Le note contenute in questo quaderno, come negli altri, sono state scritte a penna corrente, per segnare un rapido promemoria. Esse sono tutte da rivedere e controllare minutamente, perché contengono certamente inesattezze, falsi accostamenti, anacronismi. Scritte senza aver presenti i libri cui si accenna, è possibile che dopo il controllo, debbano essere radicalmente corrette perché proprio il contrario di ciò che è scritto risulti vero.
DI CARATTERE STORICO-CRITICO
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(Un esempio tipico della culla che diventa tutta la vita è offerto dal protezionismo doganale, che è sempre propugnato e giustificato come «culla» ma tende a diventare una culla eterna).
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Gentile col suo seguito di Volpicelli, Spirito, ecc. (è da vedere il gruppo di collaboratori al «Giornale critico della filosofia italiana») si può dire che ha instaurato un vero e proprio «secentismo» letterario, poiché nella filosofia le arguzie e le frasi fatte sostituiscono il pensiero. Tuttavia il paragone di questo gruppo a quello dei Bauer satireggiato nella
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§ Antonino Lovecchio,
Uno degli errori teorici più gravi del Ciccotti pare consista nell’interpretazione sbagliata del principio vichiano che il «certo si converte nel vero». La storia non può essere che certezza (con l’approssimazione della ricerca della «certezza»). La conversione del «certo» nel «vero» può dar luogo a costruzioni filosofiche (della così detta storia eterna) che non hanno che poco in comune con la storia «effettuale»: ma la storia deve essere «effettuale» e non romanzata: la sua certezza deve essere prima di tutto certezza dei documenti storici (anche se la storia non si esaurisce
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§ altra classe alla quale sia proibito l’organizzarsi, come avveniva nel Medio Evo e anche nel mondo classico con ogni probabilità; l’artigiano romano poteva servirsi degli schiavi come lavoranti ed essi non appartenevano certo ai collegia e non è escluso che, nella stessa plebe, qualche categoria non servile fosse esclusa dall’organizzazione.
I.
§ Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso che la filosofia sia un alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali e sistematici. Occorre pertanto dimostrare preliminarmente che tutti gli uomini sono «filosofi», definendo i limiti e i caratteri di questa «filosofia spontanea», propria di «tutto il mondo», e cioè della filosofia che è contenuta: 1) nel linguaggio stesso, che è un insieme di nozioni e di concetti determinati e non già e solo di parole grammaticalmente vuote di contenuto; 2) nel senso comune e buon senso; 3) nella religione popolare e anche quindi in tutto il sistema di credenze, superstizioni, opinioni, modi di vedere e di operare che si affacciano in quello che generalmente si chiama «folclore».
Avendo dimostrato che tutti sono filosofi, sia pure a modo loro, inconsapevolmente, perché anche solo nella minima manifestazione di una qualsiasi attività intellettuale, il «linguaggio», è contenuta una determinata concezione del mondo, si passa al secondo momento, al momento della critica e della consapevolezza, cioè alla quistione: è preferibile «pensare» senza averne consapevolezza critica, in modo disgregato e occasionale, cioè «partecipare» a una concezione del mondo «imposta» meccanicamente dall’ambiente esterno, e cioè da uno dei tanti gruppi sociali nei quali ognuno è automaticamente coinvolto fin dalla sua entrata nel mondo cosciente (e che può essere il proprio villaggio o la provincia, può avere origine nella parrocchia e nell’«at
Connessione tra il senso comune, la religione e la filosofia. La filosofia è un ordine intellettuale, ciò che non possono essere né la religione né il senso comune. Vedere come, nella realtà, neanche religione e senso comune coincidono, ma la religione è un elemento del disgregato senso comune. Del resto «senso comune» è nome collettivo, come «religione»: non esiste un solo senso comune, ché anche esso è un prodotto e un divenire storico. La filosofia è la critica e il superamento della religione e del senso comune e in tal senso coincide col «buon senso» che si contrappone al senso comune.
Relazioni tra scienza – religione – senso comune. La religione e il senso comune non possono costituire un ordine intellettuale perché non possono ridursi a unità e coerenza neanche nella coscienza individuale per non parlare della coscienza collettiva: non possono ridursi a unità e coerenza «liberamente» perché «autoritativamente» ciò potrebbe avvenire come infatti è avvenuto nel passato entro certi limiti. Il problema della religione intesa non nel senso confessionale ma in quello laico di unità di fede tra una concezione del mondo e una norma di condotta conforme; ma perché chiamare questa unità di fede «religione» e non chiamarla «ideologia» o addirittura «politica»?
Non esiste infatti la filosofia in generale: esistono diverse filosofie o concezioni del mondo e si fa sempre una scelta tra di esse. Come avviene questa scelta? È questa scelta un fatto meramente intellettuale o più complesso? E non avviene spesso che tra il fatto intellettuale e la norma di condotta ci sia contraddizione? Quale sarà allora la reale concezione del mondo: quella logica
Occorre dunque spiegare come avviene che in ogni tempo coesistano molti sistemi e correnti di filosofia, come nascono, come si diffondono, perché nella diffusione seguono certe linee di frattura e certe direzioni ecc. Ciò mostra quanto sia necessario sistemare criticamente e coerentemente le proprie intuizioni del mondo e della vita, fissando con esattezza cosa deve intendersi per «sistema» perché non sia capito nel senso pedantesco e professorale della parola. Ma questa elaborazione deve essere e può solo essere fatta nel quadro della storia della filosofia
Quale è l’idea che il popolo si fa della filosofia? Si può ricostruire attraverso i modi di dire del linguaggio comune. Uno dei più diffusi è quello di «prendere le cose con filosofia», che, analizzato, non è poi da buttar via del tutto. È vero che in esso è contenuto un invito implicito alla rassegnazione e alla pazienza, ma pare che il punto più importante sia invece l’invito alla riflessione, a rendersi conto e ragione che ciò che succede è in fondo razionale e che come tale occorre affrontarlo, concentrando le proprie forze razionali e non lasciandosi trascinare dagli impulsi istintivi e violenti. Si potrebbero raggruppare questi modi di dire popolari con le espressioni simili degli scrittori di carattere popolare – prendendole dai grandi vocabolari – in cui entrano i termini di «filosofia» e «filosoficamente» e si potrà vedere che questi hanno un significato molto preciso, di superamento delle passioni bestiali ed elementari in una concezione della necessità che dà al proprio operare una direzione consapevole. È questo il nucleo sano del senso comune, ciò che appunto potrebbe chiamarsi buon senso e che merita di essere sviluppato e reso unitario e coerente. Così appare che anche perciò non è possibile disgiungere quella che si chiama filosofia «scientifica» da quella filosofia «volgare» e popolare che è solo un insieme disgregato di idee e opinioni.
