Intanto occorre per ogni istituto una «storia» esatta delle fasi legali attraverso cui è passato e l’identificazione delle cause immediate che ne provocarono la fondazione. Per le prospettive generali di questi istituti, è da tener conto innanzi tutto della particolare funzione svolta dallo Stato italiano in ogni tempo nell’economia in sostituzione della così detta iniziativa privata o assente o «diffidata» dai risparmiatori. La quistione «economica» potrebbe esser questa: se tali istituti non rappresentino una spesa gravosa in confronto di ciò che sarebbe se la loro funzione fosse svolta dall’iniziativa privata. Pare questo un falso problema e non è: certo in quanto manca l’attore privato di una certa funzione e questa è necessaria per svecchiare la vita nazionale, è meglio che lo Stato si assuma la funzione. Ma conviene dirlo apertamente, cioè dire che non si tratta della realizzazione di un progresso effettivo, ma della constatazione di una arretratezza cui si vuole ovviare «ad ogni costo» e pagandone lo scotto. Non è neanche vero che se ne paga lo scotto una volta per tutte: lo scotto che si paga oggi non eviterà di pagare un altro scotto quando dalla nazionalizzazione per ri
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Si può vedere l’esemplificazione di questa nota in Inghilterra, dove il partito conservatore si è mangiato il partito liberale, che pure tradizionalmente appariva come il partito degli industriali. La situazione inglese, con le sue grandi Trade Unions spiega questo fatto. In Inghilterra non esiste formalmente un partito antagonista agli industriali in grande stile, è vero, ma esistono le organizzazioni operaie di massa, ed è stato osservato come esse, in certi momenti, quelli decisivi, si trasformino costituzionalmente dal basso in alto spezzando l’involucro burocratico (es. nel 1919 e nel 1926). D’altronde esistono interessi permanenti stretti tra agrari e industriali (specialmente ora che il protezionismo è diventato generale, agrario e industriale) ed è innegabile che gli agrari sono «politicamente» molto meglio organizzatori degli industriali, attirano più gli intellettuali, sono
In generale si può dire che in questa storia dei partiti, la comparazione tra i vari paesi è delle più istruttive e decisive per trovare l’origine delle cause di trasformazione. Ciò anche nelle polemiche tra partiti dei paesi «tradizionalisti» dove cioè sono rappresentati «scampoli» di tutto il «catalogo» storico.
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Nel formare i dirigenti è fondamentale la premessa: si vuole che ci siano sempre governati e governanti oppure si vogliono creare le condizioni in cui la necessità dell’esistenza di questa divisione sparisca? cioè si parte dalla premessa della perpetua divisione del genere umano o si crede che essa sia solo un fatto storico, rispondente a certe condizioni? Occorre tener chiaro tuttavia che la divisione di governati e governanti, seppure in ultima analisi risalga a una divisione di gruppi sociali, tuttavia esiste, date le cose così come sono, anche nel seno dello stesso gruppo, anche socialmente omogeneo; in un certo senso si può dire che essa divisione è una creazione della divisione del lavoro, è un fatto tecnico. Su questa coesistenza di motivi speculano coloro che vedono in tutto solo «tecnica», necessità «tecnica» ecc. per non proporsi il problema fondamentale.
Dato che anche nello stesso gruppo esiste la divisione tra governanti e
Questo principio si estende a tutte le azioni che domandano sacrifizio. Per cui sempre, dopo ogni rovescio, occorre prima di tutto ricercare le responsabilità dei dirigenti e ciò in senso stretto (per esempio: un fronte è costituito di più sezioni e ogni sezione ha i suoi dirigenti: è possibile che di una sconfitta siano più responsabili i dirigenti di una sezione che di un’altra, ma si tratta di più e meno, non di esclusione di responsabilità per alcuno, mai).
