cui il Croce riassume le critiche, secondo lui decisive e che avrebbero rappresentato un’epoca storica, è la
Nella «Conclusione» al suo saggio
§ L’importanza che hanno avuto il machiavellismo e l’antimachiavellismo in Italia per lo sviluppo della scienza politica e il significato che in questo svolgimento hanno avuto recentemente la proposizione del Croce sull’autonomia del momento politico-economico e le pagine dedicate al Machiavelli. Si può dire che il Croce non sarebbe giunto a questo risultato senza l’apporto culturale della filosofia della praxis? È da ricordare in proposito che il Croce ha scritto di non poter capire come mai nessuno abbia pensato di svolgere il concetto che il fondatore della filosofia della praxis ha compiuto, per un gruppo sociale moderno, la stessa opera compiuta dal Machiavelli al suo tempo. Da questo paragone del Croce si potrebbe dedurre tutta l’ingiustizia dell’attuale suo atteggiamento culturale, anche perché il fondatore della filosofia della praxis ha avuto interessi molto più vasti del Machiavelli e dello stesso Botero (che per il Croce integra Machiavelli nello svolgimento della scienza politica, sebbene ciò non sia molto esatto, se del Machiavelli non si considera solo il
§ Uno dei punti che più interessa di esaminare ed approfondire è la dottrina crociana delle ideologie politiche. Non basta perciò leggere gli
Il concetto del valore concreto (storico) delle superstrutture nella filosofia della praxis deve essere approfondito accostandolo al soreliano concetto di «blocco storico». Se gli uomini acquistano coscienza della loro posizione sociale e dei loro compiti nel terreno delle superstrutture, ciò significa che tra struttura e superstruttura esiste un nesso necessario e vitale. Bisognerebbe studiare contro quali correnti storiografiche la filosofia della praxis ha reagito nel momento della sua fondazione e quali erano le opinioni più diffuse in quel tempo anche riguardo alle altre scienze. Le stesse immagini e metafore cui ricorrono spesso i fondatori della filosofia della praxis danno indizi in proposito: l’affermazione che l’economia è per la società ciò che l’anatomia nelle scienze biologiche; ed è da ricordare la lotta che nelle scienze naturali è avvenuta per scacciare dal terreno scientifico principi di classificazione basati su elementi esteriori e labili. Se gli animali fossero classificati dal colore della pelle, o del pelo o delle piume, tutti oggi protesterebbero. Nel corpo umano non si può certo dire che la pelle (e anche il tipo di bellezza fisica storicamente prevalente) siano mere illusioni e che lo scheletro e l’anatomia siano la sola realtà, tuttavia per molto tempo si è detto qualcosa di simile. Mettendo in valore l’anatomia e la funzione dello scheletro nessuno ha voluto affermare che l’uomo (e tanto meno la donna) possano vivere senza di essa. Continuando nella metafora si può dire che non è lo scheletro (in senso stretto) che fa innamorare di una donna, ma che tuttavia si comprende quanto lo scheletro contribuisca alla grazia dei movimenti ecc. ecc.
Un altro elemento contenuto nella prefazione del
§ In un articolo su individuale intelligente deve fare delle leggi per imporre ai ricchi dei sacrifici, destinati a salvare la solidarietà nazionale. Un’evoluzione bene ordinata, che conduca ad una vita relativamente dolce, ecco quanto il popolo reclamerebbe in nome della scienza, se avesse dei buoni consiglieri. Ai suoi occhi i socialisti sono dei cattivi pastori quando introducono, nella politica di un paese democratico, la nozione della rivoluzione. Come tutti gli uomini della sua generazione, Clemenceau ha conservato un vivo ricordo della Comune. Credo fermamente che egli non abbia ancora perdonato al popolo di Parigi la brutalità con la quale le guardie nazionali insorte lo cacciarono dal palazzo del Comune di Montmartre».
