1) Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico: l’imprenditore capitalistico crea con sé il tecnico dell’industria, lo scienziato dell’economia politica, l’organizzatore di una nuova cultura, di un nuovo diritto, ecc. ecc. Occorre notare il fatto che l’imprenditore rappresenta una elaborazione sociale superiore, già caratterizzata da una certa capacità dirigente e tecnica (cioè intellettuale): egli deve avere una certa capacità tecnica, oltre che nella sfera circoscritta della sua attività e della sua iniziativa, anche in altre sfere, almeno in quelle più vicine alla produzione economica (deve essere un organizzatore di masse d’uomini, deve essere un organizzatore della «fiducia» dei risparmiatori nella sua azienda, dei compratori della sua merce ecc.). Se non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve avere una capacità di organizzatore della società in generale, in tutto il suo complesso organismo di servizi, fino all’organismo statale, per la necessità di creare le condizioni più favorevoli all’espansione della propria classe; o deve possedere per lo meno la capacità di scegliere i «commessi» (impiegati specializzati) cui affidare questa at
2) Ma ogni gruppo sociale «essenziale» emergendo alla storia dalla precedente struttura economica e come espressione di un suo sviluppo (di questa struttura), ha trovato, almeno nella storia finora svoltasi, categorie sociali preesistenti e che anzi apparivano come rappresentanti una continuità storica ininterrotta anche dai più quella categoria intellettuale organicamente legata all’aristocrazia fondiaria: era equiparata giuridicamente all’aristocrazia, con cui divideva l’esercizio della proprietà feudale della terra e l’uso dei
Siccome queste varie categorie di intellettuali tradizionali sentono con «spirito di corpo» la loro ininterrotta continuità storica e la loro «qualifica», così essi pongono se stessi come autonomi e indipendenti dal gruppo sociale dominante; questa auto-posizione non è senza conseguenze nel campo ideologico e politico, conseguenze di vasta portata (tutta la filosofia idealista si può facilmente connettere con questa posizione assunta dal complesso sociale degli intellettuali e si può definire l’espressione di questa utopia sociale per cui gli intellettuali si credono «indipendenti», autonomi, rivestiti di caratteri loro proprii ecc. Da notare però che se il papa e l’alta gerarchia della Chiesa si credono più legati a Cristo e agli apostoli di quanto non siano ai senatori Agnelli e Benni, lo stesso non è per Gentile e Croce, per esempio; il Croce, per esempio specialmente, si sente legato fortemente ad Aristotile e a Platone, ma egli non nasconde, anzi, di essere legato ai senatori Agnelli e Benni e in ciò appunto è da ricercare il carattere più rilevato della filosofia del Croce).
(Questa ricerca sulla storia degli intellettuali non sarà di carattere «sociologico», ma darà luogo a una serie di saggi di «storia della cultura» (Kulturgeschichte) e di storia della scienza politica. Tuttavia sarà difficile evitare alcune forme schematiche e astratte che ricordano quelle della «sociologia»: occorrerà pertanto trovare la forma letteraria più adatta perché l’esposizione sia «non-sociologica». La prima
Quali sono i limiti «massimi» dell’accezione di «intellettuale»? Si può trovare un criterio unitario per caratterizzare ugualmente tutte le diverse e disparate attività intellettuali e per distinguere queste nello stesso tempo e in modo essenziale dalle attività degli altri raggruppamenti sociali? L’errore metodico più diffuso mi pare quello di aver cercato questo criterio di distinzione nell’intrinseco delle attività intellettuali e non invece
Tutti gli uomini sono intellettuali, si potrebbe dire perciò; ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali (così, perché può capitare che ognuno in qualche momento si frigga due uova o si cucisca uno strappo della giacca, non si dirà che tutti sono cuochi e sarti). Si formano così storicamente delle categorie specializzate per l’esercizio della funzione intellettuale, si formano in connessione con tutti i gruppi sociali ma specialmente in connessione coi gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in connessione col gruppo sociale do
Da notare che l’elaborazione dei ceti intellettuali nella realtà concreta non avviene su un terreno democratico astratto, ma secondo processi storici tradizionali molto concreti. Si sono formati dei ceti che tradizionalmente «producono» intellettuali e sono quelli stessi che di solito sono specializzati nel «risparmio», cioè la piccola e media borghesia terriera e alcuni strati della piccola e media borghesia cittadina. La diversa distribuzione dei diversi tipi di scuole (classiche e professionali) nel territorio «economico» e le diverse aspirazioni delle varie categorie di questi ceti determinano o danno forma alla produzione dei diversi rami di specializzazione intellettuale. Così in Italia la borghesia rurale produce specialmente funzionari statali e professionali liberi, mentre la borghesia cittadina produce tecnici per l’industria: e perciò l’Italia settentrionale produce specialmente tecnici e l’Italia meridionale specialmente funzionari e professionisti.