Posto il principio che esistono diretti e dirigenti, governati e governanti, è vero che i partiti sono finora il modo più adeguato per elaborare i dirigenti e la capacità di direzione (i «partiti» possono presentarsi sotto i nomi più diversi, anche quello di anti-partito e di «negazione dei partiti»; in realtà anche i così detti «individualisti» sono uomini di par
Svolgimento del concetto generale che è contenuto nell’espressione «spirito statale». Questa espressione ha un significato ben preciso, storicamente determinato. Ma si pone il problema: esiste qualcosa (di simile) a ciò che si chiama «spirito statale» in ogni movimento serio, cioè che non sia l’espressione arbitraria di individualismi, più o meno giustificati? Intanto lo «spirito statale» presuppone la «continuità» sia verso il passato, ossia verso la tradizione, sia verso l’avvenire, cioè presuppone che ogni atto sia il momento di un processo complesso, che è già iniziato e che continuerà. La responsabilità di questo processo, di essere attori di questo processo, di essere solidali con forze «ignote» materialmente, ma che pur si sentono operanti e attive e di cui si tiene conto, come se fossero «materiali» e presenti corporalmente, si chiama appunto in certi casi «spirito statale». È evidente che tale coscienza della «durata» deve essere concreta e non astratta, cioè, in certo senso, non deve oltrepassare certi limiti; mettiamo che i più piccoli limiti siano una generazione precedente e una generazione futura, ciò che non è dir poco, poiché le generazioni si conteranno per ognuna non trenta anni prima e trenta anni dopo di oggi, ma organicamente, in senso storico, ciò che per il passato almeno è facile da comprendere: ci sentiamo solidali con gli uomini che oggi sono vecchissimi e che per noi rappresentano il «passato» che ancora vive fra noi, che occorre conoscere, con cui occorre fare i conti, che è uno degli elementi del presente e delle premesse del futuro. E coi bambini, con le generazioni nascenti e crescenti, di cui siamo responsabili. (Altro è il «culto» della «tradizione» che ha un valore tendenzioso, implica una scelta e un fine determinato, cioè è a base di una ideologia). Eppure, se si può dire che uno «spirito statale» così inteso è in tutti, occorre volta a volta combattere contro deformazioni di esso e deviazioni da esso. «Il gesto per il gesto», la lotta per la lotta ecc. e specialmente l’individualismo gretto e piccino, che poi è un capriccioso soddisfare impulsi momentanei ecc. (In realtà il punto
L’individualismo è solo apoliticismo animalesco; il settarismo è «apoliticismo» e se ben si osserva, infatti, il settarismo è una forma di «clientela» personale, mentre manca lo spirito di partito, che è l’elemento fondamentale dello «spirito statale». La dimostrazione che lo spirito di partito è l’elemento fondamentale dello spirito statale è uno degli assunti più cospicui da sostenere e di maggiore importanza; e viceversa che l’«individualismo» è un elemento animalesco,
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Altro punto è quello che si dimenticano i fatti semplici, cioè le contraddizioni fondamentali della società attuale, per fatti apparentemente complessi (ma meglio sarebbe dire «lambiccati»). Una delle contraddizioni fondamentali è questa: che mentre la vita economica ha come premessa necessaria l’internazionalismo o meglio il cosmopolitismo, la vita statale si è sempre più sviluppata nel senso del «nazionalismo», «del bastare a se stessi» ecc. Uno dei caratteri più appariscenti della «attuale crisi» è niente altro che l’esasperazione dell’elemento nazionalistico (statale nazionalistico) nell’economia: contingentamenti, clearing, restrizione al commercio delle divise, commercio bilanciato tra due soli Stati ecc. Si potrebbe allora dire, e questo sarebbe il più esatto, che la «crisi» non è altro che l’intensificazione quantitativa di certi elementi, non nuovi e originali, ma specialmente l’intensificazione di certi fenomeni, mentre altri che prima apparivano e operavano simultaneamente ai primi, immunizzandoli, sono divenuti inoperosi o sono scomparsi del tutto. Insomma lo sviluppo del capitalismo è stata una
È questo un principio poco approfondito e tuttavia capitale per la comprensione della storia: che un paese sia distrutto dalle invasioni «straniere» o barbariche non vuol dire che la storia di quel paese non è inclusa nella lotta di gruppi sociali. Perché è avvenuta l’invasione? Perché quel
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Si può dire che nessun moto reale acquista coscienza della sua totalitarietà d’un colpo, ma solo per esperienze successive, cioè quando s’accorge, dai fatti, che niente di ciò che è, è naturale (nel senso bislacco della parola) ma esiste perché ci sono certe condizioni, la cui sparizione non rimane senza conseguenze. Così il moto si perfeziona, perde i ca
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La sanzione di questi mutamenti, per tornare all’argomento, è un fatto politico, non morale, dipende non da un giudizio morale, ma da uno di «necessità» per l’avvenire, nel senso che se così non si facesse, danni maggiori potrebbero venire: in politica è giusta una «ingiustizia» piccola per evitarne una più grande ecc.
Dico che è «moralmente» più giustificabile chi si modifica «molecolarmente» (per forza maggiore, s’intende) che chi
Così vediamo uomini normalmente pacifici, dare in scoppi repentini di ira e ferocia. Non c’è, in realtà, niente di repentino: c’è stato un processo «invisibile» e molecolare in cui le forze morali che rendevano «pacifico» quell’uomo, si sono dissolte. Questo fatto da individuale può essere considerato collettivo (si parla allora della «goccia che ha fatto traboccare il vaso» ecc.). Il dramma di tali persone consiste in ciò: Tizio prevede il processo di disfacimento, cioè prevede che diventerà… cannibale, e pensa: se ciò avverrà, a un certo punto del processo mi ammazzo. Ma questo «punto» quale sarà? In realtà ognuno fida nelle sue forze e spera nei casi nuovi che lo tolgano dalla situazione data. E così avviene che
Questo fatto è da studiare nelle sue manifestazioni odierne. Non che il fatto non si sia verificato nel passato, ma è certo che nel presente ha assunto una sua forma speciale e... volontaria. Cioè oggi si conta che esso avvenga e l’evento viene preparato sistematicamente, ciò che nel passato non avveniva (sistematicamente vuol dire però «in massa» senza escludere naturalmente le particolari «attenzioni» ai singoli). È certo che oggi si è infiltrato un elemento «terroristico» che non esisteva nel passato, di terrorismo materiale e anche morale, che non è sprezzabile. Ciò aggrava la responsabilità di coloro che, potendo, non hanno, per imperizia, negligenza, o anche volontà perversa, impedito che certe prove fossero passate. Contro questo modo di vedere antimoralistico c’è la concezione falsamente eroica, retorica, fraseologica, contro la quale ogni sforzo di lotta è poco.