Ma a questo punto si pone il problema fondamentale di ogni concezione del mondo, di ogni filosofia, che sia diventata un movimento culturale, una «religione», una «fede», cioè che abbia
Una delle maggiori debolezze delle filosofie immanentistiche in generale consiste appunto nel non aver saputo creare una unità ideologica tra il basso e l’alto, tra i «semplici» e gli intellettuali. Nella storia
(Forse è utile «praticamente» distinguere la filosofia dal senso comune per meglio indicare il passaggio dall’uno all’altro momento: nella filosofia sono specialmente spiccati i caratteri di elaborazione individuale del pensiero, nel senso comune invece i caratteri diffusi e dispersi di un pensiero generico di una certa epoca in un certo ambiente popolare. Ma ogni filosofia tende a diventare senso comune di un ambiente anche ristretto – di tutti gli intellettuali –. Si tratta pertanto di elaborare una filosofia che avendo già una diffusione, o diffusività, perché connessa alla vita pratica e implicita in essa, diventi un rinnovato senso comune con la coerenza e il nerbo delle filosofie individuali: ciò non può
Una filosofia della prassi non può che presentarsi inizialmente in atteggiamento polemico e critico, come superamento del modo di pensare precedente e del concreto pensiero esistente (o mondo culturale esistente). Quindi innanzi tutto come critica del «senso comune» (dopo essersi basata sul senso comune per dimostrare che «tutti» sono filosofi e che non si tratta di introdurre ex novo una scienza nella vita individuale di «tutti», ma di innovare e rendere «critica» un’attività già esistente) e quindi della filosofia degli intellettuali, che ha dato luogo alla storia della filosofia, e che, in quanto individuale (e si sviluppa infatti essenzialmente nell’attività di singoli individui particolarmente dotati) può considerarsi come le «punte» di progresso del senso comune, per lo meno del senso comune degli strati più colti della società, e attraverso questi anche del senso comune popolare. Ecco quindi che un avviamento allo studio della filosofia deve esporre sinteticamente i problemi nati nel processo di sviluppo della cultura generale,
Il rapporto tra filosofia «superiore» e senso comune è assicurato dalla «politica», così come è assicurato dalla politica il rapporto tra il cattolicismo degli intellettuali e quello dei «semplici». Le differenze nei due casi sono però fondamentali. Che la chiesa debba affrontare un problema dei «semplici» significa appunto che c’è stata rottura nella comunità dei «fedeli», rottura che non può essere sanata innalzando i «semplici» al livello degli intellettuali (la chiesa non si propone neppure questo compito, idealmente ed economicamente impari alle sue forze attuali), ma con una disciplina di ferro sugli intellettuali perché non oltrepassino certi limiti nella distinzione e non la rendano catastrofica e
La posizione della filosofia della praxis è antitetica a questa cattolica: la filosofia della praxis non tende a mantenere i «semplici» nella loro filosofia primitiva del senso comune, ma invece a condurli a una concezione superiore della vita. Se afferma l’esigenza del contatto tra intellettuali e semplici
L’uomo attivo di massa opera praticamente, ma non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto col suo operare. Si può quasi dire che egli ha due coscienze teoriche (o una coscienza contraddittoria), una implicita nel suo operare e che realmente lo unisce a tutti i suoi collaboratori nella trasformazione pratica della realtà e una superficialmente esplicita o verbale che ha ereditato dal passato e ha accolto senza critica. Tuttavia questa concezione «verbale» non è senza conseguenze: essa riannoda a un gruppo sociale determinato, influisce nella condotta morale, nell’indirizzo della volontà, in modo
Tuttavia, nei più recenti sviluppi della filosofia della praxis, l’approfondimento del concetto di unità della teoria e della pratica non è ancora che ad una fase iniziale: rimangono ancora dei residui di meccanicismo, poiché si parla di teoria come «complemento», «accessorio» della pratica, di teoria come ancella della pratica. Pare giusto che anche questa quistione debba essere impostata storicamente, e cioè come un aspetto della quistione politica degli intellettuali. Autocoscienza critica significa storicamente e politicamente creazione di una élite di intellettuali: una massa umana non si «distingue» e non diventa indipendente «per sé» senza organizzarsi (in senso lato) e non c’è organizzazione senza intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti, cioè senza che l’aspetto teorico del nesso
Che la concezione meccanicistica sia stata una religione di subalterni appare da un’analisi dello sviluppo della religione cristiana, che in un certo periodo storico e in condizioni storiche determinate è stata e continua ad essere una «necessità», una forma necessaria della volontà delle masse popolari, una forma determinata di razionalità del mondo e della vita e dette i quadri generali per l’attività pratica reale. In questo brano di un articolo della «Civiltà Cattolica» (
Ma la posizione del calvinismo, con la sua concezione ferrea della predestinazione e della grazia, che determina una vasta espansione di spirito di iniziativa (o diventa la forma di questo movimento) è ancora più espressiva e significativa. (A questo proposito si può vedere: Max Weber,
Perché e come si diffondono, diventando popolari, le
Ma queste considerazioni conducono alla conclusione di una estrema labilità nelle convinzioni nuove delle masse popolari, specialmente se queste nuove convinzioni sono in contrasto con le convinzioni (anche nuove) ortodosse, socialmente conformiste secondo gli interessi generali delle classi dominanti. Si può vedere questo riflettendo
È evidente che una costruzione di massa di tal genere non può avvenire «arbitrariamente», intorno a una qualsiasi ideologia, per la volontà formalmente costruttiva di una
Questi svolgimenti pongono molti problemi, i più importanti dei quali si riassumono nel modo e nella qualità dei rapporti tra i vari strati intellettualmente qualificati, cioè nell’importanza e nella funzione che deve e può avere l’apporto creativo dei gruppi superiori in connessione con la capacità organica di discussione e di svolgimento di nuovi concetti critici da parte degli strati subordinati intellettualmente. Si tratta cioè di fissare i limiti della libertà di discussione e di propaganda, libertà che non deve essere intesa nel senso amministrativo e poliziesco, ma nel senso di autolimite che i dirigenti pongono alla propria attività ossia, in senso proprio, di fissazione di un indirizzo di politica culturale. In altre parole: chi fisserà i «diritti della scienza» e i limiti della ricerca scientifica, e potranno questi diritti e questi limiti essere propriamente fissati? Pare necessario che il lavorio di ricerca di nuove verità e di migliori, più coerenti
§ Un lavoro come il
Nel senso comune predominano gli elementi «realistici», materialistici, cioè il prodotto immediato della sensazione grezza, ciò che d’altronde non è in contraddizione con l’elemento religioso, tutt’altro; ma questi elementi sono «superstiziosi», acritici. Ecco pertanto un pericolo rappresentato dal «Saggio popolare»; il quale spesso conferma questi elementi acritici, per cui il senso comune è ancora rimasto tolemaico, antropomorfico, antropocentrico, invece di criticarli scientificamente. Ciò che si è detto sopra a proposito del
Nella letteratura filosofica francese esistono trattazioni del «senso comune» più che in altre letterature nazionali: ciò è dovuto al carattere più strettamente «popolare-nazionale» della cultura francese, cioè al fatto che gli intellettuali tendono, più che altrove, per determinate condizioni tradizionali, ad avvicinarsi al popolo per guidarlo ideologicamente e tenerlo collegato al gruppo dirigente. Si potrà trovare quindi nella letteratura francese molto materiale sul senso comune da utilizzare ed elaborare; l’atteggiamento della cultura filosofica francese verso il senso comune può offrire anzi un modello di costruzione ideologica egemonica. Anche la cultura inglese e americana possono offrire molti spunti, ma non in modo così completo e organico come quella francese. Il «senso comune» è stato considerato in vari modi; addirittura come base della filosofia; o è stato criticato dal punto di vista di un’altra filosofia. In realtà, in tutti i casi, il risultato fu di superare un determinato senso comune per crearne un altro più aderente alla concezione del mondo del gruppo dirigente. Nelle
Atteggiamento del Croce verso il «senso comune»; non pare chiaro. Nel Croce, la proposizione che ogni uomo è un filosofo, grava troppo sul giudizio intorno al senso comune. Pare che il Croce spesso si compiaccia che determinate proposizioni filosofiche siano condivise dal senso comune, ma che cosa può ciò significare in concreto? Il senso comune è
Per il Gentile è da vedere il suo articolo
Ciò che si è detto finora non significa che nel senso comune non ci siano delle verità. Significa che il senso comune è un concetto equivoco, contradditorio, multiforme, e che ri
Ricordare l’epigramma del Giusti: «Il buon senso, che un dì fu caposcuola – or nelle nostre scuole è morto affatto. – La scienza, sua figliola, – l’uccise per veder com’era fatto». Può servire per introdurre un capitolo e può servire a indicare come si impieghi il termine di buon senso e di senso comune in modo equivoco: come «filosofia», come determinato modo di pensare, con un certo contenuto di credenze e di opinioni, e come atteggiamento benevolmente indulgente, nel suo disprezzo, per l’astruso e il macchinoso. Era perciò necessario che la scienza uccidesse un determinato buon senso tradizionale, per creare un «nuovo» buon senso.