Il rapporto tra gli intellettuali e il mondo della produzione non è immediato, come avviene per i gruppi sociali fondamentali, ma è mediato, in diverso grado, da tutto il tessuto sociale, dal complesso delle superstrutture, di cui appunto gli intellettuali sono i «funzionari». Si potrebbe misurare l’«organicità» dei diversi strati intellettuali, la loro più o meno stretta connessione con un gruppo sociale fondamentale, fissando una gradazione delle funzioni e delle soprastrutture dal basso in alto (dalla base strutturale in su). Si possono, per ora, fissare due grandi «piani» superstrutturali, quello che si può chiamare della «società civile», cioè dell’insieme di organismi volgarmente detti «privati» e quello della «società politica o Stato» e che corrispondono alla funzione di «egemonia» che il gruppo dominante esercita in tutta la società e a quello di «dominio diretto» o di comando che si esprime nello Stato e nel gover
Nel mondo moderno, la categoria degli intellettuali, così intesa, si è ampliata in modo inaudito. Sono state elaborate dal sistema sociale democratico-burocratico masse imponenti, non tutte giustificate dalle necessità sociali della produzione, anche se giustificate dalle necessità politiche del gruppo fondamentale dominante. Quindi la concezione loriana del «lavoratore» improduttivo (ma improduttivo per riferimento a chi e a quale modo di produzione?), che potrebbe in parte giustificarsi se si tiene conto che queste masse sfruttano la loro posizione per farsi assegnare taglie ingenti sul reddito nazionale. La formazione di massa ha standardizzato gli individui e come qualifica individuale e come psicologia, determinando gli stessi fenomeni che in tutte le altre masse standardizzate: concorrenza che pone la necessità dell’organizzazione professionale di difesa, disoccupazione, superproduzione scolastica, emigrazione ecc.
Diversa posizione degli intellettuali di tipo urbano e di tipo rurale. Gli intellettuali di tipo urbano sono concresciuti con l’industria e sono legati alle sue fortune. La loro funzione può essere paragonata a quella degli ufficiali subalterni nell’esercito: non hanno nessuna iniziativa autonoma nel costruire i piani di costruzione; mettono in rapporto, articolandola, la massa strumentale con l’imprenditore, elaborano l’esecuzione immediata del piano di produzione stabilito dallo stato maggiore dell’industria, controllandone le fasi lavorative elementari. Nella loro media generale gli intellettuali urbani sono molto standardizzati; gli alti intellettuali urbani si confondono sempre più col vero e proprio stato maggiore industriale.
Gli intellettuali di tipo rurale sono in gran parte «tradizionali», cioè legati alla massa sociale campagnola e piccolo borghese, di città (specialmente dei centri minori), non an
Altro è il caso per gli intellettuali urbani: i tecnici di fabbrica non esplicano nessuna funzione politica sulle loro masse strumentali, o almeno è questa una fase già superata; talvolta avviene proprio il contrario, che le masse strumentali, almeno attraverso i loro propri intellettuali organici, esercitano un influsso politico sui tecnici.
Il punto centrale della quistione rimane la distinzione tra intellettuali, categoria organica di ogni gruppo sociale fondamentale e intellettuali, come categoria tradizionale; distinzione da cui scaturisce tutta una serie di problemi e di possibili ricerche storiche. Il problema più interessante è quello che riguarda, se considerato da questo punto di viconseguenze complicazioni spiacevoli per il gruppo fondamentale economico che realmente è lo Stato.