Il problema di che cosa è la «scienza» stessa è da porre. La scienza non è essa stessa «attività politica» e pensiero politico, in quanto trasforma gli uomini, li rende diversi da quelli che erano prima? Se tutto è «politico» occorre, per non cadere in un frasario tautologico e noioso distinguere con concetti nuovi la politica che corrisponde a quella scienza che tradizionalmente si chiama «filosofia», dalla politica che si chiama scienza politica in senso stretto. Se la scienza è «scoperta» di realtà ignorata prima, questa realtà non viene concepita come trascendente in un certo senso? e non si pensa che esiste ancora qualcosa di «ignoto» e quindi di trascendente? E il concetto di scienza come «creazione» non significa poi come «politica»? Tutto sta nel vedere se si tratta di creazione «arbitraria» o razionale, cioè «utile» agli uomini per allargare il loro concetto della vita, per rendere superiore (sviluppare) la vita stessa.
A proposito del
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Insistere nello svolgimento del concetto che mentre Cavour era consapevole del suo compito in quanto era consapevole criticamente
Dopo il 1848 una critica dei metodi precedenti al fallimento fu fatta solo dai moderati e infatti tutto il movimento moderato si rinnovò, il neoguelfismo fu liquidato, uomini nuovi occuparono i primi posti di direzione. Nessuna autocritica invece da parte del mazzinianismo oppure autocritica liquidatrice, nel senso che molti elementi abbandonarono Mazzini e formarono l’ala sinistra del partito piemontese; unico tentativo «ortodosso», cioè dall’interno, furono i saggi del Pisacane, che però non divennero mai piattaforma di una nuova politica organica e ciò nonostante che il Mazzini stesso riconoscesse che il Pisacane aveva una «concezione strategica» della Rivoluzione nazionale italiana.
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Inoltre è da riconoscere che è essendo molto diffusa una concezione deterministica e meccanica della storia (concezione che è del senso comune ed è legata alla passività delle grandi masse popolari) ogni singolo, vedendo che, nonostante il suo non intervento, qualcosa tuttavia avviene, è portato a pensare che appunto al disopra dei singoli esiste una entità fantasmagorica, l’astrazione dell’organismo collettivo, una specie di divinità autonoma, che non pensa con nessuna testa concreta, ma tuttavia pensa, che non si muove con determinate gambe di uomini, ma tuttavia si muove ecc.
Potrebbe sembrare che alcune ideologie, come quella dell’idealismo attuale (di Ugo Spirito) per cui si identifica l’individuo e lo Stato, dovrebbero rieducare le coscienze individuali, ma non pare ciò avvenga di fatto, perché questa
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Questo aspetto è connesso all’altro, della «radunata». È da osservare che la difficoltà tecnica contro cui andarono sempre a spezzarsi le iniziative mazziniane fu quella appunto della «radunata rivoluzionaria». Sarebbe interessante, da questo punto di vista, studiare il tentativo di invadere la Savoia col Ramorino, poi quello dei fratelli Bandiera, del
In ogni modo lo svolgersi del processo del Risorgimento, se pose in luce l’importanza enorme del movimento «demagogico» di massa, con capi di fortuna, improvvisati ecc., in realtà fu riassunto dalle forze tradizionali organiche, cioè dai partiti formati di lunga mano, con elaborazione razionale dei capi ecc. In tutti gli avvenimenti politici dello stesso tipo sempre si ebbe lo stesso risultato (così nel 1830, in Francia, la prevalenza degli orleanisti sulle forze popolari radicali democratiche, e così in fondo anche nella Rivoluzione Francese del 1789, in cui Napoleone, rappresenta, in ultima analisi, il trionfo delle forze borghesi organiche contro le forze piccolo-borghesi giacobine). Così nella guerra mondiale il sopravvento dei vecchi ufficiali di carriera su quelli di complemento ecc. (su questo argomento cfr. note in altri quaderni). In ogni caso, l’assenza nelle forze radicali popolari di una consapevolezza del compito dell’altra parte impedì ad esse di avere piena consapevolezza del loro proprio compito e quindi di pesare nell’equilibrio finale delle forze, in rapporto al loro effettivo
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Altro elemento storico da richiamare è lo sviluppo del Cristianesimo nel seno dell’Impero Romano, così come il fenomeno attuale del Gandhismo in India e la teoria della non resistenza al male di Tolstoi che tanto si avvicinano alla prima fase del Cristianesimo (prima dell’editto di Milano). Il Gandhismo e il tolstoismo sono teorizzazioni ingenue e a tinta religiosa della «rivoluzione passiva». Sono anche da richiamare alcuni movimenti così detti «liquidazionisti» e le reazioni che suscitarono, in rapporto ai tempi e alle forme determinate di situazioni (specialmente del terzo momento).
