Il Croce aveva già notato (nel suo saggio sulla Serao,
Il brano di Balzac potrebbe anche connettersi con l’espressione «oppio del popolo» impiegata nella
È probabile che il passaggio dall’espressione «oppio della miseria» usata dal Balzac per il lotto, all’espressione «oppio del popolo» per la religione, sia stato aiutato dalla riflessione sul «pari» di Pascal, che avvicina la religione al gioco d’azzardo, alle scommesse. È da ricordare che proprio nel 1843 Victor Cousin segnalò il manoscritto autentico delle
Dopo il discorso contro l’indifferenza degli atei che serve come introduzione generale dell’opera, Pascal esponeva la sua tesi dell’impotenza della ragione, incapace di saper tutto e di saper qualcosa con certezza, ridotta a giudicare dalle fosse sia stato conosciuto prima) e ha cercato di dare dignità e giustificazione al modo di pensare popolare (quante volte si è sentito dire: «cosa ci perdi ad andare in chiesa, a credere in Dio? Se non c’è, pazienza; ma se c’è, quanto ti sarà utile aver creduto? ecc.). Questo modo di pensare, anche nella forma pascaliana del «pari», sente alquanto di volterrianismo e ricorda il modo di esprimersi di Heine: «chissà che il padre eterno non ci prepari una qualche bella sorpresa dopo la morte» o qualcosa di simile. (Vedere come gli studiosi del Pascal spiegano e giustificano moralmente l’argomento del «pari». Ci deve essere uno studio di P. P. Trompeo nel volume
Da un articolo di Arturo Marescalchi,
Del resto c’è una stretta connessione tra il lotto e la religione, le vincite mostrano che si è stati «eletti», che si è avuta una particolare grazia da un Santo o dalla Madonna. Si potrebbe fare un confronto tra la concezione attivistica della grazia presso i protestanti che ha dato la forma morale allo spirito d’intrapre
È da vedere inoltre se Baudelaire nel titolo del suo libro
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Questo lavoro preliminare rende possibile ogni ulteriore ricerca. Tra le opere del pensatore dato, inoltre, occorre distinguere tra quelle che egli ha condotto a termine e pubblicate e quelle rimaste inedite, perché non compiute, e pubblicate da qualche amico o discepolo, non senza revisioni, rifacimenti, tagli, ecc., ossia non senza un intervento attivo dell’editore. È evidente che il contenuto di queste opere postume deve essere assunto con molta discrezione e cautela, perché non può
Nel caso specifico del fondatore della filosofia della praxis, l’opera letteraria può essere distinta in queste sezioni: 1) lavori pubblicati sotto la responsabilità diretta dell’autore: tra questi devono essere considerati, in linea generale, non solo quelli materialmente dati alle stampe, ma quelli «pubblicati» o messi in circolazione in qualsiasi modo dall’autore, come le lettere, le circolari, ecc. (un esempio tipico sono le
L’una e l’altra sezione dovrebbero essere ricostruite per periodi cronologico-critici, in modo da poter stabilire confronti validi e non puramente meccanici ed arbitrari.
Dovrebbe essere minutamente studiato e analizzato il lavoro di elaborazione compiuto dall’autore sul materiale delle opere poi da lui stesso stampate: questo studio darebbe per lo meno degli indizi e dei criteri per valutare criticamente l’attendibilità delle redazioni compilate da altri delle opere postume. Quanto più il materiale preparatorio delle
Anche lo studio dell’epistolario deve essere fatto con certe cautele: un’affermazione recisa fatta in una lettera non sarebbe forse ripetuta in un libro. La vivacità stilistica delle lettere, se spesso è artisticamente più efficace dello stile più misurato e pondera
Solo in seconda linea, nello studio di un pensiero originale e innovatore, viene il contributo di altre persone alla sua documentazione. Così, almeno in linea di principio, come metodo, deve essere impostata la quistione dei rapporti di omogeneità tra i due fondatori della filosofia della praxis. L’affermazione dell’uno o dell’altro sull’accordo reciproco vale solo per l’argomento dato. Anche il fatto che uno ha scritto qualche capitolo per il libro scritto dall’altro, non è una ragione perentoria perché tutto il libro sia considerato come risultato di un perfetto accordo. Non bisogna sottovalutare il contributo del secondo, ma non bisogna neanche identificare il secondo col primo, né bisogna pensare che tutto ciò che il secondo ha attribuito al primo sia assolutamente autentico e senza infiltrazioni. È certo che il secondo ha dato la prova di un disinteresse e di un’assenza di vanità personale unici nella storia della letteratura, ma non di ciò si tratta, né di porre in dubbio l’assoluta onestà scientifica del secondo. Si tratta che il secondo non è il primo e che se si vuole conoscere il primo occorre cercarlo specialmente nelle sue opere autentiche, pubblicate sotto la sua diretta
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2. Occorrerebbe fare per la filosofia della praxis un lavoro come quello che il Bernheim ha fatto per il metodo storico (E. Bernheim:
3. Intorno a questi argomenti è da richiamare qualche osservazione della serie «Riviste tipo» e di quelle intorno a un «Dizionario critico».