Un accenno al senso comune e alla saldezza delle sue credenze si trova spesso in Marx. Ma si tratta di riferimento non alla validità del contenuto di tali credenze
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La filosofia del
Se l’«idealismo speculativo» è la scienza delle categorie e della sintesi a priori dello spirito, cioè una forma di astrazione antistoricistica, la filosofia implicita nel
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E come potrebbe la previsione essere un atto di conoscenza? Si conosce ciò che è stato o è, non ciò che sarà, che è un «non esistente» e quindi inconoscibile per definizione. Il prevedere è quindi solo un atto pratico che non può, in quanto non sia una futilità o un perditempo, avere altra spiegazione che quella su esposta. È necessario impostare esattamente il problema della prevedibilità degli accadimenti storici per essere in grado di criticare esaurientemente la concezione del causalismo meccanico, per svuotarla di ogni prestigio scientifico e ridurla a puro mito che fu forse utile nel passato, in un periodo arretrato di sviluppo di certi gruppi sociali subalterni (vedere una nota precedente).
Ma è il concetto stesso di «scienza», quale risulta dal
Un appunto che può farsi a molti riferimenti polemici del
È da osservare che molte deficienze del
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È tuttavia da tener conto che nessuna nuova situazione storica, sia pur essa dovuta al mutamento più radicale, trasforma completamente il linguaggio, almeno nel suo aspetto esterno, formale. Ma il contenuto del linguaggio dovrebbe essere mutato, anche se di tale mutazione è difficile avere coscienza esatta immediatamente. Il fenomeno è d’altronde storicamente complesso e complicato
D’altronde non è detto che tutta l’eredità del passato debba essere respinta: ci sono dei «valori strumentali» che non possono non essere accolti integralmente per continuare ad essere elaborati e raffinati. Ma come distinguere il valore strumentale dal valore filosofico caduco e da respingere senz’altro? Spesso avviene che perché si è accettato un valore filosofico caduco di una determinata tendenza passata, si respinge poi un valore strumentale di altra tendenza perché contrastante con la prima, anche se tale valore strumentale sarebbe stato utile ad esprimere il nuovo contenuto storico culturale.
Così si è visto il termine «materialismo» accolto con contenuto passato e invece il termine «immanenza» respinto perché nel passato aveva un determinato contenuto storico culturale. La difficoltà di adeguare l’espressione letteraria al contenuto concettuale e di confondere le quistioni di terminologia con le quistioni sostanziali e viceversa è caratteristica del dilettantismo filosofico, della mancanza di senso storico nel cogliere i diversi momenti di un processo di sviluppo culturale, cioè di una concezione antidialettica
Il termine di «materialismo» nel primo cinquantennio del secolo XIX occorre intenderlo non solo nel significato tecnico filosofico stretto, ma nel significato più estensivo che venne assumendo polemicamente nelle discussioni sorte in Europa col sorgere e lo svilupparsi vittorioso della cultura moderna. Si chiamò materialismo ogni dottrina filosofica che escludesse la trascendenza dal dominio del pensiero e quindi in realtà tutto il panteismo e l’immanentismo non solo, ma si chiamò materialismo anche ogni atteggiamento pratico ispirato al realismo politico, che si opponesse cioè a certe correnti deteriori del romanticismo politico, come le dottrine di Mazzini popolarizzate e che non parlavano che di «missioni», di «ideali» e di altre consimili ne
Una delle ragioni, e forse la prevalente, della riduzione al materialismo metafisico tradizionale del materialismo storico, è da ricercare in ciò che il materialismo storico non poteva non essere una fase prevalentemente critica e polemica della filosofia, mentre si aveva bisogno di un sistema già compiuto e perfetto. Ma i sistemi compiuti e perfetti sono
Un libro da studiare a proposito di questo argomento è la
Su questa quistione è da rivedere ciò che scrive Antonio Labriola nei suoi saggi. Della
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Nella memoria presentata al Congresso di Londra, l’autore del
Il problema invece è questo, mi pare: come si può spiegare che una tale concezione, che non è certo una futilità, anche per un filosofo della praxis, oggi, esposta al pubblico, possa solo provocare il riso e lo sberleffo? Mi pare il caso più tipico della distanza che si è venuta formando tra scienza e vita, tra certi gruppi di intellettuali, che pure sono alla direzione «centrale» dell’alta coltura e le grandi masse popolari: e come il linguaggio della filosofia sia diventato un gergo che ottiene lo stesso effetto di quello di Arlecchino. Ma se il «senso comune» si esilara, il filosofo della praxis dovrebbe lo stesso cercare una spiegazione e del reale significato che la concezione ha, e del perché essa sia nata e si sia diffusa tra gli intellettuali, e anche del perché essa faccia ri
La quistione è strettamente connessa, e si capisce, alla quistione del valore delle scienze così dette esatte o fisiche e alla posizione che esse sono venute assumendo nel quadro della filosofia della praxis di un quasi feticismo, anzi della sola e vera filosofia o conoscenza del mondo.
Ma cosa sarà da intendere per concezione soggettivistica della realtà? Si potrà assumere una qualsiasi delle tante teorie soggettivistiche elucubrate da tutta una serie di filosofi e professori fino a quelle solipsistiche? È evidente che la filosofia della praxis, anche in questo caso, non può che essere messa in rapporto con lo hegelismo, che di questa concezione rappresenta la forma più compiuta e geniale e che delle successive teorie saranno da prendere in considerazione solo alcuni aspetti parziali e i valori strumentali. E occorrerà ricercare le forme bizzarre che la concezione ha assunto sia nei seguaci sia nei critici più o meno intelligenti. Così è da ricordare ciò che scrive il Tolstoi nelle sue memorie di infanzia e di giovinezza: il Tolstoi racconta che si era tanto infervorato per la concezione soggettivistica della realtà, che spesso ebbe il capogiro, perché si voltava di colpo indietro, persuaso di poter cogliere il momento in cui non avreb
Occorre dimostrare che la concezione «soggettivistica», dopo aver servito a criticare la filosofia della trascendenza da una parte e la metafisica ingenua del senso comune e del materialismo filosofico, può trovare il suo inveramento e la sua interpretazione storicistica solo nella concezione delle superstrutture mentre nella sua forma speculativa non è altro che un mero romanzo filosofico. Un accenno a una interpretazione un po’ più realistica del soggettivismo nella filosofia classica tedesca si può trovare in una recensione di G. De Ruggiero a degli scritti postumi (mi pare, lettere) di B. Constant (mi pare) pubblicati nella «Critica» di qualche anno fa.