Il punto di partenza dello studio sarà la trattazione di Vincenzo Cuoco, ma è evidente che l’espressione del Cuoco a proposito della Rivoluzione Napoletana del 1799 non è che uno spunto, poiché il concetto è
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È da notare inoltre come in questa discussione manchi ogni serietà di preparazione: le teorie del Croce saranno da accogliere o da respingere, ma bisognerebbe conoscerle con esattezza e citarle con scrupolo. Invece è da notare come nella discussione esse siano riferite a orecchio, «giornalisticamente». È evidente che il momento «artistico» come categoria, nel Croce, anche se esso è presentato come momento della pura forma, non è il presupposto di nessun calligrafismo né la negazione di nessun contenutismo, cioè del vivace irrompere di nessun nuovo motivo culturale. Neanche conta, in realtà, il concreto atteggiamento del Croce, come
§ cose quistioni che conosce quanto il cinese, di cui ignora il linguaggio tecnico, la posizione storica, la connessione con altre quistioni, talvolta gli stessi elementi fondamentali distintivi. Del cinese almeno sa che è una lingua di un determinato popolo che abita in un determinato punto del globo: di queste quistioni ignora la topografia ideale e i confini che le limitano.
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A proposito dei rapporti tra Stato e Chiesa è da vedere l’atteggiamento del gruppo del «Saggiatore» (nel febbraio 1933 un articolo in proposito, al quale
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I punti di vista del gruppo del «Saggiatore» sono interessanti in quanto dimostrano l’insofferenza per i sistemi filosofici verbalistici, ma esso stesso è un qualcosa di indistinto e incondito. È però un documento di quanto la cultura moderna sia permeata dei concetti realistici della filosofia della praxis. È da notare come contemporaneamente (cfr. stesso
§ dice avrebbe detto
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Questa formula del «mondo che va» a sinistra o a destra o verso un compromesso ecc. ha incominciato a diffondersi in Italia nel 1921 ed era un segno evidente della demoralizzazione che conquistava vasti strati della popolazione. Si potrebbe ricostruire questo movimento intellettuale quasi con una data certa. Che la formula in sé non significhi nulla, è vero. Intanto è comoda l’espressione del «mondo» corpulento che va in qualche parte. Si tratta di una «previsione» che non è altro che un giudizio sul presente, interpretato nel modo più facilonesco, per rafforzare un determinato programma d’azione con la suggestione degli imbecilli e dei pavidi. Ma se il compito dell’intellettuale è visto come quello di mediatore tra due estremismi e questo compito di
Su questo nesso di problemi è da vedere l’articolo di Ugo Spirito nell’«Italia Letteraria» del 13 novembre 1932 (
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È da notare, in ogni modo, la giustezza fondamentale dell’intuizione dello Spirito, per la quale, ammesso che il classismo sia stato superato dal corporativismo e da una forma qualsiasi di economia regolata e programmatica, le vecchie forme sindacali nate sul terreno del classismo devono essere aggiornate, ciò che potrebbe anche voler dire assorbite dalla corporazione (da ciò si deduce che la resistenza del vecchio sindacalismo formale e astratto è una forma di critica reale ad affermazioni che si possono fare solo sulla carta). Cioè il sindacalismo astratto e formale è solo una forma di feticismo e di superstizione? Nell’elemento con senza le necessarie distinzioni e le indispensabili fasi di transizione, da ciò forse non solo il suo contrasto col Rossoni ma anche quello col Bottai, il cui spirito politico non può non sentire queste necessità. Se si parte dal punto di vista della produzione e non da quello della lotta per la distribuzione del reddito, è evidente che il terreno sindacale deve essere completamente mutato. In una fabbrica di automobili d’una certa estensione, oltre gli operai meccanici, lavora un certo numero di operai di altre «categorie»: muratori, elettricisti, materassai, carrozzieri, pellettieri, vetrai ecc, Questi operai a quale sindacato dovranno appartenere, dal punto di vista della produzione? Certamente al sindacato metallurgico, o meglio ancora, al sindacato dell’automobile, perché il loro lavoro è necessario per la costruzione dell’automobile. Cioè in ogni complesso produttivo, tutti i mestieri sono rivolti alla costruzione dell’oggetto principale per cui il complesso è specializzato. Ma se la base è il salario, è evidente che i muratori dovranno unirsi ai muratori ecc. per regolare il mercato del lavoro ecc. D’altronde pure riconosciuta la necessità che tutti i mestieri di un’azienda produttiva si uniscano per la produzione, intorno al prodotto stesso, occorre tener conto che ogni mestiere è un fatto tecnico in continuo sviluppo e che di questo sviluppo bisogna esista un organo che controlli, diffonda, favorisca le innovazioni progressive. Si può riconoscere che nell’attuale grande azienda razionalizzata, le vecchie qualifiche di mestiere vanno sempre più perdendo importanza e si sviluppano nuove qualifiche, spesso limitate a un’azienda o a un gruppo di aziende: tuttavia l’esigenza rimane ed è dimostrata dalle difficoltà del «turnover» e dalla spesa che l’eccessivo turnover rappresenta per l’azienda stessa. La soluzione rappresentata dai delegati di reparto eletti dalle squadre di lavorazione, per cui nel complesso rappresentativo tutti i mestieri hanno un rilievo, pare sia finora la migliore trovata. È possibile infatti riuni
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Un’altra osservazione notevole è accennata nella recensione del Momigliano: che cioè nel tormento e negli squilibri di Leone Ebreo ci fosse una complicata insoddisfazione della cultura ebraica come di quella profana, insoddisfazione che «è tra i più importanti indizi che il Seicento ci offre della trasformazione che stava avvenendo nelle coscienze ebraiche».