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2) Esame di
3) Informazioni sulla tiratura, sul personale, sulla direzione, sui finanziatori, sulla pubblicità. Insomma si dovrebbe ricostruire per ogni capitale l’assieme del meccanismo editoriale periodico che diffonde le tendenze ideologiche che operano continuamente e simultaneamente sulla popolazione.
4) Stabilire il rapporto della stampa della capitale con quella delle province; questo rapporto varia da paese a paese. In Italia la diffusione dei giornali romani è molto inferio
5) Per certi paesi occorre tener conto dell’esistenza di altri centri dominanti oltre la capitale, come Milano per l’Italia, Barcellona per la Spagna, Monaco per la Germania, Manchester e Glasgow per l’Inghilterra, ecc.
6) Per l’Italia lo studio potrebbe essere esteso a tutto il paese e a tutta la stampa periodica, graduando l’esposizione per importanza dei centri: per es.: 1° Roma, Milano; 2° Torino, Genova; 3° Trieste, Bologna, Napoli, Palermo, Firenze, ecc.; 4° Stampa settimanale politica; 5° Riviste politiche, letteratura, scienza, religione, ecc.
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(A questo proposito è da vedere ciò che ha scritto Antonio Labriola nel frammento postumo del libro non scritto
Invece la polemica del Barbagallo era proprio il contrario di progressiva, tendeva a diffondere scetticismo, a togliere ai
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L’argomento è stato in parte trattato dal Presidente della Westminster Bank nel discorso tenuto nell’assemblea sociale del 1929: l’oratore ha accennato ai
Cosa è avvenuto dopo il crollo della sterlina di tutti questi punti di vista? (Sarebbe interessante vedere quali termini del linguaggio commerciale sono diventati internazionali per questa funzione di Londra, termini che ricorrono spesso non solo nella stampa tecnica, ma anche nei giornali e nella stampa periodica politica generale).
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Il libro è diviso in varie sezioni. Tra le polemiche (1a sezione) è notevole quella
Tra le lettere (4a sezione) quella indirizzata alla «Gazzetta di Mantova» a proposito del pellegrinaggio alla tomba di Vittorio Emanuele II (nella «Gazzetta di Mantova» del 29 novembre 1883). L’Ardigò aveva accettato di far parte di un comitato promotore del pellegrinaggio. «Il pellegrinaggio però non andava ai versi a molti scalmanati rivoluzionari, che si erano immaginati che io la pensassi come loro e quindi sconfessassi la mia fede politico-sociale colla suddetta adesione. E così si espressero privatamente e pubblicamente colle più fiere invettive al mio indirizzo». Le lettere dell’Ardigò sono enfatiche ed altisonanti: «Ieri, perché tornava loro conto di farmi passare per uno dei loro, che non sono mai stato (e lo sanno o devono saperlo), mi proclamarono, con lodi che mi facevano schifo, il loro maestro; e ciò senza intendermi o intendendomi a rovescio. Oggi, perché non mi trovano pronto a prostituirmi alle loro mire parricide, vogliono pigliarmi per un orecchio perché ascolti e impari la lezione che (molto ingenuamente) si arrogano di recitarmi. Oh! quanto ho ragione di dire con Orazio: Odi profanum vulgus et arceo!»
In una successiva lettera del 4 dicembre 1883 al «Bacchiglione», giornale democratico di Padova, scrive: «Come sapete fui amico di Alberto Mario; ne venero la memoria e caldeggio con tutta l’anima quelle idee e quei sentimenti che ebbi comuni con lui. E conseguentemente avverso senza esitazione le basse fazioni anarchiche antisociali... Tale mia avversione l’ho sempre espressa recisissimamente. Alcuni anni fa in un’adunanza della Società dell’Eguaglianza sociale di Mantova ho parlato così: “La sintesi delle vostre
Tra i pensieri, tutti triti e banali, spicca quello sul
Il brano è stato pubblicato la prima volta in un numero unico (forse stampato dal «Giornale d’Italia») a beneficio della Croce Rossa, nel gennaio 1915. È interessante non so
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È avvenuto questo: la filosofia della praxis ha subito realmente una doppia revisione, cioè è stata sussunta in una doppia combinazione filosofica. Da una parte, alcuni suoi elementi, in modo esplicito o implicito, sono stati assorbiti e incorporati da alcune correnti idealistiche (basta citare il Croce, il Gentile, il Sorel, lo stesso Bergson, il pragmatismo; dall’altra i così detti ortodossi, preoccupati di trovare una filosofia che fosse, secondo il loro punto di vista molto
Il Labriola si distingue dagli uni e dagli altri per la sua affermazione (non sempre sicura, a dire il vero) che la filosofia della praxis è una filosofia indipendente e originale che ha in se stessa gli elementi di un ulteriore sviluppo per diventare da interpretazione della storia filosofia generale. Occorre lavorare appunto in questo senso, sviluppando la posizione di Antonio Labriola, di cui i libri di Rodolfo Mondolfo non paiono (almeno per quanto si ricorda) un coerente svolgimento. Pare che il Mondolfo non abbia mai abban