Che tutti i membri di un partito politico debbano essere considerati come intellettuali, ecco un’affermazione che può prestarsi allo scherzo e alla caricatura; pure, se si riflette, niente di più esatto. Sarà da fare distinzione di gradi, un partito potrà avere una maggiore o minore composizione del grado più alto o di quello più basso, non è ciò che importa: importa la funzione che è direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale. Un commerciante non entra a far parte di un partito politico per fare del commercio, né un industriale per produrre di più e a costi diminuiti, né un contadino per apprendere nuovi metodi di coltivare la terra, anche se alcuni aspetti di queste esigenze del commerciante, dell’industriale, del contadino possono trovare soddisfazione nel partito politico (l’opinione generale contraddice a ciò, affermando che il commerciante, l’industriale, il contadino «politicanti» perdono invece di guadagnare, e sono i peggiori della loro categoria, ciò che può essere discusso). Per questi scopi, entro certi limiti, esiste il sindacato professionale in cui l’attività economico-corporativa del commerciante, dell’industriale, del contadino, trova il suo quadro più adatto. Nel partito politico gli elementi di un gruppo sociale economico superano questo momento del loro sviluppo storico e diventano agenti di attività generali, di carattere nazionale e internazionale. Questa funzione del partito politico dovrebbe apparire molto più chiara da un’analisi storica concreta del come si sono sviluppate le categorie organiche degli intellettuali e quelle tradizionali sia nel terreno delle varie storie nazionali sia in quello dello sviluppo dei vari gruppi sociali più importanti nel quadro delle diverse nazioni, specialmente di quei gruppi la cui attività economica è stata prevalentemente strumentale.
La formazione degli intellettuali tradizionali è il problema storico più interessante. Esso è certamente legato alla schiavitù del mondo classico e alla posizione dei liberti di origine greca e orientale nell’organizzazione sociale dell’Im
Per l’Italia il fatto centrale è appunto la funzione internazionale e cosmopolita dei suoi intellettuali che è causa ed effetto dello stato di disgregazione in cui rimane la penisola dalla caduta dell’Impero Romano al 1870.
La Francia dà un tipo compiuto di sviluppo armonico di tutte le energie nazionali e specialmente delle categorie intellettuali; quando nel 1789 un nuovo raggruppamento sociale affiora politicamente alla storia, esso è completamente attrezzato per tutte le sue funzioni sociali e perciò lotta per il dominio totale della nazione, senza venire a compromessi essenziali con le vecchie classi, ma invece subordinandole ai propri fini. Le prime cellule intellettuali del nuovo tipo nascono con le prime cellule economiche: la stessa organizzazione ecclesiastica ne è influenzata (gallicanismo, lotte molto precoci tra Chiesa e Stato). Questa massiccia costruzione intellettuale spiega la funzione della cultura francese nei secoli XVIII e XIX, funzione di irradiazione internazionale e cosmopolita e di espansione a carattere imperialistico ed egemonico in modo organico, quindi ben diversa da quella italiana, a carattere immigratorio personale e disgregato,
In Russia diversi spunti: l’organizzazione politica ed economico-commerciale è creata dai Normanni (Varieghi), quella religiosa dai greci bizantini; in un secondo tempo i tedeschi e i francesi portano l’esperienza europea in Russia e danno un primo scheletro consistente alla gelatina storica russa. Le forze nazionali sono inerti, passive e ricettive, ma forse appunto perciò assimilano completamente le influenze straniere e gli stessi stranieri, russificandoli. Nel periodo storico più recente avviene il fenomeno inverso: una élite di persone tra le più attive, energiche, intraprendenti e disciplinate, emigra all’estero, assimila la cultura e le esperienze storiche dei paesi più progrediti dell’Occidente, senza perciò perdere i caratteri più essenziali della propria nazionalità, senza cioè rompere i legami sentimentali e storici col proprio popolo; fatto così il suo garzonato intellettuale, rientra nel paese, costringendo il popolo ad un forzato risveglio, ad una marcia in avanti accelerata, bruciando le tappe. La differenza tra questa élite e quella tedesca importata (da Pietro il Grande, per esempio) consiste nel suo carattere essenziale nazionale-popolare: non può essere assimilata dalla passività inerte del popolo russo, perché è essa stessa una energica reazione russa alla propria inerzia storica.