In Italia non esiste antisemitismo proprio per le ragioni accennate dal Momigliano, che la coscienza nazionale si costituì e doveva costituirsi dal superamento di due forme culturali: il particolarismo municipale e il cosmopolitismo cattolico, che erano in stretta connessione fra loro e costituivano la forma italiana più caratteristica di residuo medioevale e feudale. Che il superamento del cosmopolitismo cattolico e in realtà quindi la nascita di uno spirito laico, non solo distinto ma in lotta col cattolicismo, dovesse negli ebrei avere come manifestazione una loro nazionalizzazione, un loro disebreizzarsi, pare chiaro e pacifico. Ecco perché può esser giusto ciò che scrive il Momigliano, che la formazione della coscienza nazionale italiana negli ebrei vale a caratterizzare l’intero processo di formazione della coscienza nazionale italiana, sia come dissoluzione del cosmopolitismo religioso che del particolarismo, perché negli ebrei il cosmopolitismo religioso diventa particolarismo nella cerchia degli Stati nazionali.
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§ e di quella dipendente dalla insoddisfazione che si nota spesso da parte degli economisti a proposito delle definizioni della loro scienza e dei limiti che ad essa si sogliono porre. Anche per il Robbins l’«economia» finisce per avere una significazione amplissima e ge
Pare che il Robbins voglia liberare l’economia dal così detto principio «edonistico» e separare nettamente l’economia dalla psicologia, «rifiutando gli ultimi residui di quella che è stata l’associazione passata tra utilitarismo ed economia» (ciò che probabilmente significa che il Robbins ha elaborato un nuovo concetto dell’utile diverso e più comprensivo di quello tradizionale).
A parte ogni apprezzamento sul merito della quistione, è da mettere in rilievo quali attenti studi gli economisti moderni dedichino a perfezionare continuamente gli strumenti logici della loro scienza, tanto che si può dire che una gran parte del prestigio che gli economisti godono è dovuto al loro rigore formale, all’esattezza dell’espressione ecc. La stessa tendenza non si verifica nell’economia critica che si vale troppo spesso di espressioni stereotipate, e si esprime in un tono di superiorità a cui non corrisponde il valore dell’esposizione: dà l’impressione di arroganza noiosa e niente altro e perciò pare utile mettere in rilievo questo aspetto degli studi economici e della letteratura economica. Nella «Riforma Sociale» le pubblicazioni del tipo di questa del Robbins sono sempre segnalate e non sarà difficile avere una bibliografia in proposito.
È da vedere se l’impostazione che il Robbins dà al problema economico non sia in genere una demolizione della teoria marginalista, quantunque pare egli dica che sull’analisi marginale è possibile costruire «la complessiva teoria economica in modo perfettamente unitario» (cioè abban
Per ciò che riguarda la necessità di una introduzione metodico-filosofica ai trattati di economia, ricordare l’esempio delle prefazioni al primo volume di Economia critica e al volume di Critica dell’Economia politica: ognuna di esse è forse troppo breve e scarna, ma il principio è
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Non è però esatto porre la quistione così: «Era vero ... che l’economia dell’Italia meridionale era agricola, feudale e che quella della restante Italia era più industriale e moderna». Nell’Italia meridionale c’era e c’è una determinata attività agricola e il protezionismo agrario giovò più al Nord che al Sud, perché fu protezione sui cereali, di cui il Nord era grande produttore (relativamente più del Sud). La differenza tra Nord e Sud era anche e specialmente nella composizione sociale, nella diversa posizione delle masse contadine, che nel Sud dovevano mantenere col loro lavoro una troppo grande quantità di popolazione passiva economicamente, di redditieri ecc. Né si può dire che «la pratica di raccoglimento e di modestia» nei primi trent’anni del regno – una pratica più modesta di quella che realmente si ebbe, «avrebbe fermato il progresso delle attività economiche più bisognose di movimento e di ricchezza ed, esercitata nell’interesse del meridionale, avrebbe conseguito l’effetto di rifondere e di riorganizzare la vita italiana sulla base del
Anche la funzione del movimento socialista nella formazione dell’Italia moderna è presentata in modo non esatto per molti aspetti, sebbene sia esaltata e lodata. La posizione di Bonomi fu una caricatura di quella che era stata prospettata da Engels nella «Critica Sociale» (prime annate) e in questo senso era naturale la reazione sindacalista che si ispirò in parte alle indicazioni dell’Engels, e infatti fu piuttosto meridionalista ecc. (il Valitutti si deve riferire al mio articolo sulla quistione meridionale). Per la posizione del Bonomi sarà da vedere il suo libro sulle
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Il metodo che la disciplina universitaria prescrive per ogni forma di ricerca è ben altro e ben altro è il risultato: è «la formazione dell’intelletto, cioè un abito di ordine e di sistema, l’abito di riportare ogni conoscenza nuova a quelle che possediamo, e di aggiustarle insieme, e, quel che più importa, l’accettazione e l’uso di certi principii, come centro di pensiero... Là dove esiste una tale facoltà critica, la storia non è più un libro di novelle, né la biografia un romanzo; gli oratori e le pubblicazioni della giornata perdono la infallibilità; la eloquenza non vale più il pensiero, né le affermazioni audaci o le descrizioni colorite tengono il posto di argomenti». La disciplina universitaria deve essere considera
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Sarebbe da ricercare come sia avvenuto che i vecchi sindacalisti sorelliani (o quasi) a un certo punto siano divenuti semplicemente degli associazionisti o unionisti in generale. Forse il germe di questo decadimento era nello stesso Sorel, cioè in un certo feticismo sindacale o economistico.