Perché la filosofia della praxis ha avuto questa sorte, di aver servito a formare combinazioni, coi suoi elementi principali, sia coll’idealismo che con il materialismo filosofico? Il lavoro di ricerca non può non essere complesso e delicato: domanda molta finezza nell’analisi e sobrietà intellettuale. Perché è molto facile lasciarsi prendere dalle somiglianze esteriori e non vedere le somiglianze nascoste e i nessi necessari ma camuffati. L’identificazione dei concetti che la filosofia della praxis ha «ceduto» alle filosofie tradizionali e per cui queste hanno trovato un qualche istante di ringiovanimento, deve essere fatta con molta cautela critica, e significa né più né meno che fare la storia della cultura moderna dopo l’attività dei fondatori della filosofia della praxis. L’assorbimento esplicito evidentemente non è difficile da rintracciare, quantunque anche esso debba essere analizzato criticamente. Un esempio classico è quello rappresentato dalla riduzione crociana della filosofia della praxis a canone empirico di ricerca storica, concetto che è penetrato anche fra i cattolici (cfr. il libro di mons. Olgiati), che ha contribuito a creare la scuola storiografica economico-giuridica italiana che si è diffusa anche fuori d’Italia. Ma la ricerca più difficile e delicata è quella degli assorbimenti «impliciti», non confessati, avvenuti appunto perché la filosofia della praxis è stata un momento della cultura moderna, un’atmosfera diffusa, che ha modificato i vecchi modi di pensare per azioni e reazioni non apparenti e non immediate. Lo studio del Sorel è specialmente interessante da questo punto di vista, perché attraverso il Sorel e la sua fortuna si possono avere molti indizi in proposito; così dicasi del Croce. Ma lo studio più importante pare debba essere quello della filosofia bergsoniana e il pragmatismo per vedere in quanto certe loro posizioni sarebbero inconcepibili senza l’anello storico della filosofia della praxis.
L’altro aspetto della quistione è ancor più interessante. Perché anche i così detti ortodossi hanno «combinato» la filosofia della praxis con altre filosofie e con una piuttosto che con altre in prevalenza? Infatti quella che conta è la combinazione col materialismo tradizionale; la combinazione col kantismo non ha avuto che un successo limitato e presso solo ristretti gruppi intellettuali. Sull’argomento è da vedere il saggio della Rosa sui del tempo tedesca, e per suscitare un gruppo di intellettuali proprii del nuovo gruppo sociale di cui era la concezione del mondo. D’altra parte la cultura moderna, specialmente idealistica, non riesce a elaborare una cultura popolare, non riesce a dare un contenuto morale e scientifico ai propri programmi scolastici, che rimangono schemi astratti e teorici; essa rimane la cultura di una ristretta aristocrazia intellettuale, che talvolta ha presa sulla gioventù solo in quanto diventa politica immediata e occasionale.
È da vedere se questo modo di «schieramento» culturale non sia una necessità storica e se nella storia passata non si ritrovino schieramenti simili, tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo. L’esempio classico e precedente alla modernità, è indubbiamente quello del Rinascimento in Italia e della Riforma nei paesi protestanti. Nel volume
Una concezione della filosofia della praxis come riforma popolare moderna (poiché sono dei puri astrattisti quelli che aspettano una riforma religiosa in Italia, una nuova edizione italiana del calvinismo, come Missiroli e C.) è stata forse intravista da Giorgio Sorel, un po’ (o molto) dispersamente, intellettualisticamente, per una specie di furore giansenistico contro le brutture del parlamentarismo e dei partiti politici. Sorel ha preso da Renan il concetto della necessità di una riforma intellettuale e morale, ha affermato (in una lettera al Missiroli) che spesso grandi movimenti storici non sono rappresentati da una cultura moderna ecc. Ma mi pare che una tale concezione sia implicita nel Sorel quando si serve del cristianesimo primitivo come termine di paragone, con molta letteratura, è vero, ma tuttavia con più di un granello di verità, con riferimenti meccanici e spesso artificiosi, ma tuttavia con qualche lampo di intuizione profonda. La filosofia della praxis presuppone tutto questo passato culturale, la Rinascita e la Riforma, la filosofia tedesca e la rivoluzione francese, il calvinismo e la economia classica inglese, il liberalismo laico e lo storicismo che è alla base di tutta la concezione moderna della vita. La filosofia della praxis è il coronamento di tutto questo movimento di riforma intellettuale e morale, dialettizzato nel contrasto tra cultura popolare e alta cultura. Corrisponde al nesso Riforma protestante + Rivoluzione francese: è una filosofia che è anche una politica e una politica che è anche una filosofia. Attraversa ancora la sua fase popolaresca: suscitare un gruppo di intellettuali indipendenti non è cosa facile, domanda un lungo processo, con azioni e reazioni, con adesioni e dissoluzioni e nuove formazioni molto numerose e complesse: è la concezione di un gruppo sociale
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Nella «Vossische Zeitung» del 18 giugno 1929 il ministro delle finanze prussiano Hoepker-Aschoff, poneva così la stessa quistione: «Egualmente non è possibile disconoscere la fondatezza della tesi di Roma che, in presenza dei molti cambiamenti politici e territoriali avvenuti, richiedeva che gli accordi venissero adattati alle nuove circostanze». Nello stesso articolo lo Hoepker-Aschoff ricorda che «lo Stato prussiano aveva sempre sostenuto che gli accordi del 1821 erano ancora in vigore». Per il Vaticano, pare, la guerra del 1870 coi suoi mutamenti territoriali e politici (ingrandimenti della Prussia, costituzione dell’Impero germanico sotto l’egemonia prussiana) e il periodo del Kulturkampf non erano «mutamenti» tali da costituire «nuove circostanze», mentre essenziali sarebbero stati i mutamenti avvenuti dopo la grande guerra. È cambiato evidentemente il pensiero giuridico del Vaticano e potrebbe ancora cambiare secondo le convenienze politiche.