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Lo storicismo del Croce sarebbe quindi niente altro che una forma di moderatismo politico, che pone come solo me
Fissare bene questo rapporto dello storicismo del Croce con la tradizione moderata del Risorgimento e col pensiero reazionario della Restaurazione. Osservare come la sua concezione della «dialettica» hegeliana abbia privato questa di ogni
§ Esaminare, ancora, il principio crociano (o accettato e svolto dal Croce) del «carattere volitivo dell’affermazione teoretica» (a questo proposito cfr. il capitolo «La libertà di coscienza e di scienza» nel volume
§ È da vedere se, a suo modo, lo storicismo crociano non sia una forma, abilmente mascherata, di storia a disegno, come tutte le concezioni liberali riformistiche. Se si può affermare, genericamente, che la sintesi conserva ciò che è vitale ancora della tesi, superata dall’antitesi, non si può affermare, senza arbitrio, ciò che sarà conservato, ciò che a priori si ritiene vitale, senza cadere nell’ideologismo, senza cadere nella concezione di una storia a disegno. Che cosa il Croce ritiene che della tesi sia da conservare, perché vitale? Non essendo che raramente un
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Nel caso dei pragmatisti, come in generale nei confronti di qualsiasi altro tentativo di sistemazione organica della filosofia, non è detto che il riferimento sia alla totalità del sistema o al nucleo essenziale di esso. Mi pare di poter dire che la concezione del linguaggio del Vailati e di altri pragmatisti non sia accettabile: tuttavia pare che essi abbiano sentito delle esigenze reali e le abbiano «descritte» con esattezza approssimativa, anche se non sono riusciti a impostare i problemi e a darne la soluzione. Pare si possa dire che «linguaggio» è essenzialmente un nome collettivo, che non presuppone una cosa «unica» né nel tempo né nello spazio. Linguaggio significa anche cultura e filosofia (sia pure nel grado di senso comune) e pertanto il fatto «linguaggio» è in realtà una molteplicità di fatti più o meno organicamente coerenti e coordinati: al limite si può dire che ogni essere parlante ha un proprio linguaggio personale, cioè un proprio modo di pensare e di sentire. La cultura, nei suoi vari gradi, unifica una maggiore o minore quantità di individui in strati numerosi, più o meno a contatto espressivo, che si capiscono tra loro in gradi diversi ecc. Sono queste differenze e distinzioni storico-sociali che si riflettono nel linguaggio comune e producono quegli «ostacoli» e quelle «cause di errore» di cui i pragmatisti hanno trattato.
Da questo si deduce l’importanza che ha il «momento
Questo problema può e deve essere avvicinato all’impostazione moderna della dottri
Perciò si può dire che la personalità storica di un filosofo individuale è data anche dal rapporto attivo tra lui e l’ambiente culturale che egli vuole modificare, ambiente che reagisce sul filosofo e, costringendolo a una continua autocritica, funziona da «maestro». Così si è avuto che una delle maggiori rivendicazioni dei moderni ceti intellettuali nel campo politico è stata quella delle così dette «libertà di pensiero e di espressione del pensiero (stampa e associazione)»
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I.
II.
Può disgiungersi l’idea di progresso da quella di divenire? Non pare. Esse sono nate insieme, come politica (in Francia), come filosofia (in Germania, poi sviluppata in Italia). Nel «divenire» si è cercato di salvare ciò che di più concreto è nel «progresso», il movimento e anzi il movimento dialettico (quindi anche un approfondimento, perché il progresso è legato alla concezione volgare dell’evoluzione).