L’appunto che si deve fare al
La scienza sperimentale è stata (ha offerto) finora
Il concetto di «oggettivo» del materialismo metafisico pare voglia significare una oggettività che esiste anche all’infuori dell’uomo, ma quando si afferma che una realtà esisterebbe anche se non esistesse l’uomo o si fa una metafora o si cade in una forma di misticismo. Noi conosciamo la realtà solo in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è divenire storico anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l’oggettività è un divenire ecc.
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Accordo del cattolicismo con l’aristotelismo sulla quistione dell’oggettività del reale.
Per intendere esattamente i significati che può avere il problema della realtà del mondo esterno, può essere opportuno svolgere l’esempio delle nozioni di «Oriente» e «Occidente» che non cessano di essere «oggettivamente reali» seppure all’analisi si dimostrano niente altro che una «costruzione» convenzionale cioè «storico-culturale» (spesso i termini «artificiale» e «convenzionale» indicano fatti «storici», prodotti dallo sviluppo della civiltà e non già costruzioni razionalisticamente arbitrarie o individualmente artificiose). È da ricordare anche l’esempio contenuto in un libretto di Bertrand Russell tradotto in italiano e stampato in una collezione nuova scientifica della Casa ed. Sonzogno (è uno dei primi volumetti della collezione) Bertrand Russell,
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Si può dire in generale che il progredire delle scienze non può essere documentato materialmente; la storia delle scienze può solo essere ravvivata nel ricordo, e non per tutte, con la descrizione del successivo perfezionarsi degli strumenti che sono stati uno dei mezzi del progresso, e con la descrizione delle macchine che sono state l’applicazione delle scienze stesse. I principali «strumenti» del progresso scientifico sono di ordine intellettuale (e anche politico), metodologico, e giustamente l’Engels ha scritto che gli «strumenti intellettuali» non sono nati dal nulla, non sono innati nell’uomo, ma sono acquisiti, si sono sviluppati e si sviluppano storicamente. Quanto ha contribuito al progresso delle scienze l’espulsione dell’autorità di Aristotele e della Bibbia dal campo scientifico? E questa espulsione non fu dovuta al progresso generale della società moderna? Ricordare l’esempio delle teorie sull’origine delle sorgenti. La prima formulazione esatta del modo con cui si producono le sorgenti si trova nell’
Un’altra quistione è questa: se fosse vera l’affermazione del che che si inizia storicamente con l’avvento del metodo sperimentale, si è sviluppata una particolare scienza, la scienza degli strumenti, strettamente legata allo sviluppo generale della produzione e della tecnologia.
Quanto sia superficiale l’affermazione del
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II. Sarebbe da compilare un registro «ponderato» degli scienziati le cui opinioni sono citate o combattute con qualche diffusione, accompagnando ogni nome con annotazioni
Una scienza nuova raggiunge la prova della sua efficienza e vitalità feconda quando mostra di saper affrontare i grandi campioni delle tendenze opposte, quando risolve coi propri mezzi le quistioni vitali che essi hanno posto o dimostra perentoriamente che tali quistioni sono falsi problemi.
È vero che un’epoca storica e una data società sono piuttosto rappresentate dalla media degli intellettuali e quindi dai mediocri, ma l’ideologia diffusa, di massa, deve essere distinta dalle opere scientifiche, dalle grandi sintesi filosofiche che ne sono poi le reali chiavi di volta e queste devono essere nettamente superate o negativamente, dimostrandone l’infondatezza, o positivamente, contrapponendo sintesi filosofiche di maggiore importanza e significato. Leggendo
III. È possibile scrivere un libro elementare, un manuale, un
IV. Nel
(Anche dopo la grande discussione avvenuta contro il meccanicismo, l’autore del
Posta così la quistione, non si capisce più l’importanza e il significato della dialettica che, da dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica viene degradata a una sottospecie di logica formale, a una scolasti
La seconda origine pare sia di carattere psicologico. Si sente che la dialettica è cosa molto ardua e difficile, in quanto il pensare dialetticamente va contro il volgare senso comune che è dogmatico, avido di certezze perentorie ed ha la logica formale come espressione. Per capire meglio si può pensare a ciò che avverrebbe se nelle scuole primarie e secondarie le scienze naturali e fisiche fossero insegnate sul
Questo motivo mi pare sia un freno psicologico per l’autore del
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Il libro di Henri De Man, se ha un suo valore, lo ha appunto in questo senso: che incita a «informarsi» particolarmente dei sentimenti reali e non di quelli supposti secondo leggi sociologiche, dei gruppi e degli individui. Ma il De Man non ha fatto nessuna scoperta nuova né ha trovato un principio originale che possa superare la filosofia della praxis o dimostrarla scientificamente errata o sterile: ha eleva
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Nel
Tutti questi sono problemi «teorici», non quelli che l’autore del
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Si può dire che una gran parte dell’opera filosofica di B. Croce rappresenta questo tentativo di riassorbire la filosofia della praxis e incorporarla come ancella alla cultura tradizionale. Ma come si vede dal
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Nella prefazione alla
È da notare che nel
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Queste osservazioni servono a far capire come l’elemento causale assunto dalle scienze naturali per spiegare la storia umana è un puro arbitrio, quando non è un ritorno alle vecchie interpretazioni ideologiche. Per esempio, il
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Nell’uomo chi sarà questo agente esterno? Nella fabbrica è la divisione del lavoro ecc., condizioni create dall’uomo stesso. Nella società l’insieme delle forze produttive. Ma l’autore del
È da confrontare questo modo di vedere nella concezione della società con la concezione dello Stato proprio degli idealisti attuali. Per gli attualisti lo Stato finisce con l’essere proprio questo qualcosa di superiore agli individui (sebbene dopo le conseguenze che lo Spirito ha tratto a proposito della proprietà dell’identificazione idealistica dell’individuo e dello Stato, il Gentile nell’«Educazione fascista» dell’agosto 1932 ha precisato prudentemente). La concezione degli attualisti volgari era caduta così in basso nel puro psittacismo che l’unica critica possibile era la caricatura umoristica. Si poteva pensare una recluta che agli ufficiali arruolatori espone la teoria dello Stato superiore agli individui e domanda che lascino libera la sua persona fisica e materiale e arruolino quel tantino di qualcosa che contribuisce a costruire il qualcosa nazionale che è lo Stato. O ricordare la storia del
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Così il
Dalle
§ L’affermazione di Eddington: «Se nel corpo di un uomo eliminassimo tutto lo spazio privo di materia e riunissimo i suoi protoni ed elettroni in una sola massa, l’uomo (il corpo dell’uomo) sarebbe ridotto a un corpuscolo appena visibile al microscopio» (cfr.