«Col 1918 si aveva una importantissima innovazione nel nostro diritto, innovazione che stranamente (ma nel 1918 c’era la censura sulla stampa!) passava tra la disattenzio
(
I concordati intaccano in modo essenziale il carattere di autonomia della sovranità dello Stato moderno. Lo Stato ottiene una contropartita? Certamente, ma la ottiene nel suo stesso territorio per ciò che riguarda i suoi stessi cittadini. Lo Stato tiene (e in questo caso occorrerebbe dire meglio il governo) che la Chiesa non intralci l’esercizio del potere, ma anzi lo favorisca e lo sostenga, così come una stampella sostiene un invalido. La Chiesa cioè si impegna verso una determinata forma di governo (che è determinata dall’esterno, come documenta lo stesso concordato) di promuovere quel consenso di una parte dei governati che lo Stato esplicitamente riconosce di non poter ottenere con mezzi propri: ecco in che consiste la capitolazione dello Stato, perché di fatto esso accetta la tutela di una sovranità esteriore di cui praticamente
Ma anche nel mondo moderno, cosa significa praticamente la situazione creata in uno Stato dalle stipulazioni concordatarie? Significa il riconoscimento pubblico a una casta di cittadini dello stesso Stato di determinati privilegi politici. La forma non è più quella medioevale, ma la sostanza è la stessa. Nello sviluppo della storia moderna, quella casta aveva visto attaccato e distrutto un monopolio di funzione sociale che spiegava e giustificava la sua esistenza, il monopolio della cultura e dell’educazione. Il concordato riconosce nuovamente questo monopolio, sia pure attenuato e controllato, poiché assicura alla casta posizioni e condizioni preliminari che, con le sole sue forze, con l’intrinseca adesione della sua concezione del mondo alla realtà effettuale, non potrebbe mantenere e avere.
Si intende quindi la lotta sorda e sordida degli intellettuali laici e laicisti contro gli intellettuali di casta per salvare
Una ragione di debolezza della Chiesa nel passato consisteva in ciò che la religione dava scarse possibilità di carriera all’infuori della carriera ecclesiastica: il clero stesso era deteriorato qualitativamente dalle «scarse vocazioni» o dalle vocazioni di soli elementi intellettualmente subalterni. Questa crisi era già molto visibile prima della guerra: era un aspetto della crisi generale delle carriere a reddito fisso con organici lenti e pesanti, cioè dell’inquietudine sociale dello strato intellettuale subalterno (maestri, insegnanti medi, preti, ecc.) in cui operava la concorrenza delle professioni legate allo sviluppo dell’industria e dell’organizzazione privata capitalistica in generale (giornalismo, per esempio, che assorbe molti insegnanti, ecc.). Era già incominciata l’invasione delle scuole magistrali o delle Università da parte delle donne e, con le donne, dei preti, ai quali la Curia (dopo le leggi Credaro) non poteva proibire di procurarsi un titolo pubblico che permettesse di concorrere anche a impieghi di Stato e aumentare così la «finanza» individuale. Molti di questi preti, appena ottenuto il titolo pubblico, abbandonarono la Chiesa (durante la guerra, per la mobilitazione e il contatto con ambienti di vita meno soffocanti e angusti di quelli ecclesiastici, questo fenomeno acquistò una certa ampiezza). L’organizzazione ecclesiastica subiva dunque una crisi costituzionale che poteva essere fatale alla sua potenza, se lo Stato avesse mantenuto integra la sua posizione di laicità, anche senza bisogno di una lotta attiva. Nella lotta tra le forme di vita, la Chiesa stava per perire automaticamente, per esaurimento proprio. Lo Stato salvò la Chiesa.
Allargata la
Se lo Stato rinunzia a essere centro attivo e permanentemente attivo di una cultura propria, autonoma, la Chiesa non può che trionfare sostanzialmente. Ma lo Stato non solo non interviene come centro autonomo, ma distrugge ogni oppositore della Chiesa che abbia la capacità di limitarne il dominio spirituale sulle moltitudini.