In un altro terreno e in ben diverse condizioni di tempo e di luogo, questo fenomeno russo può essere paragonato alla nascita della nazione americana (Stati Uniti): gl’immigrati anglosassoni sono anch’essi un’élite intellettuale, ma specialmente morale. Si vuol parlare naturalmente dei primi immigrati, dei pionieri, protagonisti delle lotte religiose e politiche inglesi, sconfitti, ma non umiliati né depressi nella loro patria d’origine. Essi importano in America, con se stessi, oltre l’energia morale e volitiva, un certo grado di civiltà, una certa fase dell’evoluzione storica europea, che trapiantata nel suolo vergine americano da tali agenti, continua a sviluppare le forze implicite nella sua natura ma con un ritmo incomparabilmente più rapido che nella vecchia Europa, dove esiste tutta una serie di freni (morali intellet
In Inghilterra lo sviluppo è molto diverso che in Francia. Il nuovo raggruppamento sociale nato sulla base dell’industrialismo moderno, ha un sorprendente sviluppo economico-corporativo, ma procede a tastoni nel campo intellettuale-politico. Molto vasta la categoria degli intellettuali organici, nati cioè sullo stesso terreno industriale col gruppo economico, ma nella sfera più elevata troviamo conservata la posizione di quasi monopolio della vecchia classe terriera, che perde la supremazia economica ma conserva a lungo una supremazia politico-intellettuale e viene assimilata come «intellettuali tradizionali» e strato dirigente dal nuovo gruppo al potere. La vecchia aristocrazia terriera si unisce agli industriali con un tipo di sutura che in altri paesi è appunto quello che unisce gli intellettuali tradizionali alle nuove classi dominanti.
Il fenomeno inglese si è presentato anche in Germania complicato da altri elementi storici e tradizionali. La Germania, come l’Italia, è stata la sede di una istituzione e di una ideologia universalistica, supernazionale (Sacro Romano Impero della Nazione tedesca) e ha dato una certa quantità di personale alla cosmopoli medioevale, depauperando le proprie energie interne e suscitando lotte che distoglievano dai problemi di organizzazione nazionale e mantenevano la disgregazione territoriale del Medio Evo. Lo sviluppo industriale è avvenuto sotto un involucro semifeudale durato fino al novembre 1918 e gli junker hanno mantenuto una supremazia politico-intellettuale ben maggiore di quella dello stesso gruppo inglese. Essi sono stati gli intellettuali tradizionali degli industriali tedeschi, ma con speciali privilegi e con una forte coscienza di essere un gruppo sociale indipendente, basata sul fatto che detenevano un notevole potere economico sulla terra, «produttiva» più che in Inghilterra. Gli junker prussiani rassomigliano a una casta sacerdotale-militare, che ha un quasi monopolio delle funzio
Negli Stati Uniti è da notare l’assenza, in una certa misura, degli intellettuali tradizionali e quindi il diverso equilibrio degli intellettuali in generale. Si è avuta una formazione massiccia sulla base industriale di tutte le superstrutture moderne. La necessità di un equilibrio non è data dal fatto che occorre fondere gli intellettuali organici con quelli tradizionali che non esistono come categoria cristallizzata e misoneista, ma dal fatto che occorre fondere in un unico crogiolo nazionale di cultura unitaria tipi di culture diverse portati dagli immigrati di varie origini nazionali. La mancanza di
Una manifestazione interessante è ancora da studiare negli Stati Uniti ed è il formarsi di un numero sorprendente di
Nell’America meridionale e centrale la quistione degli intellettuali mi pare sia da esaminare tenendo conto di queste condizioni fondamentali: anche nell’America meridionale e centrale non esiste una vasta categoria di intellettuali tradizionali, ma la cosa non si presenta negli stessi termini degli Stati Uniti. Troviamo infatti alla base dello sviluppo di questi paesi i quadri della civiltà spagnola e portoghese del 500 e del 600, caratterizzata dalla Controriforma e dal militarismo parassitario. Le cristallizzazioni resistenti ancora oggi in questi paesi sono il clero e una casta militare, due categorie di intellettuali
Altri tipi di formazione delle categorie intellettuali e dei loro rapporti con le forze nazionali si possono trovare in India, in Cina, nel Giappone. Nel Giappone abbiamo una formazione del tipo inglese e tedesco, cioè di una civiltà industriale che si sviluppa entro un involucro feudale-burocratico con caratteri propri inconfondibili.