Da un articoluccio di Aldo Capasso nell’«Italia Letteraria» del 4 dicembre 1932 riporto alcuni brani che presentano i dubbi volgari su questi problemi: «Anche da noi è comune l’irrisione verso l’ottimismo umanitario e democratico di stile ottocentesco, e Leopardi non è un solitario quando parla delle “sorti progressive” con ironia; ma s’è escogitato quell’astuto travestimento del “Progresso” ch’è l’idealistico “Divenire”: idea che resterà nella storia, crediamo, più ancora come italiana che come tedesca. Ma che senso può avere un Divenire che si prosegue ad infinitum, un miglioramento che non sarà mai paragonabile ad un bene fisico? Mancando il criterio di un ultimo gradino stabile, manca, del “miglioramento”, l’unità di misura. E inoltre non si può arrivare nemmeno a pascersi della fiducia di essere, noi uomini reali e viventi, migliori, che so io, dei Romani o dei primi Cristiani, perché il “miglioramento” andando inteso in un senso tutto ideale, è perfettamente ammissibile che noi oggi siamo tutti “decadenti” mentre, allora, fossero quasi tutti uomini pieni o magari santi. Sicché, dal punto di vista etico, l’idea d’ascesa ad infinitum implicita nel concetto di Divenire resta alquanto ingiustificabile, dato che il
Non c’è molta coerenza nel pensiero del Capasso, ma il suo modo di pensare è espressivo di uno stato d’animo diffuso, molto snobistico e incerto, molto sconnesso e superficiale
La quistione è sempre la stessa: cos’è l’uomo? cos’è la natura umana? Se si definisce l’uomo come individuo, psicologicamente e speculativamente, questi problemi del progresso e del divenire sono insolubili o rimangono di mera parola. Ma se si concepisce l’uomo come l’insieme dei rapporti sociali, intanto appare che ogni paragone tra uomini nel tempo è impossibile, perché si tratta di cose diverse, se non eterogenee. D’altronde, poiché l’uomo è anche l’insieme delle sue condizioni di vita, si può misurare quantitativamente la differenza tra il passato e il presente, poiché si può misurare la misura in cui l’uomo domina la natura e il caso. La possibilità non è la realtà, ma è anch’essa una real
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Il Forges Davanzati è davvero un tipo, e un tipo da farsa intellettuale. Si potrebbe così delineare il suo carattere: egli è il «superuomo» rappresentato da un romanziere o drammaturgo minchione ed è nello stesso tempo questo romanziere o drammaturgo. La vita come opera d’arte, ma opera d’arte d’un minchione. È noto che molti giovanotti vogliono rappresentare il genio, ma per rappresentare il genio oc
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II.
La quistione è connessa all’altra espressa nel proverbio: «Primum vivere, deinde philosophari». In realtà non è possibile staccare il vivere dal filosofare; tuttavia il proverbio ha un significato pratico: vivere significa occuparsi specialmente dell’attività pratica economica, filosofare occuparsi di attività intellettuali, di otium litteratum. Tuttavia c’è chi «vive» solamente, chi è costretto a un lavoro servile, estenuante ecc., senza di cui alcuni non potrebbero avere la possibilità di essere esonerati dall’attività economica per filosofare.
Sostenere la «qualità» contro la quantità significa proprio solo questo: mantenere intatte determinate condizioni di vita sociale in cui alcuni sono pura quantità, altri qualità. E come è piacevole ritenersi rappresentanti patentati della qualità, della bellezza, del pensiero ecc. Non c’è signora del bel mondo che non creda di adempiere a tale funzione di conservare sulla terra la qualità e la bellezza!
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Società alle quali un singolo può partecipare: sono molto numerose, più di quanto può sembrare. È attraverso queste «società» che il singolo fa parte del genere umano. Così sono molteplici i modi con cui il singolo entra in rapporto colla natura, poiché per tecnica, deve intendersi non solo quell’insieme di nozioni scientifiche applicate industrialmente che di solito s’intende, ma anche gli strumenti «mentali», la conoscenza filosofica.
Che l’uomo non possa concepirsi altro che vivente in società è luogo comune, tuttavia non se ne traggono tutte le conseguenze necessarie anche individuali: che una determinata società umana presupponga una determinata società delle cose e che la società umana sia possibile solo in quanto esiste una determinata società delle cose è anche luogo comune. È vero che finora a questi organismi oltre individuali è stato dato un significato meccanicistico e deterministico (sia la societas hominum che la societas rerum): quindi la reazione. Bisogna elaborare una dottrina in cui tutti questi rapporti sono attivi e in movimento, fissando ben chiaro che sede di questa attività è la coscienza dell’uomo singolo che conosce, vuole, ammira, crea, in quanto già conosce, vuole, ammira, crea ecc. e si concepisce non isolato ma ricco di possibilità offertegli dagli altri uomini e dalla società delle cose, di cui non può non avere una certa conoscenza. (Come ogni uomo è filosofo, ogni uomo è scienziato ecc.).