Si può prevedere che le conseguenze di una tale situazione di fatto, restando immutato il quadro generale delle circostanze, possono essere della massima importanza. La Chiesa è uno Shylok anche più implacabile dello Shylok shakespeariano: essa vorrà la sua libbra di carne anche a costo di dissanguare la sua vittima e con tenacia, mutando continuamente i suoi metodi, tenderà a raggiungere il suo programma massimo. Secondo l’espressione di
Un aspetto della quistione che occorre ben valutare è quello delle possibilità finanziarie del centro vaticano. L’organizzazione sempre più in isviluppo del cattolicismo negli Stati Uniti dà la possibilità di raccogliere fondi molto vistosi, oltre alle rendite normali ormai assicurate (che però dal 1937 diminuiranno di 15 milioni all’anno per la conversione del debito pubblico dal 5% al 3,5%) e all’obolo di S. Pietro. Potrebbero nascere quistioni internazionali a proposito dell’intervento della Chiesa negli affari interni dei singoli paesi, con lo Stato che sussidia permanentemente la Chiesa? La quistione è elegante, come si dice.
La quistione finanziaria rende molto interessante il pro
Brano di lettera di Leone XIII a Francesco Giuseppe (in data pare del giugno 1892, riportata app. 244 e sgg. del libro: Francesco Salata,
Nel conflitto tra Bismarck e la Santa Sede si possono trovare gli spunti di una serie di quistioni che potrebbero essere sollevate per il fatto che il Vaticano ha la sede in Italia ed ha determinati rapporti con lo Stato italiano: Bismarck «fece lanciare da’ suoi giuristi (scrive il Salata, vol. cit., p. 271) la teoria della responsabilità dello Stato italiano per
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Si osserva presso alcuni gruppi fanatici della «naturalità» questa opinione: azioni che alla nostra coscienza appaiono «contro natura» sono per essi «naturali» perché compiute dagli animali; e non sono gli animali «gli esseri più naturali del mondo»? Questa opinione si sente espressa in certi ambienti frequentemente a proposito soprattutto di questioni connesse ai rapporti sessuali. Per esempio: perché l’incesto sarebbe «contro natura» se esso è diffuso nella «natura»? Intanto anche tali affermazioni sugli animali non sempre sono esatte, perché le osservazioni sono fatte su animali addomesticati dall’uomo per il suo utile e costretti a una forma di vita che per gli animali stessi non è «naturale» ma è conforme ai fini dell’uomo. Ma se fosse anche vero che certi atti si verificano tra gli animali, che significato avrebbe ciò per l’uomo? Perché dovrebbe derivarne una norma di condotta? La «natura» dell’uomo è l’insieme dei rapporti sociali che determina una coscienza storicamente definita; questa coscienza solo può indicare ciò che è «naturale» o «contro natura». Inoltre: l’insieme dei rapporti sociali è contradditorio in ogni momento ed è in continuo svolgi
Si sente dire spesso che una certa abitudine è diventata una «seconda natura»; ma la
Constatato che, essendo contradditorio l’insieme dei rapporti sociali, non può non essere contradditoria la coscienza degli uomini, si pone il problema del come si manifesta tale contraddizione e del come possa essere progressivamente ottenuta l’unificazione: si manifesta nell’intero corpo sociale, con l’esistenza di coscienze storiche di gruppo (con l’esistenza di stratificazioni corrispondenti a diverse fasi dello sviluppo storico della civiltà e con antitesi nei gruppi che corrispondono a uno stesso livello storico) e si manifesta negli individui singoli come riflesso di una tale disgregazione «verticale e orizzontale». Nei gruppi subalterni, per l’assenza di autonomia nell’iniziativa storica, la disgregazione è più grave e più forte la lotta per liberarsi dai principii imposti e non proposti nel conseguimento di una coscienza storica autonoma: i punti di riferimento in tale lotta sono disparati e uno di essi, quello appunto che consiste nella «naturalità», nel porre come esemplare la «natura» ottiene molta fortuna perché pare ovvio e semplice. Come invece dovrebbe formarsi questa coscienza storica proposta autonomamente? Come ognuno dovrebbe scegliere e combinare gli elementi per la costituzione di una tale coscienza autonoma? Ogni elemento «imposto» sarà da ripudiarsi a priori? Sarà da ripudiare come imposto, ma non in se stesso, cioè occorrerà dargli una nuova forma che sia propria del gruppo dato. Che l’istruzione sia obbligatoria non significa infatti che sia da ripudiare e neppure che non possa essere giustificata, con nuovi argomenti, una nuova forma di obbligatorietà: occorre fare «libertà» di ciò che è «necessario», ma perciò occorre riconoscere una necessità «obbiettiva», cioè che sia obbiettiva precipuamente per il
Una concezione come quella su esposta pare condurre a una forma di relativismo e quindi di scetticismo morale. Si osserva che altrettanto si può dire di tutte le concezioni fin qui elaborate dalla filosofia, la cui imperatività categorica e oggettiva è stata sempre passibile di essere ridotta, dalla «cattiva volontà», a forme di relativismo e di scetticismo. Perché la concezione religiosa potesse almeno apparire assoluta e oggettivamente universale, sarebbe necessario che essa si presentasse monolitica, per lo meno intellettualmente uniforme in tutti i credenti, ciò che è molto lontano dalla realtà (differenza di scuola, sette, tendenze e differenze di classe: semplici e colti, ecc.): da ciò la funzione del papa come maestro infallibile.