In Cina c’è il fenomeno della scrittura, espressione della completa separazione degli intellettuali dal popolo. In India e in Cina l’enorme distanza tra gli intellettuali e il popolo si manifesta poi nel campo religioso. Il problema delle diverse credenze e del modo diverso di concepire e praticare la stessa religione tra i diversi strati della società ma specialmente tra clero e intellettuali e popolo dovrebbe essere studiato in generale, perché si manifesta da per tutto in una certa misura, sebbene nei paesi dell’Asia orientale abbia le manifestazioni più estreme. Nei paesi protestanti la differenza è relativamente piccola (la moltiplicazione delle sette è legata all’esigenza di una sutura completa tra intellettuali
Aspetti diversi della quistione degli intellettuali, oltre quelli sopra accennati. Occorre farne un prospetto organico, sistematico e ragionato. Registro delle attività di carattere prevalentemente intellettuale. Istituzioni legate all’attività culturale. Metodo e problemi di metodo del lavoro intellettuale e culturale, sia creativo che divulgativo. Scuola, accademia, circoli di diverso tipo come istituzioni di elaborazione collegiale della vita culturale. Riviste e giornali come mezzi per organizzare e diffondere determinati tipi di cultura.
Si può osservare in generale che nella civiltà moderna tutte le attività pratiche sono diventate così complesse e le scienze si sono talmente intrecciate alla vita che ogni attività pratica tende a creare una scuola per i propri dirigenti e specialisti e quindi a creare un gruppo di intellettuali specialisti di grado più elevato, che insegnino in queste scuole. Così accanto al tipo di scuola che si potrebbe chiamare «umanistica», ed è quello tradizionale più antico, e che era rivolta a
Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola «disinteressata» (non immediatamente interessata) e «formativa» o di lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite di signori e di donne che non devono pensare a prepararsi un avvenire professionale e di diffondere sempre più le scuole professionali specializzate in cui il destino dell’allievo e la sua futura attività sono predeterminate. La crisi avrà una soluzione che razionalmente dovrebbe seguire questa linea: scuola unica iniziale di cultura generale, umanistica, formativa, che contemperi giustamente lo sviluppo della capacità di lavorare manualmente (tecnicamente, industrialmente) e lo sviluppo delle capacità del lavoro intellettuale. Da questo tipo di scuola unica, attraverso esperienze ripetute di orientamento professionale, si passerà a una delle scuole specializzate o al lavoro produttivo.
È da tener presente la tendenza in isviluppo per cui ogni attività pratica tende a crearsi una sua scuola specializzata, così come ogni attività intellettuale tende a crearsi propri
Il problema fondamentale si pone per quella fase dell’attuale carriera scolastica che oggi è rappresentata dal liceo e che oggi non si differenzia per nulla, come tipo d’insegnamento, dalle classi precedenti, altro che per la supposizione astratta di una maggiore maturità intellettuale e morale dell’allievo conforme all’età maggiore e all’esperienza precedentemente accumulata. Di fatto tra liceo e università e cioè tra la scuola vera e propria e la vita c’è un salto, una vera soluzione di continuità, non un passaggio razionale dalla quantità (età) alla qualità (maturità intellettuale e morale). Dall’insegnamento quasi puramente dogmatico, in cui la memoria ha una grande parte, si passa alla fase creativa o di lavoro autonomo e indipendente; dalla scuola con disciplina dello studio imposta e controllata autoritativamente si passa a una fase di studio o di lavoro professionale in cui l’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale è teoricamente illimitata. E ciò avviene subito dopo la crisi della pubertà, quando la foga delle passioni istintive ed elementari non ha ancora finito di lottare coi freni del carattere e della coscienza morale in formazione. In Italia poi, dove nelle Università non è diffuso il principio del lavoro di «seminario», il passaggio è ancora più brusco e meccanico.