In realtà si tratta di puri giochi di parole, di scienza romanzata, non di un nuovo pensiero scientifico o filosofico, di un modo di porre le questioni atto solo a far fantasticare le teste vuote. Forse la materia vista al microscopio non è più materia realmente oggettiva, ma una creazione dello spirito umano che non esiste oggettivamente o empiricamente? Si potrebbe ricordare, a questo proposito, la novellina ebrea della ragazza che ha subito un guasto piccolo, piccolo, tic... come un colpetto d’unghia. Nella fisica di Eddington e in molte altre manifestazioni scientifiche moderne, la sorpresa del lettore ingenuo dipende dal fatto che le parole adoperate per indicare determinati fatti sono piegate ad indicare arbitrariamente fatti assolutamente diversi. Un corpo rimane «massiccio» nel senso tradizionale anche se la «nuova» fisica dimostra che esso è costituito di 1 / 1.000.000 di materia e di 999.999 parti di vuoto. Un corpo è «poroso» nel senso tradizionale e non lo diventa nel senso della «nuova» fisica anche dopo l’affermazione di Eddington. La posizione dell’uomo rimane la stessa, nessuno dei concetti fondamentali della vita viene minimamente scosso e tanto meno capovol
Il prof. Mario Camis («
Ciò che pertanto osserva il Camis non ha nessuna coerenza con le fantasticherie del Borgese e delle sue fonti. Se fosse vero che i fenomeni infinitamente piccoli in questione non si possono considerare esistenti indipendentemente dal soggetto che li osserva, essi in realtà non sarebbero neppure «osservati», ma «creati» e cadrebbero nello stesso dominio della pura intuizione fantastica dell’individuo. Sarebbe anche da porre la quistione se lo stesso individuo può «due volte» creare (osservare) lo stesso fatto. Non si tratterebbe neppure di «solipsismo» ma di demiurgia o di stregoneria. Non i fenomeni (inesistenti) ma queste intuizioni fantastiche sarebbero allora oggetto di scienza, come le opere d’arte. Il gregge degli scienziati, che non gode di facoltà demiurgiche, studierebbe scientificamente il piccolo gruppo dei grandi scienziati taumaturghi. Ma se invece, nonostante tutte le difficoltà pratiche inerenti alla diversa sensibilità individuale, il fenomeno si ripete, e può essere
Si tratta, in ogni modo, di una fase transitoria e iniziale di una nuova epoca scientifica, che ha prodotto, combinan
§ Raccogliere le principali definizioni che sono state date della scienza (nel senso di scienza naturale). «Studio dei fenomeni e delle loro leggi di somiglianza (regolarità), di coesistenza (coordinazione), di successione (causalità)». Altre tendenze, tenendo conto dell’ordinamento più comodo che la scienza stabilisce tra i fenomeni, in modo da poterli meglio far padroneggiare dal pensiero e dominarli per i fini dell’azione, definiscono la scienza come «la descrizione più economica della realtà». La quistione più importante da risolvere intorno al concetto di scienza è questa: se la scienza può dare, e in che modo, la «certezza» dell’esistenza obbiettiva della così detta realtà esterna. Per il senso comune la quistione non esiste neppure; ma da che cosa è originata la certezza del senso comune? Essenzialmente dalla religione (almeno dal cristianesimo in occidente); ma la religione è un’ideologia, l’ideologia più radicata e diffusa, non una prova o una dimostrazione. Si può sostenere come sia un errore domandare alla scienza come tale la prova dell’obbiettività del reale, poiché questa obbiettività è una concezione del mondo, una filosofia e non può essere un dato scientifico. Cosa può dare la scienza in questa direzione? La scienza seleziona le sensazioni, gli elementi primordiali della
Se è così, ciò che interessa la scienza non è tanto dunque l’oggettività del reale, ma l’uomo che elabora i suoi metodi di ricerca, che rettifica continuamente i suoi strumenti materiali che rafforzano gli organi sensori e gli strumenti logici (incluse le matematiche) di discriminazione e di accertamento, cioè la cultura, cioè la concezione del mondo, cioè il rapporto tra l’uomo e la realtà con la mediazione della tecnologia. Anche nella scienza cercare la realtà fuori degli uomini, inteso ciò nel senso religioso o metafisico, appare niente altro che un paradosso. Senza l’uomo, cosa significherebbe la realtà dell’universo? Tutta la scienza è legata ai bisogni, alla vita, all’attività dell’uomo. Senza l’attività dell’uomo, creatrice di tutti i valori, anche scientifici, cosa sarebbe l’«oggettività»? Un caos, cioè niente, il vuoto, se pure così si può dire, perché realmente, se si immagina che non esiste l’uomo, non si può immaginare la lingua e il pensiero. Per la filosofia della praxis l’essere non può essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto dall’oggetto; se si fa questo distacco si cade in una delle tante forme di religione o nell’astrazione senza senso.
§ Porre la scienza a base della vita, fare della scienza la concezione del mondo per eccellenza, quella che snebbia gli occhi da ogni illusione ideologica, che pone l’uomo dinanzi alla realtà così come obbiezione nozione obbiettiva: essa appare sempre rivestita da una ideologia e concretamente è scienza l’unione del fatto obbiettivo con un’ipotesi o un sistema d’ipotesi che superano il mero fatto obbiettivo. È vero però che in questo campo è relativamente facile distinguere la nozione obbiettiva dal sistema d’ipotesi, con un processo di astrazione che è insito nella stessa metodologia scientifica, in modo che si può appropriarsi dell’una e respingere l’altro. Ecco perché un gruppo sociale può appropriarsi la scienza di un altro gruppo senza accettarne l’ideologia (l’ideologia dell’evoluzione volgare, per esempio) così che le osservazioni in proposito del Missiroli (e del Sorel) cadono.
§ È da notare che accanto alla più superficiale infatuazione per le scienze, esiste in realtà la più grande ignoranza dei fatti e dei metodi scientifici, cose molto difficili e che sempre più diventano difficili per il progressivo specializzarsi di nuovi rami di ricerca. La superstizione scientifica porta con sé illusioni così ridicole e concezioni così infantili che la stessa superstizione religiosa ne viene nobilitata. Il progresso scientifico ha fatto nascere la credenza e l’aspettazione di un nuovo tipo di Messia, che realizzerà in questa terra il paese di Cuccagna;
IV.