Lo stesso si può dire dell’imperativo categorico di Kant: «opera come vorresti operassero tutti gli uomini nelle stesse circostanze». È evidente che ognuno può pensare, bona fide, che tutti dovrebbero operare come lui, anche quando
L’argomento del pericolo di relativismo e scetticismo non è dunque valido. Il problema da porre è un altro: questa data concezione morale ha in sé i caratteri di una certa durata? oppure è mutevole ogni giorno o dà luogo, nello stesso gruppo, alla formulazione della teoria della doppia verità? Inoltre: sulla sua base può costituirsi una élite che guidi le moltitudini, le educhi e sia capace di essere «esemplare»? Risolti questi punti affermativamente la concezione
Ma ci sarà un periodo di rilassatezza, anzi di libertinaggio e di dissolvimento morale. Ciò è tutt’altro che escluso, ma non è neppure esso argomento valido. Periodi di dissoluzione morale si sono spesso verificati nella storia, pur mantenendo il suo predominio la stessa concezione morale generale e hanno avuto origine da cause reali e concrete e non dalle concezioni morali: essi molto spesso indicano che una concezione è invecchiata, si è disgregata, è diventata pura ipocrisia formalistica, ma tenta di mantenersi in auge coercitivamente, costringendo la società a una vita doppia; all’ipocrisia e alla doppiezza appunto reagiscono in forme esagerate i periodi di libertinaggio e di dissolvimento che annunziano quasi sempre che una nuova concezione si va formando.
Il pericolo di non vivacità morale è invece rappresentato
Al concetto di «naturale» si contrappone quello di «artificiale», di «convenzionale». Ma cosa significa «artificiale» e «convenzionale» quando è riferito ai fenomeni di massa? Significa semplicemente «storico», acquisito attraverso lo svolgimento storico e inutilmente si cerca di dare un senso deteriore alla cosa, perché essa è penetrata anche nella coscienza comune con l’espressione di «seconda natura». Si potrà quindi parlare di artificio e di convenzionalità con riferimento a idiosincrasie personali, non a fenomeni di massa già in atto. Viaggiare in ferrovia è «artificiale» ma non certo come il darsi il belletto alla faccia.
Secondo gli accenni fatti nei paragrafi precedenti, come positività si pone il problema di chi dovrà decidere che una determinata condotta morale è la più conforme a un determinato stadio di sviluppo delle forze produttive. Certo non si può parlare di creare un «papa» speciale o un ufficio competente. Le forze dirigenti nasceranno per il fatto stesso che il modo di pensare sarà indirizzato in questo senso realisti
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Così, quando si legge che uno è ammiratore del Balzac, occorre porsi in guardia: anche nel Balzac c’è molto del romanzo d’appendice. Vautrin è anch’egli, a suo modo, un superuomo, e il discorso che egli fa a Rastignac nel
La fortuna del Nietzsche è stata molto composita: le sue opere complete sono edite dall’editore Monanni e si conoscono le origini culturali-ideologiche del Monanni e della sua più affezionata clientela.
Vautrin e l’«amico di Vautrin» hanno lasciato larga trac
Che si abbia un certo pudore a giustificare mentalmente le proprie
Il tipo del «superuomo» è Montecristo, liberato di quel particolare alone di «fatalismo» che è proprio del basso romanticismo e che è ancor più calcato in Athos e in G. Balsamo. Montecristo portato nella politica è certo oltremodo pittoresco: la lotta contro i «nemici personali» del Montecristo, ecc.
Si può osservare come certi paesi siano rimasti provinciali e arretrati anche in questa sfera in confronto di altri; mentre già Sherlock Holmes è diventato anacronistico per molta Europa, in alcuni paesi si è ancora a Montecristo e a Fenimore Cooper (cfr. «i selvaggi», «pizzo di ferro», ecc.).
Cfr. il libro di Mario Praz:
Adolfo Omodeo ha osservato che esiste una specie di «manomorta» culturale, costituita dalla letteratura religiosa, di cui nessuno pare voglia occuparsi, come se non avesse
In
Da avvicinare al Balzac è lo Stendhal con la figura di Giuliano Sorel e altre del suo repertorio romanzesco.
Per il «superuomo» del Nietzsche, oltre all’influsso romantico francese (e in generale del culto di Napoleone)
Ma forse il «superuomo» popolaresco dumasiano è da ritenersi proprio una reazione «democratica» alla concezione
Come reazione a questa tendenza del romanzo popolare francese è da ricordare Dostojevschi: Raskolnikov è Montecristo «criticato» da un panslavista-cristiano. Per l’influsso esercitato su Dostojevschi dal romanzo francese d’appendice è da confrontare il numero unico dedicato a Dostojevschi dalla «Cultura».
Nel carattere popolaresco del «superuomo» sono contenuti molti elementi teatrali, esteriori, da «primadonna» più che da superuomo; molto formalismo «soggettivo e oggettivo», ambizioni fanciullesche di essere il «primo della classe», ma specialmente di essere ritenuto e proclamato tale.
Per i rapporti tra il basso romanticismo e alcuni aspetti della vita moderna (atmosfera da Conte di Montecristo) è da leggere un articolo di Louis Gillet nella «Revue des deux mondes» del 15 dicembre 1932.