Le polemiche tipo Agnelli-Einaudi fanno pensare al fenomeno psicologico che durante la fame si pensa di più all’abbondanza di cibo: sono ironiche, per dire il meno. Intanto la discussione è sbagliata psicologicamente, perché tende a far credere che l’attuale disoccupazione sia «tecnica», mentre ciò è falso. La disoccupazione «tecnica» è poca cosa in confronto della disoccupazione generale. Inoltre. Il ragionamento è fatto come se la società fosse costituita di «lavoratori» e di «industriali» (datori di lavoro in senso
Il fatto che la «società industriale» non è costituita solo di «lavoratori» e di «imprenditori», ma di «azionisti» vaganti (speculatori) turba tutto il ragionamento di Agnelli: avviene che se il progresso tecnico permette un più ampio margine di profitto, questo non sarà distribuito razionalmente ma «sempre» irrazionalmente agli azionisti e affini. Né oggi si può dire che esistano «imprese sane». Tutte le imprese sono divenute malsane, e ciò non si dice per prevenzione moralistica o polemica, ma oggettivamente. È la stessa «grandezza» del mercato azionario che ha creato la malsania: la massa dei portatori di azioni è così grande che essa ormai ubbidisce alle leggi di «folla» (panico, ecc. che ha i suoi termini tecnici speciali nel «boom», nel «run» ecc.) e la speculazione è diventata una necessità tecnica, più importante del lavoro degli ingegneri e degli operai.
L’osservazione sulla crisi americana del 1929 appunto questo ha messo in luce: l’esistenza di fenomeni irrefrena
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di partito. Distinzione del concetto di partito: 1) Il partito come organizzazione pratica (o tendenza pratica), cioè come strumento per la soluzione di un problema o di un gruppo di problemi della vita nazionale e internazionale. In questo senso il Croce non appartenne mai esplicitamente a nessuno dei gruppi liberali, anzi esplicitamente combatté l’idea stessa e il fatto dei partiti permanentemente organizzati (locali regionali. Erano frazioni del liberalismo politico tanto il cattolicismo liberale dei popolari, come il nazionalismo (il Croce collaborò a «Politica» di A. Rocco e F. Coppola), tanto le unioni monarchiche come il partito repubblicano e gran parte del socialismo, tanto i radicali democratici come i conservatori, tanto Sonnino-Salandra, come Giolitti, Orlando, Nitti e Co. Il Croce fu il teorico di ciò che tutti questi gruppi e gruppetti, camarille e mafie avevano di comune, il capo di un ufficio centrale di propaganda di cui tutti questi gruppi beneficiavano e si servivano, il leader nazionale dei movimenti di cultura che nascevano per rinnovare le vecchie forme politiche.