§ Cfr. Mario Govi,
Questi cenni sono tratti dall’articolo
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È da porre addirittura la quistione se l’idealismo moderno e particolarmente il crocismo, con la sua riduzione della filosofia a una metodologia della storia non sia essenzialmente una «tecnica»; se lo stesso concetto di «speculazione» non sia essenzialmente una ricerca «tecnica», intesa certo in un significato superiore, meno estrinseco e materiale della ricerca che culminò nella costruzione della scolastica logica formale. Non pare che sia lontano da un tale punto di vista Adolfo Omodeo quando scrive («Critica» del 20 luglio 1932, p. 295): (Il Loisy) «che aveva fatto l’esperienza dei sistemi di teologia, diffida di quelli di filosofia. Teme che una formula di sistema uccida ogni interesse per la storia concreta, che una deduzione più o meno dialettica annienti la pienezza umana dell’effettiva formazione spirituale. E in vero, in tutte le filosofie post-kantiane insieme con l’avviamento ad una visione panistorica, è attiva una tendenza metaistorica che vorrebbe dare di per sé un concetto metafisico dello spirito. Il Loisy avverte lo stesso bisogno che in Italia ha generato il tentativo di ridurre la filosofia a mera metodologia astratta della storia, contro la boria
Nell’affermazione dell’Engels è da vedere, sia pure espressa in termini non rigorosi, questa esigenza metodica, che è tanto più viva quanto più il riferimento sottinteso è fatto non per gli intellettuali e per le così dette classi colte, ma per le masse popolari incolte, per le quali è necessaria ancora la conquista della logica formale, della più elementare grammatica del pensiero e della lingua. Potrà sorgere la quistione del posto che una tale tecnica deve occupare nei quadri della scienza filosofica, se essa cioè faccia parte della scienza come tale, già elaborata, o della propedeutica scientifica, del processo di elaborazione come tale. (Così nessuno può negare l’importanza, in chimica, dei corpi catalitici, perché di essi non rimane traccia nel risultato finale). Anche per la dialettica si presenta lo stesso problema: essa è un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia, ma è anche perciò una nuova tecnica. Il principio della distinzione, sostenuto dal Croce, e pertanto tutte le sue polemiche con l’attualismo gentiliano, non sono anche quistioni tecniche? Si può staccare il fatto tecnico da quello filosofico? Lo si può però isolare ai fini pratici didascalici. E infatti è da notare l’importanza che ha la tecnica del pensiero nella costruzione dei programmi didattici. Né si può fare il paragone tra la tecnica del pensiero e le vecchie retoriche. Queste né creavano artisti, né creavano il gusto, né davano criteri per apprezzare la bellezza: erano utili solo per creare un «conformismo» culturale, e un linguaggio da conversazione tra letterati. La tecnica del pensiero, elaborata come tale, non
Sarebbe interessante un esame comparativo della tecnica del senso comune, della filosofia dell’uomo della strada, e la tecnica del pensiero riflesso e coerente. Anche in questo riguardo vale l’osservazione del Macaulay sulle debolezze lo
Tutto questo argomento deve essere ben studiato, dopo aver raccolto tutto il materiale possibile in proposito. È da connettere a questo argomento la quistione, sollevata dai pragmatisti, sul linguaggio come causa di errore: Prezzolini, Pareto, ecc. È da approfondire la quistione dello studio della tecnica del pensiero come propedeutica, come processo di elaborazione, ma occorre esser cauti perché l’immagine di «strumento» tecnico può trarre in errore. Tra «tecnica» e «pensiero in atto» esistono più identità che non esistano nelle scienze sperimentali tra «strumenti materiali» e scienza propriamente detta. Forse un astronomo che non sappia servirsi dei suoi strumenti è concepibile (può avere da altri il materiale di ricerca da elaborare matematicamente) perché i rapporti tra «astronomia» e «strumenti astronomici» sono esteriori e meccanici e anche in astronomia esiste una tecnica del pensiero oltre alla tecnica degli strumenti materiali. Un poeta può non saper leggere e scrivere: in un certo senso anche un pensatore può farsi leggere e scrivere tutto ciò che lo interessa degli altri o egli ha già pensato. Perché il leggere e scrivere si riferiscono alla memoria, sono un aiuto della memoria. La tecnica del pensiero non può essere paragonata a queste operazioni, per cui si possa dire che importa insegnare questa tecnica come importa insegnare a leggere e a scrivere senza che ciò interessi la filosofia come il leggere e lo scrivere non interessa il poeta come tale.
«Gli strumenti mentali e morali di cui l’uomo dispone sono sempre i medesimi (?); l’osservazione, l’esperimento, il ragionamento induttivo e deduttivo, l’abilità manuale (?) e la fantasia inventiva. A seconda del
Esempi di un ragionare semplicisticamente che, secondo l’opinione comune, è il modo di ragionare della grande mag
Il ragionamento di don Ferrante è impeccabile formalmente, ma errato nelle premesse di fatto e nella presunzione del ragionatore, onde nasce il senso di umorismo.
Il modo di ragionare di Iliic nella novella di Tolstoi
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§ Nel 1921 trattando di quistioni di organizzazione Vilici scrisse e disse (press’a poco) così: non abbiamo saputo «tradurre» nelle lingue europee la nostra lingua.
§ È da risolvere il problema: se la traducibilità reciproca dei vari linguaggi filosofici e scientifici sia un elemento «critico» proprio di ogni concezione del mondo o solamente proprio della filosofia della prassi (in modo organico) e solo parzialmente appropriabile da altre filosofie. La traducibilità presuppone che una data fase della civiltà ha una espressione culturale «fondamentalmente» identica, anche se il linguaggio è storicamente diverso, determinato dalla particolare tradizione di ogni cultura nazionale e di ogni sistema filosofico, dal predominio di una attività intellettuale o pratica ecc. Così è da vedere se la traducibilità è possibile tra espressioni di fasi diverse di civiltà, in quanto queste fasi sono momenti di sviluppo una dall’altra, e quindi si integrano a vicenda, o se un’espressione data può essere tradotta coi termini di una fase anteriore di una stessa civiltà, fase anteriore che però è più comprensibile che non il linguaggio dato ecc. Pare si possa dire appunto che solo nella filosofia della prassi la «traduzione» è organica e profonda, mentre da altri punti di vista spesso è un semplice gioco di «schematismi» generici.
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È da vedere se questo principio critico possa essere avvi
La filosofia gentiliana è oggi quella che fa più quistioni di «parole», di «terminologia», di «gergo», che dà per «creazioni» nuove quelle che sono espressioni verbali nuove non sempre molto felici e adeguate. La nota dell’Einaudi ha perciò esasperato Ugo Spirito che non riesce però a rispondere nulla di conclusivo. (Vedere tutta la polemica nella rivista citata).
A. Ravà nel suo libro
Il paragone venne ripetuto moltissime volte nel corso dell’Ottocento (dal Marx, per es., nella
Tutta la quistione sarebbe da rivedere, ristudiando i riferimenti dati dal Croce e dal Ravà, cercandone altri, per inquadrarli nella quistione che è argomento della rubrica e cioè che due strutture fondamentalmente simili hanno superstrutture «equivalenti» e reciprocamente traducibili, qualunque sia il linguaggio particolare nazionale. Di questo fatto avevano coscienza i contemporanei della rivoluzione francese e ciò è di sommo interesse. (Le note del Croce sul paragone carducciano tra Robespierre e Kant sono pubblicate nella II Serie delle
VI.
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D’altronde, da questo punto di vista, occorre distinguere tra i due fondatori della filosofia della prassi, il cui linguaggio non ha la stessa origine culturale e le cui metafore riflettono interessi diversi.
Un altro spunto «linguistico» è legato allo sviluppo delle scienze giuridiche: si dice nell’introduzione alla
A questo stesso ordine di osservazioni appartiene l’altra quistione riguardante il fatto che le soprastrutture sono considerate come mere e labili «apparenze». Anche in questo «giudizio» è da vedere più un riflesso delle discussioni nate sul terreno delle scienze naturali (della zoologia e della classificazione delle specie, della scoperta che l’«anatomia» deve essere posta alla base delle classificazioni) che un derivato coerente del materialismo metafisico, per il quale i fatti spirituali
L’atteggiamento «psicologico» che sostanzia l’affermazione dell’«apparenza» delle superstrutture, potrebbe essere paragonato all’atteggiamento che si è verificato in certe epoche (anch’esse «materialistiche» e «naturalistiche»!) verso la «donna» e l’«amore». Si vedeva una graziosa giovanetta, fornita di tutti quei pregi fisici che tradizionalmente destano il giudizio di «amabilità». L’uomo «pratico» valutava la sua struttura «scheletrica», l’ampiezza del «bacino», cercava di conoscere sua madre e sua non
Nel giudizio di «apparenza» delle superstrutture c’è un fatto dello stesso genere: un «disinganno», un pseudopessimismo ecc. che scompare di colpo quando si è «conquistato» lo Stato e le superstrutture sono quelle del proprio mondo intellettuale e morale. E infatti queste deviazioni dalla filosofia della prassi sono in gran parte legate a gruppi di intellettuali «vagabondi» socialmente, disincantati ecc., disancorati, ma pronti ad ancorarsi in qualche buon porto.