Ecco dunque che nella scuola unitaria la fase ultima deve essere concepita e organata come la fase decisiva in cui si tende a creare i valori fondamentali dell’«umanesimo», l’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale necessarie per l’ulteriore specializzazione sia essa di carattere scien
L’avvento della scuola unitaria significa l’inizio di nuovi rapporti tra lavoro intellettuale e lavoro industriale non solo nella scuola, ma in tutta la vita sociale. Il principio unitario si rifletterà perciò in tutti gli organismi di cultura, trasformandoli e dando loro un nuovo contenuto. Problema della nuova funzione che potranno assumere le Università e le Accademie. Oggi queste due istituzioni sono indipendenti l’una dall’altra e le Accademie sono il simbolo, spesso a ragione deriso, del distacco esistente tra l’alta cultura e la vita, tra gli intellettuali e il popolo (perciò quella certa fortuna che ebbero i futuristi nel loro primo periodo di Sturm und Drang antiaccademico, antitradizionalista ecc.). In una nuova situazione di rapporti tra vita e cultura, tra lavoro intellettuale e lavoro industriale, le accademie dovrebbero diventare l’organizzazione culturale (di sistemazione, espansione e creazione intellettuale) di quegli elementi che dopo la scuola unitaria passeranno al lavoro professionale, e un terreno d’incontro tra essi e gli universitari. Gli elementi sociali impiegati nel lavoro professionale non devono cadere nella passività intellettuale, ma devono avere a loro disposizione (per iniziativa collettiva e non di singoli, come funzione sociale organica riconosciuta di pubblica necessità ed utilità) istituti specializzati in tutte le branche di ricerca e di lavoro scientifico, ai quali potranno collaborare e in cui troveranno tutti i sussidi necessari per ogni forma di attività culturale che intendano intraprendere. L’organizzazione accademica dovrà essere riorganizzata e vivificata da cima a fondo. Territorialmente avrà una centralizzazione di competenze e di specializzazione: centri nazionali che si aggregheranno le grandi istituzioni esistenti, sezioni regionali e provinciali e circoli locali urbani e rurali. Si sezionerà per competenze scientifico-culturali, che saranno tutte rappresentate nei centri superiori ma solo parzialmente nei circoli locali. Unificare i vari tipi di organizzazione culturale esistenti: Accademie, Isti
Sarebbe utile avere l’elenco completo delle Accademie e delle altre organizzazioni culturali oggi esistenti e degli argomenti che sono prevalentemente trattati nei loro lavori e pubblicati nei loro Atti: in gran parte si tratta di cimiteri della cultura, pure esse hanno una funzione nella psicologia della classe dirigente.
La collaborazione tra questi organismi e le Università dovrebbe essere stretta, così come con tutte le scuole superiori specializzate di ogni genere (militari, navali, ecc.). Lo scopo è di ottenere una centralizzazione e un impulso della cultura nazionale che sarebbero superiori a quelli della Chiesa Cattolica.