Questo tipo di «superuomo» ha la sua espressione nel teatro (specialmente francese, che continua per tanti rispetti la letteratura d’appendice quarantottesca): è da vedere il repertorio «classico» di Ruggero Ruggeri come
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Sul concordato è anche da vedere il libro di Vincenzo Morello:
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Di questa seconda serie di scritti non bisogna forse fare la raccolta, ma è sufficiente un’esposizione critico-analitica. Forse il piano più organico potrebbe essere quello in tre parti: 1) introduzione storico-critica; 2) scritti sull’Italia; 3) analisi degli scritti attinenti indirettamente l’Italia, cioè che si propongono di risolvere quistioni che sono essenziali e specifiche anche per l’Italia.
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Non si riflette che se l’avversario ti domina e tu lo diminuisci, riconosci di essere dominato da uno che consideri inferiore; ma allora come sarà riuscito a dominarti? Come mai ti ha vinto ed è stato superiore a te proprio in quell’attimo decisivo che doveva dare la misura della tua superiorità e della sua inferiorità? Certo ci sarà stata di mezzo la
Uno spunto letterario: nel capitolo XIV della seconda parte del Don Chisciotte il cavaliere degli Specchi sostiene di aver vinto Don Chisciotte: «Y héchole confesar que es más hermosa mi Casildea que su Dulcinea; y en solo este vencimiento hago cuenta que he vencido á todos los caballeros del mundo, porque el tal Don Quijote que digo, los ha vencido á todos; y habiéndole yo vencido á él, su gloria, su fama y su honra, se ha transferido y pasado á mi persona,
Y tanto el vencedor es más honrado
Cuanto más el vencido es reputado;
así, que ya corren por mi cuenta y son mías las innumerables hazañas del ya referido Don Quijote».
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È da ricercare se sia già stato fatto un tale riavvicinamento tra il metodo istruttorio per ricostruire la responsabilità penale dei singoli individui e il metodo critico, proprio della filosofia della prassi, di ricostruire la «personalità» oggettiva degli accadimenti storici e del loro svolgimento, e (se sia già stato)
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Un’altra osservazione del Macaulay è da ritenere: egli riferisce una sentenza di Eugenio di Savoia, il quale diceva che più grandi generali erano riusciti quelli che erano stati messi d’un tratto alla testa dell’esercito e quindi nella necessità di pensare alle manovre grandi e complessive. Cioè chi per professione è diventato schiavo delle minuzie si burocratizza: vede l’albero e non più la foresta, il regolamento e non il piano strategico. Tuttavia i grandi capitani sapevano contemperare l’una cosa e l’altra: il controllo del rancio dei soldati e la grande manovra ecc.
Si può ancora aggiungere che il giornale si avvicina molto
È certo che il processo dell’incivilimento intellettuale si è svolto per un periodo lunghissimo specialmente nella for
L’arte della stampa ha poi rivoluzionato tutto il mondo culturale, dando alla memoria un sussidio di valore inestimabile e permettendo una estensione dell’attività educatrice inaudita. In questa ricerca è pertanto implicita l’altra, delle modificazioni qualitative oltre che quantitative (estensione di massa) apportate al modo di pensare dallo sviluppo tecnico e strumentale dell’organizzazione culturale.
Anche oggi la comunicazione parlata è un mezzo di diffusione ideologica che ha una rapidità, un’area d’azione e una simultaneità emotiva enormemente più vaste della comunicazione scritta (il teatro, il cinematografo e la radio, con la diffusione di altoparlanti nelle piazze, battono tutte le forme di comunicazione scritta, dal libro, alla rivista, al giornale, al giornale murale) ma in superficie, non in profondità.
Le Accademie e le Università come organizzazioni di cultura e mezzi per diffonderla. Nelle Università la lezione orale e i lavori di seminario e di gabinetto sperimentale, la funzione del grande professore e quella dell’assistente. La funzione dell’assistente professionale e quella degli «anziani di Santa Zita» della scuola di Basilio Puoti, di cui parla il De Sanctis, cioè la formazione nella stessa classe di assistenti «volontari», avvenuta per selezione spontanea dovuta agli stessi allievi che aiutano l’insegnante e proseguono le sue lezioni, insegnando praticamente a studiare.