Come è stato osservato altrove il Croce divise con Giustino Fortunato questo ufficio di leader nazionale della cultura liberale democratica. Dal 1900 al 1914 e anche dopo (ma come risoluzione) Croce e Fortunato apparivano sempre come ispiratori (come fermenti) di ogni nuovo movimento giovanile serio che si proponesse di rinnovare il «costume» politico e la vita dei partiti borghesi: così per la «Voce», l’«Unità», l’«Azione Liberale», la «Patria» (di Bologna) ecc. Con la «Rivoluzione Liberale» di
§ Vedere se il principio di «distinzione», cioè quella che il Croce chiama «dialettica dei distinti» non sia stato determinato dalla riflessione sul concetto astratto di «homo oeconomicus» proprio dell’economia classica. Posto che tale astrazione ha una portata e un valore puramente «metodologici» o addirittura di tecnica della scienza (cioè immediato ed empirico), è da vedere come il Croce abbia elaborato tutto il sistema dei «distinti». In ogni modo tale elaborazione, come del resto molte altre parti del sistema crociano, avrebbe avuto origine dallo studio dell’economia
§ L’idealismo attuale fa coincidere verbalmente ideologia e filosofia (ciò che, in ultima analisi, non è altro che uno degli aspetti dell’unità superficiale postulata da esso fra reale e ideale, fra teoria e pratica ecc.) ciò che rappresenta una degradazione della filosofia tradizionale rispetto all’altezza cui l’aveva portata il Croce con la cosiddetta dialettica dei «distinti». Tale degradazione è visibilissima negli sviluppi (o involuzioni) che l’idealismo attuale mostra nei discepoli del Gentile: i «Nuovi Studi» di Ugo Spirito e A. Volpicelli sono il documento più vistoso di questo fenomeno. L’unità di ideologia e filosofia, quando è affermata in questa forma, crea una nuova forma di sociologismo, né storia né filosofia, cioè, ma un insieme di schemi verbali astratti, sorretti da una fraseologia tediosa e pappagallesca. La resistenza del Croce a questa tendenza è veramente «eroica»: il Croce ha viva la consapevolezza che tutti i movimenti del pensiero moderno conducono a una rivalutazione trionfale della filosofia della prassi, cioè al capovolgimento della posizione tradizionale dei problemi filosofici e alla dissoluzione della filosofia intesa nel modo tradizionale. Il Croce resiste con tutte le sue forze alla pressione della realtà storica, con una intelligenza eccezionale dei pericoli e dei
Questo spostamento del Croce dalla posizione «critica» a una posizione tendenzialmente pratica e di preparazione all’azione politica effettiva (nei limiti consentiti dalle circostanze e dalla posizione sociale del Croce) è molto significativo. Che importanza può aver avuto il suo libro sulla
È da ricordare tuttavia la lettera di Orazio Raimondo riportata da G. Castellano nella sua Fioravante? Polidori) dove appare il teismo massonico in tutta la sua spiegatezza ed evidenza.
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Antonio Labriola nello scritto
Questa proposizione, sia nell’impiego fattone da Hegel, sia in quello fattone dalla filosofia della prassi, è da confrontare col parallelo, fatto dallo stesso Hegel e che ha uno spunto nella
Questo «modello» della formazione degli Stati moderni può ripetersi in altre condizioni? È ciò da escludere in senso assoluto, oppure può dirsi che almeno in parte si possono avere sviluppi simili, sotto forma di avvento di economie programmatiche? Può escludersi per tutti gli Stati o solo per i grandi? La quistione è di somma importanza, perché il modello Francia-Europa ha creato una mentalità, che per
Una quistione importante connessa alla precedente è quella dell’ufficio che hanno creduto di avere gli intellettuali in questo lungo processo di fermentazione politico-sociale covata dalla Restaurazione. La filosofia classica tedesca è la filosofia di questo periodo, essa vivifica i movimenti liberali nazionali dal 48 al 70. A questo proposito è anche da richiamare il parallelo hegeliano (e della filosofia della prassi) tra la pratica francese e la speculazione tedesca. In realtà il parallelo può essere esteso: ciò che è «pratica» per la classe fondamentale diventa «razionalità» e speculazione per i suoi intellettuali (su questa base di rapporti storici è da spiegare tutto l’idealismo filosofico moderno).
La concezione dello Stato secondo la funzione produttiva delle classi sociali non può essere applicata meccanicamente all’interpretazione della storia italiana ed europea dalla Ri
A questo proposito si può osservare che alcuni criteri tradizionali di valutazione storica e culturale del
La quistione è complessa, irta di contraddizioni e perciò deve essere approfondita. In ogni modo, gli intellettuali meridionali nel Risorgimento appaiono con chiarezza essere questi studiosi del «puro» Stato, dello Stato in sé. E ogni volta che gli intellettuali dirigono la vita politica, alla concezione dello Stato in sé segue tutto il corteo reazionario che ne è la compagnia d’obbligo.