(Questo schema di organizzazione del lavoro culturale secondo i principi generali della scuola unitaria, dovrebbe essere sviluppato in tutte le sue parti accuratamente e servire di guida nella costituzione anche del più elementare e primitivo centro di cultura, che dovrebbe essere concepito come un embrione e una molecola di tutta la più massiccia struttura. Anche le iniziative che si sanno transitorie e di esperimento dovrebbero essere concepite come capaci di es
§
Nelle scuole elementari due elementi si prestavano all’educazione e alla formazione dei bambini: le prime nozioni di scienze naturali e le nozioni di diritti e doveri del cittadino. Le nozioni scientifiche dovevano servire a introdurre il bambino nella «societas rerum», i diritti e doveri nella vita statale e nella società civile. Le nozioni scientifiche entravano in lotta con la concezione magica del mondo e della natura che il bambino assorbe dall’ambiente impregnato di folclore, come le nozioni di diritti e doveri entrano in lotta con le tendenze alla barbarie individualistica e localistica, che è anch’essa un aspetto del folclore. La scuola col suo insegnamento lotta contro il folclore, con tutte le sedimentazioni tradizionali di concezioni del mondo per diffondere una concezione più moderna, i cui elementi primitivi e fondamentali sono dati dall’apprendimento dell’esistenza delle leggi della natura come qualcosa di oggettivo e di ribelle a cui occorre adattarsi per dominarle, e delle leggi civili e statali che sono un prodotto
Non è completamente esatto che l’istruzione non sia anche educazione: l’aver insistito troppo in questa distinzione è stato grave errore della pedagogia idealistica e se ne vedono già gli effetti nella scuola riorganizzata da questa pedagogia. Perché l’istruzione non fosse anche educazione bisognerebbe che il discente fosse una mera passività, un «meccanico recipiente» di nozioni astratte, ciò che è assurdo e del resto viene «astrattamente» negato dai sostenitori della pura educatività appunto contro la mera istruzione meccanicisti
L’efficacia educativa della vecchia scuola media italiana, quale l’aveva organizzata la vecchia legge Casati, non era da ricercare (o da negare) nella volontà espressa di essere o no scuola educativa, ma nel fatto che il suo organamento e i suoi programmi erano l’espressione di un modo tradizionale di vita intellettuale e morale, di un clima culturale diffuso in tutta la società italiana per antichissima tradizione. Che un tale clima e un tal modo di vivere siano entrati in agonia e che la scuola si sia staccata dalla vita, ha determinato la crisi della scuola. Criticare i programmi e l’organamento disciplinare della scuola, vuol dire meno che niente, se non si tiene conto di tali condizioni. Così si ritorna alla partecipazione realmente attiva dell’allievo alla scuola, che può esistere solo se la scuola è legata alla vita. I nuovi programmi, quanto più affermano e teorizzano l’attività del discente, e la sua collaborazione operosa col lavoro del docente, e tanto più sono disposti come se il discente fosse una mera passività. Nella vecchia scuola lo studio grammaticale delle lingue latina e greca, unito allo studio delle letterature e storie politiche rispettive, era un principio educativo in quanto l’ideale umanistico, che si impersona in Atene e Roma, era diffuso in tutta la società, era un elemento essenziale della vita e della cultura nazionale. Anche la meccanicità dello studio grammaticale era avviata dalla prospettiva culturale. Le singole nozioni non venivano apprese per uno scopo immediato pratico-professionale: esso appariva disinteressato, perché l’interesse era lo sviluppo interiore della persovogliono vuole selezionare dei grandi scienziati, occorre ancora incominciare da quel punto e occorre premere su tutta l’area scolastica per riuscire a far emergere quelle migliaia o centinaia o anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo, di cui ogni civiltà ha bisogno (se pure si può molto migliorare in questo campo, con l’aiuto dei sussidi scientifici adeguati, senza tornare ai metodi scolastici dei gesuiti).
Si impara il latino (o meglio, si studia il latino), lo si analizza fin nei suoi membretti più elementari, si analizza come una cosa morta, è vero, ma ogni analisi fatta da un fanciullo non può essere che su cose morte; d’altronde non bisogna dimenticare che dove questo studio avviene, in queste forme, la vita dei Romani è un mito che in una certa misura ha già interessato il fanciullo e lo interessa, sicché nel morto è sempre presente un più grande vivente. Eppoi: la lingua è morta, è analizzata come una cosa inerte, come un cadavere sul tavolo anatomico, ma rivive continuamente negli esempi, nelle narrazioni. Si potrebbe fare lo stesso studio con l’italiano? Impossibile: nessuna lingua viva potrebbe essere studiata come il latino: sarebbe e
Ciò non vuol dire (e sarebbe inetto pensarlo) che il latino e il greco, come tali, abbiano qualità intrinsecamente taumaturgigiche nel campo educativo. È tutta la tradizione culturale, che vive anche e specialmente fuori della scuola, che in un dato ambiente produce tali conseguenze. Si vede, d’altronde, come, mutata la tradizionale intuizione della cultura, la scuola sia entrata in crisi e sia entrato in crisi lo studio del latino e del greco.