§ Serie di concetti e di posizioni filosofiche da esaminare in una introduzione allo studio della filosofia: trascendenza, teologia, filosofia speculativa, storicismo specu
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Date queste condizioni in cui è nata l’economia classica, perché si possa parlare di una nuova «scienza» o di una nuova impostazione della scienza economica (il che è lo stesso) occorrerebbe aver dimostrato che si sono venuti rilevando nuovi rapporti di forze, nuove condizioni, nuove premesse, che cioè si è «determinato» un nuovo mercato con un suo proprio nuovo «automatismo» e fenomenismo che si presenta come qualcosa di «obbiettivo», paragonabile all’automatismo dei fatti naturali. La economia classica ha dato luogo a una «critica dell’economia politica» ma non pare che finora sia possibile una nuova scienza o una nuova impostazione del problema scientifico. La «critica» dell’economia politica parte dal concetto della
Da queste considerazioni occorre prendere le mosse per stabilire ciò che significa «regolarità», «legge», «automatismo» nei fatti storici. Non si tratta di «scoprire» una legge metafisica di «determinismo» e neppure di stabilire una legge «generale» di causalità. Si tratta di rilevare come nello svolgimento storico si costituiscano delle forze relativamente «permanenti», che operano con una certa regolarità e automatismo. Anche la legge dei grandi numeri, sebbene sia molto utile come termine di paragone, non può essere assunta come la «legge» dei fatti storici. Per stabilire l’origine storica di questo elemento della filosofia della prassi (elemento che è poi, nientemeno, il suo particolare modo di concepire l’«immanenza») occorrerà studiare l’impostazione che delle leggi economiche fu fatta da Davide Ricardo. Si tratta di vedere che il Ricardo non ha avuto importanza nella fondazione della filosofia della prassi solo per il concetto del «valore» in
(Così è da vedere il concetto filosofico di «caso» e di «legge», il concetto di una «razionalità» o di una «provvidenza» per cui si finisce nel teleologismo trascendentale se non trascendente e il concetto di «caso», come nel materialismo metafisico «che il mondo a caso pone»).
Appare che il concetto di «necessità» storica è strettamente connesso a quello di «regolarità» e di «razionalità». La «necessità» nel senso «speculativo-astratto» e nel senso «storico-concreto». Esiste necessità quando esiste una
Come si è detto, solo per questa via si può giungere a una concezione storicistica (e non speculativa-astratta) della «razionalità» nella storia (e quindi dell’«irrazionalità»).
Concetti di «provvidenza» e di «fortuna» nel senso in cui sono adoperati (speculativamente) dai filosofi idealisti italiani e specialmente dal Croce; occorrerà vedere il libro del Croce su G. B. Vico, in cui il concetto di «provvidenza» è tradotto in termini speculativi e in cui si dà inizio all’interpretazione idealistica della filosofia vichiana. Per il significato di «fortuna» nel Machiavelli è da vedere Luigi Russo (nota a p. 23 dell’edizione del
Il Russo ondeggia in seguito nella sua analisi. Per lui il concetto di
Sulla lenta formazione metafisica di questi concetti, per il periodo premachiavellico, il Russo rimanda al Gentile,
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Affermazione di S. Tomaso e della scolastica: «Intellectus speculativus extensione fit practicus», la teoria per semplice estensione si fa pratica, cioè affermazione della necessaria connessione tra l’ordine delle idee e quello dell’azione.
Aforisma del Leibnitz, tanto ripetuto dagli idealisti italiani: «quo magis speculativa, magis practica» detto della scienza.
La proposizione di G. B. Vico «verum ipsum factum» tanto discussa e variamente interpretata (cfr. il libro del Croce sul Vico e altri scritti polemici del Croce stesso) e che il Croce svolge nel senso idealistico che il conoscere sia un fare e che si conosce ciò che si fa, in cui «fare» ha un particolare significato, tanto particolare che poi significa niente altro che «conoscere» cioè si risolve in una tautologia (concezione che tuttavia deve essere messa in relazione colla concezione propria della filosofia della prassi).
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Si può dire che la massima di Kant è connessa al tempo, all’illuminismo cosmopolita, e alla concezione critica dell’autore, cioè è legata alla filosofia degli intellettuali come
§ Cosa è la filosofia? Un’attività puramente ricettiva o tutto al più ordinatrice, oppure una attività assolutamente creativa? Occorre definire cosa s’intende per «ricettivo», «ordinatore», «creativo». «Ricettivo» implica la certezza di un mondo esterno assolutamente immutabile, che esiste «in generale»; obbiettivamente nel senso volgare del termine. «Ordinatore» si avvicina a «ricettivo»: sebbene implichi un’attività nel pensiero, questa attività è limitata e angusta. Ma cosa significa «creativo»? Significherà che il mondo esterno è creato dal pensiero? Ma da qual pensiero e di chi? Si può cadere nel solipsismo e infatti ogni forma di idealismo cade nel solipsismo necessariamente. Per sfuggire al solipsismo e nello stesso tempo alle concezioni meccanicistiche che sono implicite nella concezione del pensiero come attività ricettiva e ordinatrice, occorre porre la quistione «storicisticamente» e nello stesso tempo porre a base della filosofia la «volontà» (in ultima analisi l’attività pratica o politica), ma una volontà razionale, non arbitraria, che si realizza in quanto corrisponde a necessità obbiettive storiche, cioè in quanto è la stessa storia universale nel momento della sua attuazione progressiva; se questa volontà è rappresentata inizialmente da un singolo individuo, la sua razionalità è documentata da ciò che essa viene accolta dal gran numero, e accolta permanentemente, cioè diventa una cultura, un «buon senso», una concezione del mondo con una etica conforme alla sua struttura. Fino alla filosofia classica tedesca, la filosofia fu concepita come attività ricettiva o al massimo ordinatrice, cioè fu concepita come conoscenza di un meccanismo obbiettivamente funzionante all’infuori dell’uomo. La filosofia classica tedesca introdusse il concetto di «creatività» del pensiero, ma in senso ideali
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Hegel rappresenta, nella storia del pensiero filosofico, una parte a sé, poiché, nel suo sistema, in un modo o nell’altro pur nella forma di «romanzo filosofico», si riesce a comprendere cos’è la realtà, cioè si ha, in un solo sistema e in un solo filosofo, quella coscienza delle contraddizioni che prima risultava dall’insieme dei sistemi, dall’insieme dei filosofi, in polemica tra loro, in contraddizione tra loro.
In un certo senso, pertanto, la filosofia della prassi è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intero gruppo sociale, non solo comprende le contrad
Ma se anche la filosofia della prassi è una espressione delle contraddizioni storiche, anzi ne è l’espressione più compiuta perché consapevole, significa che essa pure è legata alla «necessità» e non alla «libertà» che non esiste e non può ancora esistere storicamente. Dunque, se si dimostra che le contraddizioni spariranno, si dimostra implicitamente che sparirà, cioè verrà superata, anche la filosofia della prassi: nel regno della «libertà» il pensiero, le idee non potranno più nascere sul terreno delle contraddizioni e della necessità di lotta. Attualmente il filosofo (della prassi) può solo fare questa affermazione generica e non andare più oltre: infatti egli non può evadere dall’attuale terreno delle contraddizioni, non può affermare, più che genericamente, un mondo senza contraddizioni, senza creare immediatamente una utopia.