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II. La quistione posta dal Panunzio sull’esistenza di un «quarto» potere statale, quello di «determinazione dell’indirizzo politico» pare che debba essere posta in connessione coi problemi suscitati dalla scomparsa dei partiti politici e quindi dallo svuotamento del Parlamento. È un modo «burocratico» di porre un problema che prima era risolto dal normale funzionamento della vita politica nazionale, ma non appare come possa essere la soluzione «burocratica» di esso. I partiti erano appunto gli organismi che nella società civile elaboravano gli indirizzi politici non solo, ma educavano e presentavano gli uomini supposti in grado di applicarli. Nel terreno parlamentare gli «indirizzi» elaborati, totali o parziali, di lunga portata o di carattere immediato, venivano confrontati, sfrondati dai
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Pare che questa serie di affermazioni non sia altro che il programma stesso del «Saggiatore», e questo pare piuttosto una curiosità che una cosa seria. È in fondo, un ripensamento popolaresco del «superuomo» nato dalle più recenti esperienze della vita nazionale, un «superuomo» strapaesano, da circolo dei signori e da farmacia filosofica. Se si riflette, significa che la nuova generazione è diventata, sotto l’aspetto di un volontarismo estremo, della massima abulicità. Non è vero che non abbia ideali: questi solo sono tutti
Pare che l’«originalità» del «Saggiatore» consista nell’aver trasportato alla «vita» il concetto di «esperienza» proprio non già della scienza ma dell’operatore da gabinetto scientifico. Le conseguenze di questa meccanica trasposizione sono poco brillanti: esse corrispondono a ciò che era abbastanza noto col nome di «opportunismo» o di mancanza di principii (ricordare certe interpretazioni giornalistiche del relativismo di Einstein
E tuttavia questo gruppo del «Saggiatore» merita di essere studiato e analizzato: 1) perché esso cerca di esprimere, sia pur rozzamente, tendenze che sono diffuse e vagamente concepite dal gran numero; 2) perché esso è indipendente da ogni «grande filosofo» tradizionale e anzi si oppone a ogni tradizione cristallizzata; 3) perché molte affermazioni del gruppo sono indubbiamente ripetizioni a orecchio di posizioni filosofiche della filosofia della praxis entrate nella cultura generale ecc. (Ricordare il «provando e riprovando» dell’on. Giuseppe Canepa come Commissario per gli approvvigionamenti durante la guerra: questo Galileo della scienza amministrativa aveva bisogno di una esperienza con morti e feriti per sapere che dove manca il pane corre sangue).
La debolezza di tale tendenza «interpretativa» consiste in ciò che rimase puro fatto intellettuale, non divenne la premessa a un movimento politico nazionale. Solo con Piero Gobetti ciò stava delineandosi e in una
Una quistione che il Rosselli non pone bene nel
§ è sarebbe assurdo «rimproverare» agli Americani di non avere grandi artisti quando hanno «grandi tecnici», come sarebbe rimproverare al Rinascimento di aver avuto grandi pittori e scultori e non grandi tecnici, si può trovare in Carlyle (del nel tempo o nell’ambiente determinato.
Si può tuttavia dire che in tempi di avvilimento pubblico, di compressione ecc. è impossibile ogni forma di «grandezza». Dove il grande carattere morale è combattuto non si può essere grande artista ecc. Metastasio non può essere Dante o Alfieri. Dove prospera Ojetti può esserci un Dante? Forse un Michele Barbi! Ma la quistione in generale non pare seria, se impostata sulla necessità che appaiano grandi genii. Si può solo giudicare dell’atteggiamento verso la vita, più o meno conformista o eroico, metastasiano o alfieriano, il che certo non è poco. Non è da escludere che dove la tradizione ha lasciato un largo strato di intellettuali, e un interesse vivace o prevalente per certe attività, si sviluppino «genii» che non corrispondono ai tempi in cui vivono concretamente, ma a quelli in cui vivono «idealmente» e culturalmente. Machiavelli potrebbe essere uno di questi. Inoltre si dimentica che ogni tempo o ambiente è contraddittorio e che si esprime e si corrisponde al proprio tempo o ambiente combattendoli strenuamente oltre che collaborando alle forme di vita ufficiale. Pare che anche in questo argomento è da tener conto della quistione degli intellettuali e del loro modo di selezionarsi nelle varie epoche di sviluppo della civiltà. E da questo punto di vista può esserci molta verità nell’affermazione americana. Epoche progressive nel campo pratico possono non aver avuto il tempo ancora di manifestarsi nel campo creativo estetico e intellettuale, o possono essere in questo arretrate, filistee ecc.