Bisognerà sostituire il latino e il greco come fulcro della scuola formativa e lo si sostituirà, ma non sarà agevole disporre la nuova materia o la nuova serie di materie in un ordine didattico che dia risultati equivalenti di educazione e formazione generale della personalità, partendo dal fanciullo fino alla soglia della scelta professionale. In questo periodo infatti lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere (o apparire ai discenti) disinteressato, non avere cioè scopi pratici immediati o troppo immediati, deve essere formativo, anche se «istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete.
La scuola tradizionale è stata oligarchica perché destinata alla nuova generazione dei gruppi dirigenti, destinata a sua volta a diventare dirigente: ma non era oligarchica per il modo del suo insegnamento. Non è l’acquisto di capacità direttive, non è la tendenza a formare uomini superiori che dà l’impronta sociale a un tipo di scuola. L’impronta sociale è data dal fatto che ogni gruppo sociale ha un proprio tipo di scuola, destinato a perpetuare in questi strati una determinata funzione tradizionale, direttiva o strumentale. Se si vuole spezzare questa trama, occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare-media) che conduca il giovinetto fino alla soglia della scelta professionale, forman
Il moltiplicarsi di tipi di scuola professionale tende dunque a eternare le differenze tradizionali, ma siccome, in queste differenze, tende a suscitare stratificazioni interne, ecco che fa nascere l’impressione di una sua tendenza democratica. Manovale e operaio qualificato, per esempio; contadino e geometra o piccolo agronomo ecc. Ma la tendenza democratica, intrinsecamente, non può solo significare che un operaio manovale diventa qualificato, ma che ogni «cittadino» può diventare «governante» e che la società lo pone, sia pure «astrattamente», nelle condizioni generali di poterlo diventare; la democrazia politica tende a far coincidere governanti e governati (nel senso del governo col consenso
A proposito del dogmatismo e del criticismo-storicismo nella scuola elementare e media è da osservare che la nuova pedagogia ha voluto battere in breccia il dogmatismo proprio nel campo dell’istruzione, dell’apprendimento delle nozioni concrete, cioè proprio nel campo in cui un certo dogmatismo è praticamente imprescindibile e può venire riassorbito e disciolto solo nel ciclo intero del corso scolastico (non si può insegnare la grammatica storica nelle elementari e nel ginnasio), ma è costretta poi a veder introdotto il dogmatismo per eccellenza nel campo del pensiero religioso e implicitamente a veder descritta tutta la storia della filosofia come un succedersi di follie e di delirii.
Nell’insegnamento della filosofia il nuovo corso pedagogico (almeno per quegli alunni, e sono la stragrande maggioranza, che non ricevono aiuti intellettuali fuori della scuola, in famiglia o nell’ambiente famigliare, e devono formarsi solo con le indicazioni che ricevono in classe) impoverisce l’insegnamento, e ne abbassa il livello, praticamente, nonostante che razionalmente sembri bellissimo, di un bellissimo utopistico. La filosofia descrittiva tradizionale, rafforzata da un corso di storia della filosofia e dalla lettura di un certo numero di filosofi, praticamente sembra la miglior cosa. La filosofia descrittiva e definitrice sarà un’astrazione
§ Quando si distingue tra intellettuali e non-intellettuali in realtà ci si riferisce solo alla immediata funzione sociale della categoria professionale degli intellettuali, cioè si tiene conto della direzione in cui grava il peso maggiore della attività specifica professionale, se nell’elaborazione intellettuale o nello sforzo muscolare-nervoso. Ciò significa che se si può parlare di intellettuali, non si può parlare di non-intellettuali, perché non-intellettuali non esistono. Ma lo stesso rapporto tra sforzo di elaborazione intellettuale-cerebrale e sforzo muscolare-nervoso non è sempre uguale, quindi si hanno diversi gradi di attività specifica intellettuale. Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni uomo infine, all’infuori della sua intellettuale industriale anche il più primitivo o squalificato, deve formare la base del nuovo tipo di intellettuale. Su questa base ha lavorato l’«