Ciò non significa che l’utopia non possa avere un valore filosofico, poiché essa ha un valore politico, e ogni politica implicitamente è una filosofia sia pure sconnessa e in abbozzo. In questo senso la religione è la più gigantesca utopia, cioè la più gigantesca «metafisica», apparsa nella storia, poiché essa è il tentativo più grandioso di conciliare in forma mitologica le contraddizioni reali della vita storica: essa afferma, invero, che l’uomo ha la stessa «natura», che esiste l’uomo in generale, in quanto creato da Dio, figlio di Dio, perciò fratello degli altri uomini, uguale agli altri uomini, libero fra gli altri e come gli altri uomini, e che tale egli si può conce
In questo punto si inserisce un elemento proposto dal Vi
Se la filosofia della prassi afferma teoricamente che ogni «verità» creduta eterna e assoluta ha avuto origini pratiche e ha rappresentato un valore «provvisorio» (storicità di ogni concezione del mondo e della vita), è molto difficile far comprendere «praticamente» che una tale interpretazione è valida anche per la stessa filosofia della prassi, senza scuotere quei convincimenti che sono necessari per l’azione. Questa è, d’altronde, una difficoltà, che si ripresenta per ogni filosofia storicistica: di essa abusano i polemisti a buon mercato (specialmente
Ecco perché la proposizione del passaggio dal regno della necessità a quello della libertà deve essere analizzata ed elaborata con molta finezza e delicatezza.
Perciò avviene anche che la stessa filosofia della prassi tende a diventare una ideologia nel senso deteriore, cioè un sistema dogmatico di verità assolute ed eterne; specialmente quando, come nel
Si può persino giungere ad affermare che mentre tutto il sistema della filosofia della prassi può diventare caduco in un mondo unificato, molte concezioni idealistiche, o almeno alcuni aspetti di esse, che sono utopistiche durante il regno della necessità, potrebbero diventare «verità» dopo il passaggio ecc. Non si può parlare di «Spirito» quando la società è raggruppata, senza necessariamente concludere che si tratti di... spirito di corpo (cosa che è riconosciuta implicitamente quando, come fa il Gentile nel volume sul «Modernismo», si dice, sulle tracce di Schopenhauer, che la religione è la filosofia della moltitudine, mentre la filosofia è la religione degli uomini più eletti, cioè dei grandi intellettuali), ma
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Il più efficace propagatore letterario dell’ideologia è stato Destutt de Tracy (1754-1836) per la facilità e popolarità
Come il concetto di Ideologia
Si può affermare che il Freud sia l’ultimo degli Ideologi e che un «ideologo» sia il De Man, per cui appare tanto più strano l’«entusiasmo» per il De Man del Croce e dei crociani, se non ci fosse una giustificazione «pratica» di tale entusiasmo.
È da esaminare come l’autore del
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La quistione della «obbiettività» della conoscenza secondo la filosofia della prassi può essere elaborata partendo dalla proposizione (contenuta nella prefazione alla
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Realmente il «filosofo» occasionale più difficilmente riesce ad astrarre dalle correnti che dominano nel suo tempo, dalle interpretazioni divenute dogmatiche di una certa concezione del mondo ecc.; mentre invece come scienziato della politica si sente libero da questi
Il saggio
Qual è il significato di questo saggio? Esso risulta chiaramente da tutto l’articolo, che fu scritto nel 1920, ed è una patente falsificazione la noticina introduttiva della «Nuova
A questo punto, si ha l’impressione che il saggio del Sorel sia stato mutilato e che manchi precisamente una parte, riguardante il movimento italiano delle fabbriche: dal testo pubblicato, è possibile immaginare che Sorel abbia trovato nel movimento delle
francese del Sorel, settario meschino, antistorico, è una conseguenza del salasso popolare del 71 (è da vedere in proposito la
Per certi rispetti al Sorel si può accostare il De Man, ma quale differenza tra i due! Il De Man si imbroglia assurdamente nella storia delle idee e si lascia abbagliare dalle superficiali apparenze; se un appunto si può invece muovere al Sorel è proprio in senso contrario, di analizzare troppo minutamente il sostanziale delle idee e di perdere spesso il senso delle proporzioni. Il Sorel trova che una serie di avvenimenti del dopoguerra sono di
Il De Man ha la pretesa pedantesca di porre in luce e in primo piano i così detti «valori psicologici ed etici» del movimento operaio; ma può ciò significare, come pretende il De Man, una confutazione perentoria e radicale della filosofia della prassi?. Ciò sarebbe come dire che il porre in luce il fatto che la grande maggioranza degli uomini è ancora alla fase tolemaica, significhi confutare le dottrine copernicane, o che il folclore debba sostituire la scienza. La filosofia della praxis sostiene che gli uomini acquistano coscienza della loro posizione sociale sul terreno delle ideologie; ha forse escluso il popolo da questo modo di prender coscienza di sé? Ma è osservazione ovvia che il mondo delle ideologie è (nel suo complesso) più arretrato che non i rapporti tecnici di produzione: un negro appena giunto dall’Africa può diventare un dipendente di Ford, pur mantenendosi per molto tempo un feticista e pur rimanendo persuaso che l’antropofagia sia un modo di nutrirsi normale e giustificato. Il De Man, fatta un’inchiesta in proposito, quali conclusioni ne potrebbe trarre? Che la filosofia della praxis debba studiare oggettivamente ciò che gli uomini pensano di sé e degli altri in proposito è fuori dubbio, ma deve supinamente accettare come eterno questo modo di pensare? Non sarebbe questo il peggiore dei meccanicismi e dei fatalismi? Compito di ogni iniziativa storica è di modificare le fasi culturali precedenti, di rendere omogenea la cultura a un livello superiore del precedente ecc. In realtà la filosofia della prassi ha sempre lavorato in quel terreno che il De Man crede di aver scoperto, ma vi ha lavorato per innovare,
Recensione di Paolo Milano nell’«Italia che scrive» del settembre 1929. Il Milano distingue nell’opera del De Man due apporti: 1° la massa di osservazioni psicologiche sulle fasi di sviluppo, le deviazioni, le reazioni contrad
Nella «Civiltà Cattolica» del 7 settembre 1929, nell’articolo
Nei fascicoli della «Civiltà Cattolica» del 5 ottobre e 16 novembre 1929 è pubblicato un saggio molto diffuso sul libro del De Man. L’opera del De Man è reputata «nonostante le sue deficienze, la più importante e, diciamo pure, geniale, di quante finora ne annoveri la letteratura antimarxista». Verso la fine del saggio c’è questa impressione complessiva: «L’A. (il De Man), benché abbia superato una crisi di pensiero respingendo, con gesto magnanimo, il marxismo, è tuttavia ondeggiante, e la sua intelligenza sitibonda di vero non è a pieno soddisfatta. Egli batte sulle soglie della verità, raccoglie dei raggi, ma non si spinge innanzi per tuffarsi nella luce. Auguriamo al De Man che, compien
§ Passaggio dal sapere al comprendere, al sentire, e viceversa, dal sentire al comprendere, al sapere. L’elemento popolare «sente», ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale «sa», ma non sempre comprende e specialmente «sente». I due estremi sono pertanto la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. Non che il pedante non possa essere appassionato, anzi; la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo e la demagogia più sfrenati. L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa
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1) Quella cosidetta ortodossa, rappresentata dal Plekhanov (cfr.
2) La tendenza «ortodossa» ha determinato la sua opposta: di collegare la filosofia della prassi al kantismo o ad altre tendenze filosofiche non positivistiche e materialistiche, fino alla conclusione «agnostica» di Otto Bauer che nel suo libretto sulla «Religione» scrive che il
Perché il Labriola e la sua impostazione del problema filosofico, hanno avuto così scarsa fortuna? Si può dire a questo proposito ciò che la Rosa disse a proposito dell’economia critica e dei suoi problemi più alti: nel periodo romantico della lotta, dello
La trattazione analitica e sistematica della concezione