Alcune delle precedenti osservazioni sono state suggerite
Lo sviluppo delle scuole tecnico-professionali in tutti i gradi post-elementari, ha ripresentato il problema in altre forme. È da ricordare l’affermazione del prof. G. Peano, che anche nel Politecnico e nelle matematiche superiori risultano meglio preparati gli allievi provenienti dal ginnasio-liceo in confronto a quelli provenienti dagli istituti tecnici. Questa migliore preparazione è data dal complesso insegnamento «umanistico» (storia, letteratura, filosofia) come è più
Nota. Un’esperienza fatta per dimostrare quanto sia labile l’apprendimento fatto per via «oratoria»: dodici persone di un certo grado elevato di cultura ripetono una all’altra un fatto complesso e poi ognuna scrive ciò che ricorda del fatto sentito: le dodici versioni differiscono dalla narrazione
Nel 2° volume: Francesco Del Greco, prof. direttore di Manicomio, Alessandro Bonucci, prof. d’Università, Francesco Cosentini, prof. d’Università, Luigi Pera, medico, Filippo Abignente, direttore del «Carattere», Giampiero Turati, Bruno Franchi, redattore-capo della «Scuola Positiva di Diritto Criminale», Manfredi Siotto-Pintor, prof. di Università, prof. Enrico Caporali, Giovanni Lanzalone, direttore della ri
Nel 3° volume: Romolo Murri, Giovanni Vidari, professore d’Università, Luigi Ambrosi, prof. d’Università, Salvatore Farina, Angelo Flavio Guidi, pubblicista, Conte Alessandro d’Aquino, Baldassarre Labanca, prof. di Storia del Cristianesimo all’Università, Giannino Antona-Traversi, autore drammatico, prof. Mario Pilo, Alessandro Sacchi, prof. d’Università, Angelo De Gubernatis, prof. d’Università, Giuseppe Sergi, prof. d’Università, Adolfo Zerboglio, prof. d’Università, Vittorio Benini, prof. d’Università, Paolo Arcari, Andrea Lo Forte Randi, Arnaldo Cervesato, Giuseppe Cimbali, prof. d’Università, Alfredo Melani, architetto, Silvio Adrasto Barbi, prof., prof. Massimo Bontempelli, Achille Monti, prof. Università, Velleda Benetti, studentessa, Achille Loria, prof. Francesco Pietropaolo, prof. Amilcare Lauria, Eugenio Bermani, scrittore, Ugo Fortini del Giglio, avv. Luigi Puccio, Maria Nono-Villari, scrittrice, Gian Pietro Lucini, Angelo Valdarnini, prof. Università, Teresina Bontempi, ispettrice degli asili d’infanzia nel Canton Ticino, Luigi Antonio Villari, Guido Podrecca, Alfredo Panzini, avv. Amedeo Massari, prof. Giuseppe Barone, Giulio Caprin, avv. Gabriele Morelli, Riccardo Gradassi Luzi, Torquato Zucchelli, tenente colonnello onorario (sic), Ricciotto
Un criterio metodico da tener presente nell’esaminare l’atteggiamento degli intellettuali italiani verso la religione (prima del Concordato) è dato da ciò che in Italia i rapporti tra Stato e Chiesa erano molto più complessi che negli altri paesi: essere patriotta significò essere anticlericale, anche se si era cattolici, sentire «nazionalmente» significava diffidare del Vaticano e delle sue rivendicazioni territoriali e politiche. Ricordare come il «Corriere della Sera» in una elezione parziale a Milano, prima del 1914, combatté la candidatura del marchese Cornaggia, temporalista, preferendo che fosse eletto il candidato socialista.
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1) L’on. Abbo nel suo discorso di Livorno del gennaio 1921, ripeté letteralmente la dichiarazione di «principi» dell’individualìsta Etievant, riportata in appendice del libro galleanesco; anche la frase sulla «linguistica» che suscitò l’ilarità generale, è ripetuta alla lettera. Certamente l’on. Abbo sapeva a memoria il pezzo e ciò può servire a indicare quale fosse la cultura dei tipi come l’on.
2) Dalle dichiarazioni degli imputati risulta che uno dei motivi fondamentali delle azioni «individualìstiche» era il «diritto al benessere» concepito come un diritto naturale (per i francesi s’intende, che occupano la maggior parte del
3) A proposito dell’Henry è riportata nel volume la lettera di un certo Galtey (da verificare) al «Figaro». Pare che l’Henry avesse amato la moglie del Galtey, reprimendo, «nel proprio seno», questo amore. La donna, saputo che l’Henry era stato innamorato di lei (pare non se ne fosse accorta) dichiarò a un giornalista che se avesse saputo, forse si sarebbe data. Il Galtey, nella lettera, tiene a dichiarare
4) Nella sua dichiarazione al processo di Lione del 1894 (da verificare) il principe Kropotkin annunzia con tono di sicurezza che sbalordisce come qualmente entro i dieci anni successivi ci sarebbe stato lo sconvolgimento finale.
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Per ciò che riguarda la Toscana, culla della mezzadria (cfr. gli studi recenti in proposito fatti per impulso dell’Accademia dei Georgofili), è da citare il brano di un articolo di F. Guicciardini (nella «Nuova Antologia» del 16 aprile 1907:
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È stato già accennato, in altro paragrafo, alla intima debolezza della formazione parlata della cultura e agli inconvenienti della conversazione o dialogo rispetto allo scritto: tuttavia quelle osservazioni, giuste in sé, devono essere integrate con queste su esposte, cioè con la coscienza della necessità, per diffondere organicamente una nuova forma cultu
Il non tecnico del lavoro intellettuale, nel suo lavoro «personale» sui libri, intoppa in difficoltà che lo arrestano e spesso gli impediscono di andare oltre, perché egli è incapace di risolverle subito, ciò che invece è possibile nelle discussioni a voce immediatamente. Si osserva, a parte la malafede, come si dilunghino le discussioni per iscritto per questa ragione normale: che una incomprensione domanda dilucidazioni e nel corso della polemica si moltiplicano le difficoltà di capirsi e di doversi spiegare.
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