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Si potrebbero estrarre alcune delle sue massime miglio
«La vera Babele non è tanto dove si parlano lingue diverse, ma dove tutti credono di parlare la stessa lingua, e ciascuno dà alle stesse parole un significato diverso».
«Tanto è il valore del pensiero teorico per un proficuo operare, che talvolta può dare buon frutto anche la più balorda delle teorie, che è quella: non teorie ma fatti». («Pègaso» del giugno 1933).
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La mentalità alla Deville è sempre stata diffusa. Quistione dell’offensiva e della difensiva. È da domandare se ogni qualvolta lo «scrutinio» era favorevole alla sinistra, non ci sia stata una preparazione di colpo di Stato da parte della destra, che non avrebbe mai permesso alla sinistra di avere dalla sua parte la forza e il prestigio della così detta «legalità» statale. (Ricordare gli articoli del Garofalo nell’«Epoca» del 1922. Il libro di Nino Daniele su D’Annunzio politico. Modo di impostare la narrazione degli avvenimenti del 1918-19-20 ecc.). Nelle memorie del diplomatico Aldovrandi pubblicate nella «Nuova Antologia» del 15 maggio – 1° giugno 1933 alcuni spunti utilissimi per valutare gli avvenimenti dell’aprile 1919 a Milano. La quistione legata a quella della così detta «violenza» come metodo dogmatico, stupidissima forma di rosolia di quegli anni. (Orlando, che nell’aprile 1919 era a Parigi, non deve essere stato estraneo agli avvenimenti di Milano, che erano
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Ma da un punto di vista obiettivo, come ancora oggi per certi strati della popolazione è «attuale» Voltaire, così possono essere attuali, e anzi lo sono, questi gruppi letterari e le combinazioni che essi rappresentano: obiettivo vuol dire, in questo caso, che lo sviluppo del rinnovamento intellettuale e morale non è simultaneo in tutti gli strati sociali, tutt’altro: ancora oggi, giova ripeterlo, molti sono tolemaici e non copernicani. (Esistono molti «conformismi», molte lotte per nuovi conformismi, e combinazioni diverse tra ciò che è, variamente atteggiato, e ciò che si lavora a far diventare, e sono molti che lavorano in questo senso). Porsi dal punto di vista di una «sola» linea di movimento progressivo, per cui ogni acquisizione nuova si accumula e diventa la premessa di nuove acquisizioni, è grave errore: non solo le linee sono molteplici, ma si verificano anche dei passi indietro nella linea «più» progressiva. Inoltre il Nizan non sa porre la quistione della così detta «letteratura popolare», cioè della fortuna che ha in mezzo alle masse nazionali la letteratura da appendice (avventurosa, poliziesca, gialla ecc.), fortuna che è aiutata dal cinematografo e dal giornale. Eppure è questa quistione che rappresenta la parte maggiore del problema di una nuova letteratura in quanto espressione di un rinnovamento intellettuale e morale: perché solo dai lettori della letteratura d’appendice si può selezionare il pubblico sufficiente e necessario per creare la base culturale della nuova letteratura. Mi pare che il problema sia questo: come creare un corpo di letterati che artisticamente stia alla
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Questo fatto è della massima importanza per il concetto di «rivoluzione passiva»: che cioè non un gruppo sociale sia il dirigente di altri gruppi, ma che uno Stato, sia pure limitato come potenza, sia il «dirigente» del gruppo che esso dovrebbe essere dirigente e possa porre a disposizione di questo un esercito e una forza politico-diplomatica. Si può riferirsi a quella che è stata chiamata la funzione del «Piemonte» nel linguaggio politico-storico internazionale. La Serbia prima della guerra si atteggiava a «Piemonte» dei Balcani. (Del resto la Francia, dopo il 1789 e
L’importante è di approfondire il significato che ha una funzione tipo «Piemonte» nelle rivoluzioni passive, cioè il fatto che uno Stato si sostituisce ai gruppi sociali locali nel dirigere una lotta di rinnovamento. È uno dei casi in cui si ha la funzione di «dominio» e non di «dirigenza» in questi gruppi: dittatura senza egemonia. L’egemonia sarà di una parte del gruppo sociale sull’intiero gruppo, non di questo
II. Studi rivolti a cogliere le analogie tra il periodo successivo alla caduta di Napoleone e quello successivo alla guerra del ’14-18. Le analogie sono viste solo sotto due punti di vista: la divisione territoriale e quella, più vistosa e superficiale, del tentativo di dare una organizzazione giuridica stabile ai rapporti internazionali (Santa Alleanza e Società delle Nazioni). Pare invece che il tratto più importante da studiare sia quello che si è detto della «rivoluzione passiva», problema che non appare vistosamente perché manca un parallelismo esteriore alla Francia del 1789-1815. E tuttavia tutti riconoscono che la guerra del ’14-18 rappresenta una frattura storica, nel senso
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2) Ma anche la cultura europea ha subito un processo di
3) Dai due primi punti risulta che si tiene conto del processo culturale che si impersona negli intellettuali; non è da parlare delle culture popolari, per le quali non si può parlare di elaborazione critica e di processo di sviluppo.
4) Non è neanche da parlare di quei processi culturali che culminano nell’attività reale, come si verificò nella Francia del secolo XVIII, o almeno è da parlarne solo in connessione col processo culminato in Hegel e nella filosofia classica tedesca, come una riprova «pratica», nel senso cui si è più volte e altrove accennato, della reciproca traducibilità dei due processi, l’uno, quello francese, politico-giuridico, l’altro, quello tedesco, teorico-speculativo.
5) Dalla decomposizione dell’hegelismo risulta l’inizio di un nuovo processo culturale, di carattere diverso da quelli precedenti, in cui, cioè, si unificano il movimento pratico e il pensiero teorico (o cercano di unificarsi attraverso una lotta e teorica e pratica).
6) Non è rilevante il fatto che tale nuovo movimento abbia la sua culla in opere filosofiche mediocri, o, per lo meno, non in capola
7) Che tale inizio risulti dal confluire di vari elementi, apparentemente eterogenei, non maraviglia: Feuerbach, come critico di Hegel, la scuola di Tubinga come affermazione della critica storica e filosofica della religione ecc. Anzi è da notare che un tale capovolgimento non poteva non avere connessioni con la religione.
8) La filosofia della prassi come risultato e coronamento di tutta la storia precedente. Dalla critica dell’hegelismo nascono l’idealismo moderno e la filosofia della prassi. L’immanentismo hegeliano diventa storicismo; ma è storicismo assoluto solo con la filosofia della prassi, storicismo assoluto
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Il Monaco ha cercato di ricostruire la lista di questi lottatori, ma ha dovuto limitarsi ai condannati alle pene più gravi e specialmente ai condannati dalle Grandi Corti speciali e che passarono lunghi anni nelle galere. Questi sono stati circa un migliaio, di varia origine sociale: possidenti e commercianti, medici e avvocati, sarti e falegnami, contadini e braccianti... Il libro del Monaco deve essere molto interessante per varie ragioni: 1) perché mostra che gli elementi attivi politici furono nel Napoletano più numerosi di quanto si potesse pensare (100.000 sospetti e sottoposti a misure di polizia è un bel numero in tempi in cui i partiti erano embrionali); 2) perché dà informazioni sul regime carcerario borbonico per i politici e per i comuni (che si trovavano insieme): 157 politici morirono in galera, almeno 10 divennero pazzi; 3) si può, dal libro, vedere quale partecipazione dettero all’attività politica le diverse categorie sociali. Il bagno di Procida fu il più popolato di politici: nel 1854 ve ne erano 398.
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Il parallelo tra Greci e Romani è un falso e inutile problema, di origine e carattere politico. Hanno avuto i Romani una filosofia? Hanno avuto un loro «modo di pensare» e di concepire l’uomo e la vita e questa è stata la loro reale «filosofia», incorporata nelle dottrine giuridiche e nella pratica politica. Si può dire (in un certo senso) per i Romani e i Greci ciò che Hegel dice a proposito della politica francese e della filosofia tedesca.
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Tutto ciò è relativo, s’intende. Questo anello intermedio non manca mai del tutto, ma può essere molto debole «quantitativamente» e quindi materialmente nell’impossibilità di sostenere il suo compito. Ancora: ciò può avvenire per un gruppo sociale e non per un altro. Nei gruppi subalterni il fenomeno si verifica più spesso e in modo più grave, per la difficoltà, insita nell’essere «subalterno», della di una continuità organica dei ceti intellettuali dirigenti e per il fatto che per i pochi elementi che possono esistere all’altezza dell’epoca storica è difficile organizzare ciò che gli americani chiamano trust dei cervelli.
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La funzione di Lorenzo è importante per ricostruire il nodo storico italiano che rappresenta il passaggio da un periodo di sviluppo imponente delle forze borghesi alla loro decadenza rapida ecc. Lo stesso Lorenzo può essere assunto come «modello» della incapacità borghese di quell’epoca a formarsi in classe indipendente e autonoma per l’incapacità di subordinare gli interessi personali e immediati a programmi di vasta portata. In questo caso, saranno da vedere i rapporti con la Chiesa di Lorenzo e dei Medici che lo precedettero e gli successero. Chi sostiene che il Savonarola fu «uomo del Medio Evo» non tiene sufficiente conto della sua lotta col potere statale ecclesiastico, lotta che in
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